Intervista a P.M. Furlan, Università di Torino

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3 dicembre, 2012 - 18:14

Domanda: Cosa pensa delle tematiche emerse durante il congresso?
Risposta: Mi stupisce lo scarso interesse rispetto alla chiusura degli ospedali psichiatrici che caratterizza l'Italia, l'unico paese che li ha chiusi drasticamente. Credo che stiamo perdendo una grande occasione e che ci sia anche molta paura nel tentare di fare studi articolati approfonditi e non superficiali per vedere quali sono le differenze in tutte le loro sfaccettature fra noi ed altri paesi dove invece gli ospedali psichiatrici sono floridi. La Francia, ad esempio, vanta una riduzione del numero di giorni di degenza, però non dei letti. Sicuramente esistono organizzazioni sociali diverse da paese a paese, in Italia adesso si sta espandendo il privato. Mancano anche sulle riviste straniere lavori accettabili sulla chiusura dei manicomi, un fenomeno che io condivido pienamente, ma mancano studi sulla qualità di vita dei pazienti, sul loro vissuto personale, sull'impatto sulla famiglia e sull'impatto che questo fenomeno ha sulle patologie esordienti, poiché è un luogo comune dire che un tempo si entrava in manicomio e non si usciva più, non è affatto vero, il soggetto entrava ed usciva con una frequenza maggiore di adesso, ma usciva! Questo è legato al tipo di cure o ad una modificazione strutturale della società, in cui noi lavorando sul territorio creiamo delle situazioni di maggior tolleranza? 

Domanda: Su che cosa si è puntata di più l'attenzione dopo la riforma?
Risposta: Un punto fondamentale della riforma è l'aumento di collaborazione fra psichiatria e medicina generale, in particolare nel campo dell'oncologia e della diabetologia, con la possibilità anche da parte dell'internista di rendersi conto del grandissimo problema della compliance che la psichiatria ha notato per prima, ma che adesso sta prendendo campo anche in medicina generale dove ha costituito una vera e propria scoperta. Prima era ritenuta un fenomeno insito nella psicopatologia, adesso ci si sta rendendo conto della centralità della modalità di relazionarsi a tali pazienti per ottenere una compliance, che non riguarda solo il farmaco, ma l'intera equipe terapeutica.

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