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Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

“Vermiglio”, i silenzi e i sentimenti

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25 settembre, 2024 - 17:18
di Matteo Balestrieri

"Vermiglio" è un film drammatico che segue la storia di una comunità rurale isolata nelle Alpi trentine durante gli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale. Il film si concentra su un gruppo di donne, rimaste sole dopo che gli uomini del villaggio sono dispersi durante il conflitto. Attraverso immagini evocative e atmosfere silenziose, il film esplora temi di resilienza, identità e il legame indissolubile con la terra e la tradizione.

La regista del film Vermiglio è Maura Delpero, una cineasta italiana nota per la sua sensibilità nei confronti di temi sociali e umani. Maura Delpero ha guadagnato attenzione internazionale soprattutto grazie al suo film precedente, Maternal (2019), che esplora la vita di giovani madri all'interno di una casa famiglia religiosa a Buenos Aires. Questo film ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti in vari festival cinematografici, come il Festival del Cinema di Locarno. Oltre a Maternal, Maura Delpero ha diretto anche documentari e cortometraggi realizzando opere come Signori professori (2008), un documentario che affronta il tema dell'educazione nelle scuole italiane, e Nadea e Sveta (2012), un altro documentario che segue due donne moldave in Italia, esplorando le loro vite e le loro difficoltà come lavoratrici migranti.
Vermiglio rappresenta un'ulteriore evoluzione del suo stile autoriale, sempre attento a tematiche profonde e complesse, con uno sguardo intimo e coinvolgente. Il tema centrale di Vermiglio è la condizione femminile in un contesto di isolamento e svantaggio socio-economico. Le donne del film vivono in una realtà in cui la mancanza di risorse materiali e intellettuali è acuta, e il loro futuro appare incerto. A fronte della guerra e della sua incertezza, esse si trovano a fare i conti non solo con la difficoltà di costruire un avvenire concreto, ma anche con il predominio maschile che limita la loro autonomia e capacità di scelta.

Il rapporto complicato con gli uomini è un elemento chiave. Da un lato, c'è l'assenza fisica degli uomini dovuta alla guerra, che genera solitudine e incertezza. Dall'altro, anche quando gli uomini sono presenti, il loro ruolo dominante e la possibilità di manipolare le donne con false promesse e comportamenti ingannevoli amplifica la tensione e la frustrazione. Le donne non solo devono lottare contro la povertà e la scarsità di risorse, ma anche contro un sistema patriarcale che le opprime e spesso le inganna.
La narrazione, quindi, non si limita a descrivere una comunità in difficoltà, ma pone una forte enfasi sul desiderio di queste donne di avere un ruolo attivo nel loro destino. La loro lotta è non solo economica, ma anche esistenziale: cercano di affermarsi in una società che tende a relegarle ai margini e che le vede più come vittime della storia che come agenti del proprio cambiamento.

Tre sorelle sono al centro della narrazione. Lucia è la maggiore ed è quella che, pur avendo il peso della responsabilità sulle spalle, si lascia trasportare dalle emozioni e dalla speranza di trovare un legame affettivo in un soldato siciliano che ha trovato rifugio, con qualche titubanza, nel paese. Si fida di lui, rimane incinta e poi anche lo sposa, con conseguenze però tragiche legate allo svolgersi della storia. Lucia incarna il tema dell'illusione e della delusione: da un lato, la speranza di amore e stabilità; dall'altro, le conseguenze di un mondo che non offre sicurezza né alle donne né ai loro sogni. Il profondo dolore che segue alla distruzione del suo amore genera un blocco catatonico e pensieri suicidari, portandola ad abbandonare la propria figlia neonata.
Ada, la sorella di mezzo, è il personaggio più complesso, che vive una forte ambivalenza sessuale e una profonda crisi interiore. La sua sessualità intensa ma incerta la porta a esplorare un'attrazione per una sua amica dal carattere ribelle, un aspetto che la pone in conflitto con i rigidi dettami morali introiettati dalla cultura comunitaria. Questo conflitto tra desiderio e senso di colpa la tormenta, alimentando il suo desiderio di redenzione e pentimento. Alla fine, sembrerebbe decidere di diventare suora, una scelta controversa e sofferta che è un modo per fuggire da sé stessa e dalla complessità dei suoi sentimenti, cercando rifugio in un contesto che promette una via di purificazione e pace spirituale. Questa tematica è nota alla regista Delpero, che l’ha già esplorata nel suo precedente film Maternal.
La sorella più piccola Flavia è quella che può ancora nutrire sogni e speranze, meno toccata dalle dure realtà che hanno segnato le vite delle sue sorelle maggiori. Nonostante la povertà e le difficoltà, simboleggia la possibilità di un futuro diverso, meno vincolato alle tradizioni o alle aspettative della comunità. In lei si concentrano l’ingenuità e il potenziale di cambiamento, essendo meno oppressa dai sensi di colpa o dalle responsabilità che gravano sulle sue sorelle. Anche lei risente della obbligata povertà di risorse materiali ed umane, in modo evidente quando alle prime mestruazioni le vengono consegnati solo due lembi di stoffa, niente parole ed arrangiarsi.
Gli uomini nel film sono scolpiti con l’accetta, senza sfumature, quasi solo a rappresentare la parte negativa del mondo. Il padre, ovvero il maestro Graziadei, è un elegante signore con il panciotto, austero pater familias e riferimento per l’intera comunità, ha molti figli e continua a mettere incinta la moglie ad un ritmo superiore a quello della perdita dei neonati per malattie intercorrenti. E’ un maestro severo, che non perdona, fautore di un rigore che esclude l’umanità e la comprensione, particolarmente nei confronti del figlio maschio. Oltre a ciò nasconde pulsioni inconfessabili in un cassetto chiuso a chiave.
Del supposto marito di Lucia, il soldato siciliano, si può dire solo che il suo inganno è spiegabile, non certo giustificabile, con il suo isolamento forzato. Il figlio vessato del maestro, pur vicino ai suoi fratelli, sfoga nell’alcol la propria frustrazione. Di positivo invece ci sono tutti i bimbi che gironzolano, chiedono curiosi e parlano liberamente. Sono una nota fresca nel panorama piuttosto desolante delle interazioni degli adulti.

Collego questo film in particolare ad altri due, l’uno più antico e l’altro più recente. Vermiglio, con la sua attenzione alla vita di una comunità rurale povera e isolata, richiama l'atmosfera de L'albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, un film del 1978 che esplora la vita contadina nel nord Italia a fine Ottocento. In entrambi i film, la povertà e l'autosufficienza sono elementi centrali: le persone sono abituate a vivere con pochissime risorse, e il lavoro, la terra e i legami familiari diventano l'unico punto fermo in un mondo altrimenti incerto e difficile.
Allo stesso modo, è possibile evocare alcune atmosfere del pluripremiato film Piccolo corpo (2021) di Laura Samani, ambientato in una realtà montana e lagunare del Friuli Venezia Giulia, dove il silenzio e l’essenzialità della vita quotidiana riflettono una cultura in cui le parole sono scarse, e i gesti parlano di più. Anche qui, come in Vermiglio, la natura, il paesaggio aspro e l'isolamento giocano un ruolo fondamentale nel modellare il comportamento umano. Il silenzio non è solo una necessità pratica, ma diventa anche una parte integrante della narrazione, contribuendo a creare un’atmosfera di introspezione e di tensione sotterranea.
In entrambi i confronti, ciò che emerge è l'importanza del contesto geografico e sociale nella modellazione delle vite dei personaggi. Le comunità rappresentate in questi film non solo affrontano la povertà materiale, ma anche l'isolamento emotivo e la difficoltà di comunicare apertamente, perché spesso la sopravvivenza quotidiana lascia poco spazio per l’esplorazione di sentimenti complessi.
In Vermiglio, come in questi due film, c’è una forte attenzione alla dignità del silenzio e al peso del non detto, che riflette una realtà in cui le parole sono limitate e dove la lotta per sopravvivere prevale su tutto il resto.

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