LA VOCE DELL'INDICIBILE
I suggerimenti della rêverie degli Artisti
di Sabino Nanni

Dalla magia alla realtà. Il fedele Eckart di Goethe

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25 settembre, 2024 - 11:07
di Sabino Nanni
        Non sempre, nell’evoluzione mentale, i cambiamenti avvengono di colpo. Goethe, nella ballata “Der getreue Eckart” [Il fedele Eckart] c’illustra in termini poetici un tipo di passaggio graduale da un pensiero magico-onnipotente “malefico”, dominato da fantasie persecutorie e da meccanismi proiettivi, ad uno realistico, passando attraverso un pensiero ancora magico, ma parzialmente corretto da processi riparativi e più vicino alla realtà oggettiva.

 

        La ballata inizia presentandoci alcuni bambini che stanno portando a casa i boccali che hanno riempito di birra in una bettola vicina. Nel tragitto sono soli nel bosco e, come succede spesso ai piccoli, il vuoto intorno si popola d’immagini paurose che i loro occhi credono di percepire: si tratta delle furie malevole, che si avvicinano e svuotano avidamente i boccali.

 
O wären wir weiter, o wär ich zu Haus!
Sie kommen. Da kommt schon der nächtliche Graus;
Sie sinds, die unholdigen Schwestern.
Sie streifen heran und sie finden uns hier,
Sie trinken das müsam geholte, das Bier,
Und lassen nur leer uns die Krüge.
 

        [“O fossimo oltre, o fossi a casa! / Vengono, ecco viene lo spaventoso spettro notturno: / sono loro, le sorelle malevole. / Ci sfiorano vicine, e ci trovano qui, / ci bevono la birra da noi presa con tanta fatica, / e lasciano vuoti i boccali.”]

 

        La tradizione giudaico-cristiana patriarcale trasformò le figure pagane “Hulden” (le ombre benevole dei defunti) in “Unholden” (le furie malevole). È l’opposto della trasformazione che troviamo nell’Orestea di Eschilo. Qui le “Erinni”, le furie vendicatrici che perseguitano il matricida Oreste, diventano “Eumenidi”, le benevole protettrici. Ciò avviene grazie all’intervento di Atena, una divinità femminile dai tratti mascolini, sempre amica dei mortali di sesso maschile. L’aiuto della Dea è decisivo per far sì che l’Areopago, tribunale di Atene, assolva colui che aveva assassinato la madre Clitennestra. La persecuzione, perciò, cessa.
        Gli antichi Greci, pur avendo presenti gli aspetti persecutori della madre arcaica, tuttavia concepivano anche l’esistenza di figure femminili (altre donne autorevoli, oppure aspetti scissi della madre stessa) dotate del potere di proteggere il piccolo dalle sue terribili angosce. Probabilmente il Cristianesimo, sopprimendo ogni residuo del culto pagano di Dee femminili, non tollerò che si credesse nell’esistenza di divinità diverse dalla Madonna, il cui unico potere è quello d’intercedere presso Dio. Forse l’equivalente giudaico-cristiano degli “Hulden” è rappresentato dagli Angeli, che però hanno un sesso mal definito.
        Le ombre “Unholden” sono figure materne persecutorie che, anziché offrire nutrimento ai piccoli, se ne appropriano, lasciando morire di fame i loro figli.
        Da notare che, nel primo verso, il “wir” (noi) collettivo cede subito il posto al “ich” (io) riferito al singolo bambino. Quasi sempre, negli stati di panico e disperazione, è come se la parola “noi” fosse dimenticata. L’individuo si sente terribilmente solo, abbandonato da Dio e dagli uomini, e ciò rappresenta sia l’effetto, sia un’ulteriore causa del terrore.

 

        I piccoli, terrorizzati, fuggono. Ma ecco che compare un altro spettro, questa volta dall’aspetto di uomo anziano, che invita i bimbi al silenzio. Spiega loro che le ombre che li avevano spaventati sono cacciatrici affaticate ed assetate. Se le si lascia bere, non saranno ostili.

 
So sprechen die Kinder und drücken sich schnell;
Da zeigt sich vor ihnen ein alter Gesell:
Nur stille, Kind! Kinderlein stille!
Die Hulden, sie kommen von durstiger Jagd,
Und lasst ihr sie trinken, wie’s jeder behagt,
Dann sind sie euch hold, die Unholden.
 

        [Così parlano i bambini, e se la squagliano in fretta; / allora si presenta un uomo anziano: / “Silenzio, bambino! Bambini, silenzio! / Le benevole vengono dalla caccia, hanno sete, / e lasciatele bere, come a ciascuno aggrada, / così saranno per voi benigne le malevole.]

 

        Un primo passo verso la realtà viene favorito dal fedele Eckart: quelle ombre non sono figure persecutorie che vogliono vuotare i boccali solo per far del male ai piccoli; sono esseri simili agli umani; come tali, se hanno necessità di bere, è giusto che lo facciano, come ciascuno (anche i bimbi stessi) farebbe.
       Da notare che Eckart usa i pronomi personali in ordine inverso rispetto a quello impiegato poco prima dai bambini: invitando al silenzio, dapprima si rivolge al singolo piccolo, poi parla ad un “voi” collettivo.

 

        Le parole di Eckart non hanno ancora tranquillizzato i bambini: egli ha un aspetto spettrale; in più, avvicinatosi, tracanna tutto il contenuto dei boccali. I piccoli ritornano svelti a casa, impauriti: temono che li attendano rimproveri e botte per la birra sparita.
        Tuttavia il vecchio non li abbandona: accompagnandoli, li rassicura; li invita nuovamente a tacere, e ad aprire bene le orecchie per ascoltare che cosa diranno effettivamente i genitori. I suoi, precisa Eckart, sono ordini e non solo consigli. Vengono da lui, che gioca volentieri coi bambini. Egli ha fama di possedere poteri magici; ora i piccoli ne avranno le prove concrete.

 
Die Kinderlein ängstlich gen Hause so schnell,
Gesellt sich zu ihnen der fromme Gesell:
Ihr Püppchen, nur seid mir nicht traurig –
Wir kriegen nun Schelten und Streich‘ bis aufs Blut –
Nein keineswegs, alles geht herrlich und gut,
Nur schweiget und horchet wie Mäuslein.
 
Und der es euch anrät und der es befiehlt,
Er ist es, der gern mit den Kinderlein spielt,
Der alte Getreue, der Eckart.
Vom Wundermann hat man euch immer erzählt,
Nur hat die Bestätigung jedem gefehlt,
Die habt ihr nun köstlich in Händen.
 

        [I bambinetti impauriti se ne vanno svelti a casa, / il vecchio devoto s’unisce a loro: / “Pupattoli miei, non siate così tristi!” / “Avremo rimproveri e botte a sangue!” / “No, per nulla, tutto andrà per il meglio / soltanto tacete e ascoltate come topini! // E chi vi consiglia, chi vi dà ordini, / è lui, che gioca volentieri coi bambini / è Eckart, il vecchio fedele. / Dei prodigi di quest’uomo si è sempre raccontato / soltanto ognuno ne avrebbe voluto le prove, / ora le avete, magnifiche, in vostra mano.”]

 

        I piccoli non sono ancora dotati di un valido esame di realtà e di una razionalità che permetterebbero loro di comprendere il senso dei consigli e trovarli convincenti: per il momento, possono influenzarli solo ordini. Tuttavia si tratta di ordini che vengono da una persona per loro autorevole ed affidabile: si tratta di un uomo (un papà, o un nonnino) che “gioca volentieri coi bambini”. Vale a dire: un adulto che volentieri (ossia in modo partecipe) favorisce la creazione di quella “area intermedia” fra mondo interno e realtà esterna, che compare nel gioco. Tale esperienza “transizionale” (Winnicott) consente alla vita interiore di entrare in contatto con la realtà oggettiva, senza rimanerne scissa ed esclusa. Eckart è pertanto credibile ed affidabile, agli occhi dei bambini: partecipando alla “magia” del gioco, ha consentito loro di entrare nella vita reale.
        Eckart è, per tali motivi, un “Wundermann”: un uomo che ha la fama d’essere dotato di poteri prodigiosi. Tuttavia si tratta di “prodigi” benefici, che hanno il potere di contrastare le fantasie cupe e persecutorie prodotte dal pensiero magico-onnipotente dei piccoli. Dell’efficacia di tali provvidenziali “incantesimi” ora i bambini potranno “toccare con mano” le prove. Ciò è uno stimolo a distogliere l’attenzione dalle loro fantasie e ad usare gli organi di senso per trovare, nella realtà oggettiva, un motivo di conforto.

 

        Ed ecco che compare, agli occhi dei bambini, la prova tangibile del “prodigio” di Eckart: i boccali sono colmi di birra! Ed ora che la bevanda è “ricomparsa”, pare di qualità eccellente, e tanto abbondante da sembrare quasi inesauribile. Tuttavia, nella mente dei piccoli, una domanda è ancora senza risposta: “che ne è stato di quei boccali vuoti?”

 
Doch siehe, man Kostet: Ein herrliches Bier!
Man trinkt in die Runde schon dreimal und vier,
Und noch nimmt der Krug nicht ein Ende.
 
Das Wunder, es dauert zum morgenden Tag.
Doch fraget, wer immer zu fragen vermag:
Wie ists mit den Krügen ergangen?
 

        [Ma ecco, si assaggia: una birra stupenda! / Tre o quattro volte si beve a turno / e ancora del boccale non compare il fondo. // Il miracolo continua fino all’albeggiare. / Ma domandi chi mai vuole domandare: / che è successo a quei boccali?]

 

        È tale il sollievo prodotto dal “miracolo” che non è detto che i piccoli abbiano voglia di chiedersi che cosa, in realtà, sia avvenuto. Potranno forse darsi una risposta più tardi quando, maturando, avranno maggiormente sviluppato la loro capacità introspettiva.
        All’origine sono stati loro, per la loro avidità, a vuotare nella fantasia i boccali. Tale desiderio, scisso e proiettato, si ripresenta nelle immagini materne (scisse da quella dell’immagine della madre nutrice reale) delle “Unholden”, che, come si è detto, sono figure persecutorie di genitrici che, divorando il cibo, ne privano i loro piccoli. Il problema non può risolversi finché il rapporto del bambino rimane duale, esclusivo con la sua mamma: l’avidità del piccolo, dominato da un pensiero magico-onnipotente primitivo, non può essere fronteggiata che con la scissione e la proiezione.
        Ad aiutare il bambino a crescere è necessario l’intervento di una terza figura, di solito maschile-paterna, che, presentando la genitrice da un altro punto di vista (quello di una persona che ha un rapporto adulto con la madre) lo aiuta a far progredire il suo esame di realtà. Il primo passo rimane ancora all’interno di un pensiero “magico onnipotente”, ma esso è profondamente modificato: non esiste soltanto la “magia”, talora malefica, della madre e del bambino; ne esiste un’altra, in grado di neutralizzare la prima, di cui il nuovo arrivato è portatore. Il nuovo “sogno” che questi crea rappresenta l’anticamera della realtà. 

 

        La ballata si chiude con l’ammonimento ai bambini, da parte di un “precettore” molto più saggio di quanto possa apparire a prima vista:

 
Und liegt auch das Zünglein in peinlicher Hut,
Verplaudern ist schädlich, verschweigen ist gut;
Dann füllt sich das Bier in den Krügen.
 

        [E anche se è penoso tenete a freno le linguette, / ciarlare è dannoso, è bene il silenzio; / così si riempiono di birra i boccali.]

 

        C’è qui qualcosa di più del banale e generico ammonimento “il silenzio è d’oro”. È implicito, in quest’affermazione, un concetto importante: se si traduce precipitosamente in parole quel che si è erroneamente pensato, si esclude dalla propria attenzione quel che ci dicono gli organi di senso, si continua a rimanere isolati dalla realtà oggettiva. E senza contatto con la realtà oggettiva, non c’è modo di sottrarsi alle insidie del mondo interno.

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