INTERVISTA A CLAUDIO MENCACCI...pubblico e privato in psichiatria 2

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18 settembre, 2012 - 16:39

Per prima cosa vorremmo chiederle un commento sulle elezioni, visto il suo ruolo di vice presidente della SIP ma anche di socio che da molti anni lavora a livello societario. Un commento umano e politico.

Per quel che riguarda il commento umano, essendo trascorsi quattordici anni dal mio ingresso come consigliere nazionale, questo da un lato mi ha commosso e dall'altro mi ha fatto riflettere su come in questo lasso di tempo molti scenari si siano modificati. La nuova composizione del consiglio direttivo ha in se' moltissime potenzialita' e porta anche un significativo rinnovamento non solo in termini di eta' dei soci, ma anche in termini di presenze che hanno gia' da tempo dimostrato di essere attive, propositive, che vogliono trovare posizioni di raccordo che siano d'aiuto ad altri soci, perche' poi la nostra funzione e' questa, vale a dire non quella di indossare delle feluche, ma di sapere chiarire i percorsi degli anni che verranno, oltre che gestire il presente
. Si tratta di metterci in un assetto, di seguire una rotta che sia tracciata con chiarezza. Direi che la novita' e' di cominciare a pensare allo psichiatra non solo come a uno specialista ma anche come a un professionista che deve avere la capacita' di essere flessibile, di saper reggere il confronto con una realta' che registra un'accelerazione dei mutamenti che sono molto piu' rapidi di quanto fossimo abituati e quindi una capacita' anche di sapersi motivare non tanto come portatori di idee, di continuum ideologico verso un'aspirazione, ma proprio come persona e sentire che cio' che e' rimasto fisso in questi anni e' l'attenzione, la cura, l'amore per le persone che soffrono di disturbi mentali.

Nei prossimi tre anni ci saranno secondo noi sempre piu' novita' in generale nell'ambito della medicina e poi in particolare si porra' il problema grosso dell'eventuale cambiamento o riforma di alcuni aspetti della legge. Cominciamo dalla medicina: e' una tendenza europea quella della managerizzazione della medicina generale e quindi da qui il ruolo centrale delle associazioni di medici che cominciano a nascere nelle grandi citta' e questi poliambulatori di medicina generale che dovrebbero diventare un punto di riferimento importante. Come pensa si dovra' rapportare la medicina con questa rotta o come dovra' coniugarla con le inevitabili e forse anche auspicabili riforme di organizzazione della medicina generale.

Innanzitutto il modo di rapportarsi sara' tale per cui la qualita' professionale sara' ulteriormente stressata perche' nel momento stesso in cui gruppi di medici di medicina generale si organizzano lo fanno non solo attraverso un sistema di relazione manageriale della gestione del loro lavoro e delle loro risorse, ma chiedono anche, come qualunque altro gruppo o "azienda", che il professionista che si interfaccia con loro abbia non solo un profilo di alta professionalita', ma anche la capacita' di rapportarsi al gruppo per poterlo condurre nella direzione di dare delle risposte che, badiamo bene, avranno aspetti di concorrenzialita'.
Il vero aspetto innovativo con cui fare i conti e' che anche la medicina generale, che ha sempre agito secondo un modello di quasi monopolio, si confrontera' non solo con una psichiatria che non e' piu' in condizioni di quasi monopolio, ma anche con richieste, da entrambe le parti, di grandissima professionalita'. Tuttavia la professionalita' non basta: a essa viene richiesto di associare una capacita' anche di prefigurazione del futuro, di cio' che ci si aspetta da un vero professionista. Sotto questo profilo l'associazione degli psichiatri dovra' interfacciarsi con tutte le altre societa' scientifiche e della medicina generale in grado di sviluppare dei programmi davvero innovativi, come quelli di sviluppare il concetto della medicina d'urgenza, la medicina capace di affrontare le catastrofi, collegata alla Protezione Civile.
Poi ci sono le problematiche legate al cambiamento del mercato del lavoro. La richiesta di adattamento sara' percio' molto piu' pressante e rapida.
Il ruolo della SIP e' di muoversi come uno strumento agile e non farraginoso, la capacita'di rintracciare punti comuni e al contempo che non necessariamente tutto sia messo in comune. Non e' tempo di ideologie prevalenti, ma e' tempo di dare risposte fruibili, condivisibili, e che coniughino sempre il giusto livello di evidenza clinica alla capacita' di dare risposte a cio' che ci viene richiesto. Per molto ci siamo basati su un concetto di tempo che scorreva lentamente per cui si poteva pensare diversamente. Oggi ci vengono chieste soluzioni piu' rapide e soprattutto soluzioni in termini di rispettiva e personale responsabilizzazione.

Il prossimo trienno quasi certamente vedra' il cambiamento almeno in parte delle normative in campo psichiatrico. Cosa potra' accadere secondo Lei?

Non solo io non condivido nessuna riforma legislativa in questo campo, ma non credo che il problema sia in una risposta normativa e non ho mai dato da questo punto di vista contributi che non fossero quelli del tecnico che ha dei dati in mano e su questi vuole riflettere. Cio' che personalmente auspico e' che buone procedure, nel senso che abbiano la caratteristica di essere molto rapidamente portate a sostegno dei pazienti nelle situazioni di acuzie, e soprattutto tutto cio' che aumenta il livello di adesione alle cure, e quindi l'idea che io porto avanti da tempo del contratto terapeutico vincolante, di pratica clinica, sanitaria, non di pratica giuridica, possano trovare spazio. 
magari uno spazio integrativo dal punto di vista legislativo, se lo stabilire queste procedure aiutera' a far si' che i servizi si sentano pienamente responsabilizzati. Credo che sia avvenuta una crisi rispetto al senso di responsabilita' delle situazioni gravi e alla crisi va data una risposta concreta, non di facciata o evasiva. Da noi ci si aspetta che i servizi, pubblici o accreditati che siano, diano delle risposte ai casi gravi, che le persone che non vanno a farsi curare siano seguiti e non abbandonate e se non e' possibile seguirle, farlo con le persone che sono loro vicine e se non e' possibile neanche questo di mantenere un clima sempre collaborativo in tutto l'ambiente che sia favorevole ai disturbi mentali. Aver abbandonato questo campo, l'averlo in qualche modo lasciato alla volonta' dei singoli gruppi, e' stato un gravissimo errore oltre che il momento di piu' grande fragilita' di tutto la psichiatria territoriale. Credo che tutte le figure e tutte le agenzie istituzionali vengano responsabilizzate e quindi il gruppo, il medico, il responsabile del dipartimento, i familiari, il gruppo delle associazioni che possono partecipare, gli amministratori di sostegno, i giudici tutelari, con chiari obiettivi: fare terapia; mantenerci sul piano sul piano sanitario; tenere i giudici lontani dalla psichiatria perche' essi continuino a occuparsi di cio' che loro compete e in primo luogo del problema della pericolosita' sociale. Anche perche' se questo problema non sanitario viene demandato nuovamente ai servizi, credo che tornerebbe grande confusione nella nostra professione. 
Vi sono alcune aree quasi trasversali che tengono conto di un malumore che c'e' e non si puo' negare, che e' presente soprattutto nella popolazione del centro-sud e nelle fasce d'eta' sopra i quarant'anni, dove la richiesta di avere un luogo che contenga i disturbi mentali e' ancora forte. Ebbene, per rispondere a queste richieste nessuna legge, nessun ritorno indietro, ma neanche proposte irrealizzabili. Oggi chi nel nostro paese chiede risorse, istituzioni, soldi, sa in partenza di chiedere cose non realizzabili. Si tratta di fare non l'ennesima lista di buone intenzioni, ma di utilizzare le risorse con obiettivi molto chiari che sono massima responsabilizzazione e funzionamento di tutte le agenzie, ognuna per la sua parte. E' chiaro che siamo qui per difendere ed espandere i nostri servizi, portando risorse sulla comunita' e sul territorio, ma dobbiamo farlo partendo, ripeto, da questo principio di responsabilizzazione di qualunque operatore.

Lei viene da una regione, la Lombardia, dove il connubio tra pubblico e privato e' stato portato avanti in maniera forte, quantomeno dal punto di vista della comunicazione sui mass media, come uno dei cardini della riforma. Alla luce di questa esperienza, Lei cosa pensa di questo connubio rispetto alla psichiatria?

Penso con grande franchezza che cosi' come e' cambiato il pubblico, cosi' in parte e' cambiato e deve cambiare il privato. Il privato e' in realta' un cielo sotto il quale stanno molte realta'. C'e' il privato imprenditoriale che in Lombardia ha avuto meriti indiscussi perche' ha consentito una disponibilita' di posti letto nelle comunita' assolutamente unica, tra l'altro garantendo una qualita' ottima, esistendo in regione una legge sull'accreditamento che in ogni caso era piu' severa verso il privato che verso il pubblico.
D'altra parte e' cambiato il tipo di privato perche' esiste un privato sociale che e' molto presente e soprattutto esiste anche quella capacita' organizzativa che ci proviene dalle associazioni, vuoi dei familiari, vuoi degli ex utenti, che sono in grado in questo momento di non mettersi sul piano di rivendicativita' ma di proposta e quindi sono essi stessi i primi portatori di iniziative di strutture semi-residenziali, piuttosto che di comunita'. Allora in questo vedo la vera novita' perche' si e' passati da una fase di contrapposizione dove privato e associazionismo a loro modo cercavano di pescare nell'area del pubblico con diverse motivazioni e richieste, a una situazione in cui, sapendo che la quota a disposizione e' chiara e definita, devono trovare tra loro forme di relazione e integrazione che effettivamente vanno molto piu' nella direzione di dare delle risposte ai pazienti. Quindi si puo' parlare di un miglioramento della qualita' del servizio perche' a fronte di una contrazione sui servizi pubblici ma che non riguarda solo la psichiatria, ma tutta la sanita' nell'esigenza del contenimento dei costi, ha nel contempo garantito che i cittadini potessero muoversi con agilita' e iniziato anche nell'ambito della psichiatria, con molte timidezze e inevitabili difficolta', il concetto della liberta' di scelta che non e' certo di semplice applicazione nel nostro settore. Ma e' chiaro che non possiamo batterci per conservare i diritti ai nostri pazienti e poi non consentire loro di scegliere.
Cio' che stiamo oggi vedendo e' che i servizi pubblici, dove le associazioni sono forti e dove c'e' un privato intelligente che riesce a costruire un percorso di riabilitazione e non un percorso a imbuto, possono trovare adeguate risposte.
Di fronte a questa contrazione di risorse, si fa una grande fatica perche' sta aumentando la popolazione che sta afferendo ai servizi, vuoi perche' e' piu' visibile, vuoi perche' il disturbo mentale, nel momento in cui ne diminuisce l'aspetto della vergogna e del timore di parlarne, esplode. Sicuramente il servizio pubblico deve essere in grado con le risorse che ha di prendersi in carico i pazienti gravi. Non e' possibile pero' che un servizio si strutturi per fare fronte a tutte le patologie, anche a quelle piu' invalidanti e magari meno note; e' probabile che ci voglia una collaborazione stretta con dei centri di riferimento, che abbiano qualita' ed evidenze scientifiche piu' forti, per il trattamento di alcuni disturbi, in primo luogo per i DCA che richiedono un livello di specializzazione molto alto, e in secondo luogo per le forme di depressione ricorrente o resistente, per i disturbi dell'umore in cui ci sia la possibilita' di embricarsi con le attivita' di auto-aiuto.
Se riusciamo a pensare ai servizi cosi' ben collegati, anche attraverso centri di riferimento che si occupino di aree di patologia emergente e una forma di associazionismo, riusciremo a sentirci radicati nella realta' sociale attraverso persone che possono fare cio' che non potremmo mai fare.

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