Intervista ad Alessandra Luzi
Può raccontare la Sua personale esperienza di giovane Infermiera Professionale neolaurata, alle prese con il lavoro in un SPDC a stretto contatto con i pazienti affetti da disturbi psichiatrici?
Mi sono laureata da 5 mesi ed ho cominciato subito a lavorare nel SPDC di Ascoli Piceno. Fin da quando ero allieva avevo questo desiderio, il campo psichiatrico mi aveva sempre affascinato, ed ho avuto la fortuna di terminare gli studi nel momento in cui nel reparto vi era carenza di personale e di poter subito cominciare a lavorare in questo ambito. In questi 5 mesi non è che abbia potuto sperimentare tutti i tipi di situazioni che si verificano prima o poi in tutti i reparti psichiatrici, perchè comunque, forse per mia fortuna ma anche per il bene dei pazienti, non vi sono stati particolari episodi di perdita di controllo o di particolare agitazione. Credo, durante questo periodo, di aver appreso molto dall'esperienza dei colleghi: abbiamo un reparto ove l'equipe funziona ed anche molto bene, c'è molta comunicazione fra di noi, cosa che ritengo fondamentale, così come l'accoglienza nei confronti delle nuove leve da parte di tutti gli operatori.
Nei confronti del paziente psicotico penso di avere un approccio che deriva non dalla mia personale esperienza, al momento ovviamente limitata dalla giovane età, bensì dal mio modo di essere. Tento di mettermi alla pari del paziente, diciamo che il segreto che adotto è quello dell'empatia, del cercare di mettermi sempre nei panni del paziente. Non sono una persona ostile per natura per cui tendo ad essere me stessa; per me la rigidità non esiste e ritengo che l'elasticità nei confronti di queste persone sia essenziale. Si tratta di individui che debbono riadattarsi poi a vivere nella realtà, quindi delle regole, purtroppo, vanno comunque date, però non sono l'aguzzino di cui parlavo prima! Ritengo che quello sia ormai un figura superata, anche nel mio reparto vedo che non vi sono infermieri che assumono atteggiamenti o condotte eccessivamente rigide.
Ci racconti cosa ha significato per Lei partecipare all'organizzazione di questo convegno, evento formativo che ritengo molto importante per la formazione del vostro settore specifico, per il quale offerte formative di questa portata non sono certo all'ordine del giorno.
In questo campo vi è un'estrema povertà di formazione, specie per quanto concerne quella rivolta agli infermieri che lavorano in ambito psichiatrico. Questo è il primo anno in cui noi infermieri prendiamo parte al convegno ed è stata per noi un'esperienza di grande valore, perchè comunque dover allestire un convegno aiuta a conoscere meglio il proprio ambito in modo più approfondito, stimola a studiare argomenti che magari si sono tralasciati o solo parzialmente affrontati durante l'iter formativo degli studi. E' una maniera, inoltre, per relazionarsi fra noi operatori e con i pazienti. Abbiamo lavorato in modo innovativo, in quanto abbiamo basato molto il nostro lavoro sulle interviste, sui racconti di vissuti personali piuttosto che su testi scritti. L'idea del cortometraggio è sicuramente una novità, ci siamo improvvisati scenografi, attori, abbiamo fatto tutto fra noi; è stato anche uno stimolo in più per collaborare insieme. Credo che questi convegni facciano bene agli operatori ed all'equipe intera.
Le interviste e le immagini proposte hanno sicuramente toccato gli spettatori nel profondo.
Sì, questa era l'idea. Certamente raccontare a parole è sempre più difficile. Emozionare le persone era la nostra intenzione, ma non ci siamo messi a tavolino a discutere su come ottenere questo effetto, è stata una cosa spontanea, siamo giovani e dotati di grande entusiasmo, per cui ci è venuto naturale.