Quarta giornata - Venerdì 24 febbraio

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27 novembre, 2012 - 19:41

 

SESSIONE PLENARIA 

J. Vanderlinden A "STATE OF ART" REVIEW OF DIAGNOSIS AND TREATMENT ISSUES IN EATING DISORDERS
Nel tentativo di fornire una rivisitazione dei Disturbi del Comportamento Alimentare (ED), � necessario, innanzitutto, partire dai criteri diagnostici, che, pero', lasciano ancora aperti dubbi e perplessita'.
Per quanto riguarda l'Anoressia Nervosa (AN), nella sua forma piu' classica, si e' rilevato che la prevalenza di questa non e' in crescita, al momento attestandosi al 0,50% della popolazione.
Sicuramente i criteri che la definiscono andrebbero, almeno in parte rivisitati.. Nella unita' operativa per Disturbi Alimentari del Prof. Vanderlinden, si assume un target di peso, in relazione all'eta' delle pazienti: a 16 anni, si stabilisce come BMI minimo da raggiungere 18, a 17 anni 18,5 e dai 18 anni un BMI minimo di 19.
Altri due criteri che destano perplessita' sono: la paura di ingrassare, spesso difficile da valutare quantitativamente, e l'amenorrea, poiche' sono state viste diverse pazienti anoressiche, con BMI inferiore a 16 che conservavano tuttavia il ciclo mestruale. Per quanto riguarda la Bulimia Nervosa (BN), si osserva una prevalenza dell'1-2% nella popolazione generale. Si tratta di un disturbo in aumento.
Tra i criteri diagnostici meno chiari viene messo in evidenza la "maggior quantit� di cibo", e l'episodio di binge eating, concetti poco specifici.
Uno studio di Kell descrive di pazienti bulimiche che non mangiavano in quantit� eccessiva, e nei cui diari alimentari il cibo veniva soggettivamente esperito come quantitativamente piu'abbondante ed anche il binge risultava quindi assolutamente soggettivo, tanto da non rispondere ai criteri del DSM-IV.
E',in questa patologia, importante prestare attenzione alla perdita di controllo, presente, pero', anche in altre categorie nosografiche.
I Disturbi del Comportamento Alimentare Non altrimenti specificato (EDNOS) rappresenta probabilmente il piu' ampio gruppo di questi disturbi. Il BED, tra questi, ha ricevuto recentemente grande interesse, ed e' probabilmente il piu' frequente disturbo alimentare nella popolazione generale.
E' stato fatto uno studio comparativo tra Obesi con BED e Obesi senza BED: si e' osservato che i primi sono piu' obesi, presentano piu' abbuffate correlate allo stato emozionale, sono piu' depressi, piu' ansiosi e presentano piu' problematiche sociali, ed hanno una maggior comorbidita' con patologia psichiatrica. Presumibilmente, dunque, in tali pazienti, l'intervento chirurgico sara' difficilmente risolutivo.
E' stato inoltre presentato un modello transdiagnostico dei ED, descritto da Fairburn et Al., in cui si propone di porre maggior attenzione ai meccanismi comuni coinvolti nella persistenza di BN, AN, e BED, nel tentativo di comprendere soprattutto i meccanismi volti a mantenere la dipendenza.
Cio' significherebbe, quindi, in questa ottica, che la distinzione tra le diverse categorie perde importanza.
A tale modello sono pero' seguite alcune critiche, in particolare a riguardo dell'AN restrittiva .
Per cio' che riguarda le terapie, si e' visto che i SSRI hanno dato scarsi risultati e non sono consigliabili in pazienti anoressiche.
La terapia cognitivo-comportamentale (CBT), nella BN parrebbe dare risultati migliori rispetto ad altre psicoterapie e farmacoterapie.
Ma bisogna anche dire, a tal proposito, che la CBT da' buoni risultati solo nel 40-50% delle pazienti, e che un grande gruppo di esse non guarisce.
Anche nelle pazienti con BED e' importante far loro sapere la psicoterapia non avra' effetto sul peso corporeo.
Un trattamento urgente, nell'ambito degli ED, e' raccomandato solo per l'AN. Saranno a questo punto utili ricerche genetiche e neurobiologiche, ma resta di fondamentale importanza una integrazione con gli aspetti psicologici.
I risultati migliori, e' noto, sono quelli ottenuti con una buona alleanza terapeutica: sarebbe importante capire come il terapeuta puo' intervenire nel modificare le preoccupazioni riguardanti cibo e corpo.
Nel trattamento dall'AN � fondamentale anche il lavoro con la famiglia della paziente. Un metodo innovativo proposto dal Prof. Vanderlinden e' la ACT: Acceptance and Committment Therapy, che consiste nel raggiungere l'accettazione dei pensieri incontrollabili, attraverso esercizi mentali e tecniche di meditazione.

Succeeding in Schizophrenia and Bipolar disorder: a challenge for some atypical antipsychotics. Moderatori:E.Spina, L.Cortese, J.R.Calabrese.
Chairman:Mario Maj.

The mechanism underlying atypicality: a link to clinical outcomes. Edoardo Spina
Profilo Farmacodimanico degli antipsicotici detti anche farmaci di seconda generazione. Dal punto di vista clinico si possono evidenziare minori effetti collaterali (minori sintomi extrapiramidali ed iperprolattinemia) ed un pi� ampio spettro di efficacia, non solo su sintomi positivi, ma anche su sintomi negativi (sintomi cognitivi) e su sintomi depressivi.
Attualmente il meccanismo d'azione dei farmaci tipici � di nostra conoscenza (antagonismo Recettori D2;con effetto sui sintomi positivi a livello della via mesolimbica) mentre si possono solo fare ipotesi in merito al funzionamento degli atipici.
1) Antagonismo recettoriale 5HT2A/D2. L'affinit� per il recettore serotoninergico sembrerebbe essere maggiore rispetto al dopaminergico. La serotonina eserciterebbe un ruolo modulatorio sulla dopamina a livello nigrostriatale; inibendo il blocco dei recettori D2 questa favorirebbe il rilascio endogeno di dopamina. Dal punto di vista clinico ridurrebbe la possibilit� di indurre effetti extrapiramidali e sintomi connessi all'aumento di prolattina. A livello mesolimbico l'antagonismo esercitato sul recettore 5HT2A sembrerebbe rinforzare l'azione antidopaminergica e di conseguenza clinicamente l'efficacia sui sintomi psicotici.
2) Distacco rapido dal recettore D2. L'affinit� per i recettori D2 potrebbe essere inferiore e di conseguenza anche il legame che si viene ad instaurare sarebbe pi� debole; ci� spiegherebbe i minori effetti collaterali (sintomi extrapiramidali e iperprolattinemia). Si � inoltre evidenziato come clozapina e quetiapina alle dosi terapeutiche si dissocino pi� rapidamente rispetto a risperidone, olanzapina, aloperidolo con minori effetti collaterali rispetto a questi ultimi.
3) La maggiore affinit� degli atipici per i recettori D2/D3 nelle aree mesolimbiche e corticali si manifesterebbe in una buona risposta clinica ed una minore incidenza di sintomi extrapiramidali.
4) Il recettore 5HT1A potrebbe essere correlato con i meccanismi d'azione degli atipici. Questo presente a livello della corteccia prefrontale induce il rilascio di dopamina e noradrenalina agendo a livello sia pre che postsinaptico.
Attualmente l'uso di antipsicotici atipici si � esteso ed ha trovato il suo razionale scientifico anche nella fase depressiva del disturbo bipolare
L'ipotesi � che questi farmaci interferiscano con i sistemi monoaminergici (5HT, NA, D): attraverso il blocco del recettore 5HT2A, l'agonismo parziale sul recettore 5HT1A,down-regulation dopo somministrazione cronica ed azione anti D2 a livello mesolimbico che evita il viraggio maniacale.
Tutti i suddetti effetti descritti si riferiscono al breve termine, ma probabilmente la somministrazione cronica di questi farmaci provocherebbe modificazioni a lungo termine:
- aumento di fattori neurotrofici (BDNF),
- aumento dei meccanismi di protezione cellulare (Bcl-2, superossidodismutasi, eme-ossigenasi-2)
- aumento della neurogenesi ippocampale.

The importance of early intervention in schizophrenia for long term effectiveness. L.Cortese.
Il professor Leonardo Cortese dell'universit� canadese di Western Ontorio,introduce un discorso riguardante l'importanza d'intervento precoce in pazienti con esordio psicotico acuto.
L'importanza deriva dal fatto che diversi studi hanno dimostrato che un intervento precoce riduce notevolmente la morbilit� a lungo termine e la qualit� di vita di tali pazienti. Per inquadrare un esordio psicotico esistono in un decorso evolutivo una serie di sintomi prodromici che si verificano intorno a tre quattro anni prima dell'esordio vero e proprio:
-peculiare cambiamento di temperamento
-improvviso interesse per altre attivit� e culture
-minor rendimento scolastico
-minor interattivit� sociale
-chiusura in se stessi
-senzazione irreale di se stessi
Inoltre e' importante valutare il cos� detto DUP (durata della psicosi non trattata): pi� � lungo questo periodo ,piu' la prognosi peggiora,la psicosi crea dal punto di vista cerebrale un cos� detto effetto tossico: riduzione della massa ,delle connessioni sinaptiche e vascolarizazione.
Immagini scintigrafiche confermano tutto ci�.
� pertanto importante un discorso di prevenzione, che in Canada trova pi� facile realizzazione,per i sistemi,l'organizzazione e una numerosit� ridotta della popolazione. L'intervento precoce negli esordi psicotici verte soprattutto con l'utilizzazione degli antipsicotici atipici,in particolare: olanzapina,quietiapina,risperidone. Il motivo principale per cui si utilizzano tali farmci � una minore comparsa di effetti indesiderati in particolare EPS.
L'utilizzo infatti dell'Aloperidolo � controindicato per diversi motivi:
-comparsa di disforia dopo 6-12 ore
-EPS
-Sapore non gradito .
Uno studio CAFE (comparison of atypicals in first episode), svoltosi in 52 settimane, mostra l'importanza di questo intervento precoce nel migliorare la morbilit� dei pazienti in questione con l'utilizzo dei seguenti farmaci coi seguenti dosaggi:
-olanzapina 5-20 mg/die
-quietiapina 25-800 mg/die
-risperidone 1-16 mg/die.
Importantissimo � inoltre l'avvio di prevenzioni nelle scuole,nei medici di famiglia,in diversi ambiti sociali per riconoscere i prodromi di tali esordi,anche con attivit� semplici:volantinaggio,campagne pubblicitarie�etc
In conclusione possiamo dire i seguenti aspetti:
1)intervento precoce mirato soprattutto contro l'aspetto tossico delle psicosi.
2)importanza della prevenzione sociale.
3)migliorare la qualit� di vita dei pazienti schizofrenici e schizofrenosimili.

New findings in the acute management of bipolar disorder Calabrese JR.
Nel disturbo bipolare "malattia cronica invalidante" il tempo del paziente trascorso in fase depressiva � molto superiore rispetto alla fase maniacale. (30-50%, contro 15%) Data l'elevata morbilit�, mortalit� ed aumento del rischio suicidario nella fase depressiva � molto importare che questa ultima venga riconosciuta quando la sintomatologia non � ancora risolta e trattata adeguatamente.Recenti studi hanno evidenziato l'importanza di nuovi trattamenti:
-anticonvulsivanti (lamotrigina)
-antipsicotici atipici ( quetiapina)
-olanzapina in monoterapia o in associazione con fluoxetina.
I risultati dello studio hanno evidenziato come la quetiapina in monoterapia era efficace nell'alleviare sintomi per la depressione bipolare (apparente tristezza, incapacit� di sentire, pensieri pessimisti ed ideazione suicidarla), mentre rimanevano invariate il calo dell'appetito ed il senso di stanchezza.
Effetti positivi si sono riscontrati sulla qualit� del sonno della vita e sulla riduzione dei sintomi d'ansia.
I risultati sopra citati poteva essere messi in evidenza anche in pazienti bipolari I e II con disturbo a cicli rapidi. In conclusione si pu� evincere da questo studio che la quetiapina � efficace e ben tollerata nella popolazione generale di pazienti con depressione bipolare.
A cura di E.D'Angelo,V.Vinciguerra.

IL SINGOLO E L'IDENTITA'

B. Callieri L'INSTABILE IDENTITA' DEL BORDERLINE
Sul British Journal of Psychiatry, 20 anni fa circa fu pubblicato un lavoro riguardante il borderline, in cui risultava evidente come, mentre negli anni '70 gli studi erano prevalentemente rivolti ai rapporti con la schizofrenia, e negli anni '80 con i disturbi affettivi, daglin anni '90 l'attenzione si rivolta al rapporto con il borderline in relazione con gli altri disturbi di personalita', quindi riportando sostanzialmente tale patologia dalla psicosi all'area dei disturbi di personalita'.
Nel border, pero', e' soprattutto disturbato il suo porsi in rapporto, a prescindere dalla personalita'. Per questo veniva posto tra il mondo isterico e quello narcisista.
Questa tematica � anche legata al disturbo dell'identita', che richiama alla schizotimia. Alcune caratteristiche del border comunemente accettate sono:
- la presenza di una intensa affettivita' (anche se puo' sembrare estranea, o camuffata, e comunque un'affettivita' non tanto depressiva, quanto disforia, ostile);
- una storia di comportamento impulsivo
- una certa adattabilita' sociale
- la presenza, anche se non obbligata, di brevi esperienze psicotiche;
- un pensiero scucito, ma non dissociato, evidente in situazioni non ben strutturate (e' quel pensiero che, per fare un esempio, non emerge ad un WAIS, ma fortemente ad un Rorschach,, che non e' strutturato);
- relazioni che oscillano tra una disinvolta superficialita' ed un'intensa dipendenza (caratteristica in comune con isterici e narcisistici)
E' importante sottolineare la disforia rabbiosa (anger), che caratterizza il border, una disforia legata a tratti analitici o abbandonaci di depressione (inquadrabile in un ambito schiettamente passibile di ermeneutica psicanalitica).
La depressione di questi giovani e' anedonica indifferenza, che si pone qui fra lo schizoide ed il narcisista. Questa depressione anedonica e' carica di isolamento, per l'incapacita' ad inserirsi in una rete intrisa di relazioni. Qui l'idea della personalita' "come se" comincia ad entrare di buona ragione, poiche' da un lato c'e' una spinta a classificare, dall'altro ad entrare in contatto empatico.
La disforia del border si accompagna spesso ad acting out.
Nel border i sintomi psicotici dominano i tratti di personalita', che sono "stabilmente instabili", e da cui deriva la non relazionabilita' che li caratterizza.
Questo ci porta ad affrontare uno dei capitoli piu' ricchi di conseguenze esistenziali, ovvero quello delle relazioni interpersonali. La vita di coppia richiede una reciprocita' relazionale, di cui il border non e' capace: le sue relazioni sono caratterizzate da una marcata dipendenza e da forti tendenze manipolativa ("l'altro e' un oggetto mio"). Per la necessita' di classificare, il border e' cosi' definito, a meta', con una sorta di parentela con il disturbo istrionico di personalita' (con una certa capricciosita', fantasia eccessiva, ma anche mancanza di coerenza comportamentale), e con il disturbo narcisistico.
Ci troviamo qui di fronte ad una patologia dell'Io, ad un problema dell'identita' dell'Io, di cui lo psicoterapeuta deve tenere conto, nel tentativo di chiarire conflitti, di adattare a difese piu' evolute, di rinforzare l'identita' psicosociale, che, soprattutto, rappresentera' la sfida degli psicoterapeuti dei prossimi anni.
Arnaldo Ballerini LE DECLINAZIONI PSICOTICHE DELLA IDENTITA'
Mentre il concetto del "cogito ergo sum" cartesiano e' puntuale, puntiforme, astorico, quello di Descartes espresso nelle "Meditazioni metafisiche" ("Ma io non conosco bene veramente chi io sia, benche' io sappia di esistere") e' immerso in quella che si puo' definire un'identita' narrativa e quindi storica.
Il tema dell'identita' della persona pone almeno due problemi che ammetteranno soluzioni paradossali: la persistenza nel tempo e l'autodesignazione di se stessi. La coniugazione persistenza-cambiamento dell'identita' della persona ha condotto P. Ricoeur ad individuare tre differenti componenti dell'identita': 1) l'identita'-idem in cui si riconosce l'uguaglianza con "lo stesso"; 2) l'identita'-ipse, uguaglianza con "se stesso"; 3) il rapporto fra questi aspetti che la persona costituisce raccontandosi.
Se il percorso psicotico condurra' al delirio sulla propria identita', si trattera' ancora di una narrazione sul se', ma del tutto "inaccettabile", almeno nel contesto interpersonale.
Il corpo e' il fondamento della soggettivita' e della costruzione della nostra identita': esso oscilla fra due declinazioni differenti, vale a dire "il corpo che ho" (l'oggettto) ed "il corpo che sono" (il soggetto). 
L'evanescenza del "senso d'attivita' dell'Io" di Jaspers, di "appartenenza all'Io" di Schneider, dei propri atti psichici coscienti, di crisi della "meita'", � il punto di torsione massimo nella crisi schizofrenica della identita'.
Una buona proporzione fra io-oggetto ed io-soggetto nella normalita' puo' essere compresa mediante lo strumento euristico della narrazione. L'Altro� e' davvero il "Compagno segreto" del romanzo di Conrad, che fa parte di noi ed e' con noi imbarcato sulla nostra nave dell'identita'.
Un'informe equivalenza di molteplici significati e' intenibile: il delirio sull'identita' non presenta un contenuto casuale, bensi' sicuramente dotato di un significato. Nelle piu' gravi condizioni psicotiche e' il Soggetto che e' in crisi: nella perplessita' sul "chi sono io" vi e' poi il prevalere della passivita' sul se', fino al culmine dell'essere attraversato da forze e correnti estranee�
La crisi d'identita', secondo Ballerini, e' la forma costitutiva della mente schizofrenica: la persona, nella schizofrenia incipiente, ha perduto l'identita' come "essere lo stesso" e sembra in cerca di "essere se stesso". I bagliori deliranti sulla propria origine e l'atmosfera sono quelli di un sogno, ma egli ha l'impressione di essere sognato, piu' che di sognare. Vi e' una radicale messa in crisi della propria consistenza. Una volta trovata la "nuova patria" ed essere passato pertanto dall'acuzie alla cronicita', tutto si spostera' dalla forma al contenuto.
I "puzzling cases" sull'identita' richiedono preliminarmente una uscita fantastica dal mondo della vita, dal "common sense" che regge la dimensione intersoggettiva della presenza umana.
Si avverte un'enigma insolvibile, trasformato in un altro: e nel tentativo di sciogliere tale enigma sulla propria identita', gli psicotici delireranno quindi sulle loro origini, inventando un romanzo familiare a partire dall'anno zero, con la conseguente creazione di una nuova identita' dotata di una propria continuita' temporale.
C. Maggini L'IDENTITA' MULTIPLA
L'identita' multipla rappresenta una condizione morbosa forse destinata a scomparire nel tempo.
La personalita' multipla e' legata al fatto che la coscienza non e' unitaria ed e' dovuta alla mancata associazione dei vari poli della coscienza.
Si dice che siano necessari molti anni perche' uno psichiatra si imbatta in un caso di personalita' multipla (o Disturbo Dissociativo dell'Identita'); forse questo puo' accadere specialmente in quei clinici caratterizzati da un basso indice di sospetto, dall'incapacita' di cogliere le "finestre di diagnosticabilita'", dall'incapacita' di accedere alla struttura intrapsichica, o ancora dalla riluttanza diagnostica avvertita dagli stessi "sensitive alters" (il paziente affetto da personalita' multipla cercherebbe uno psichiatra in grado di riconoscerlo�).
Esiste una sorta di split fra la letteratura psichiatrica nord-americana, che accetta l'esistenza di tale categoria diagnostica, e quella europea, che incontra una certa riluttanza verso questa diagnosi per l'unilateralita' della letteratura ed "incestuosita'" (in quanto si tratta sempre degli stessi autori). Le critiche vertono inoltre sul ricorso a concetti non verificabili.
Nel 1943 era considerata entita' rara, ma oggi sembra divenuta piu' frequente, affermazione pur ricca di molte controversie. Per quanto riguarda la nosologia, da sintomo isterico nel DSM-II diviene entita' nosografia nel DSM-III, pur in assenza di dati empirici di affidabilita' e di validita'. Nel DSM-IV si parla di Disturbo Dissociativo d'Identita', definizione che ha comunque ricevuto numerose critiche.
Il DID e' icona del paradigma traumatologico e assioma del Child (Sexual) Abuse. Il trauma e' l'evento piu' comunemente accettato, evento assiomatico; non sempre si tratta di un trauma sessuale. Nel caso di abuso, strategia difensiva comune sono lo split e l'isolamento degli eventi in compartimenti personificati. Nel caso di mancato abuso, e' frequente la presenza di madri emozionalmente assenti o inadeguate, dove il bambino crea un mondo diverso per colmare il vuoto. In gioco qui ci sarebbe un Vertical splitting piuttosto che una Horizontal splitting.
L'Alter e' spesso di eta' e sesso diverso da quello del paziente, ha tratti e comportamento differenti, stile di abbigliamento e tono della voce etc diversi, e nome proprio. Gli Alter potrebbero rappresentare una personificazione di strutture intrapsichiche. Ad oggi non si parla piu' veramente di individui, ma piuttosto di frammenti di personaklita' o di parti del se' che agiscono conflitti interiori.
Per concludere, il destino del DID, comunque, citando Piper e Merskey (2004), e' "di sparire dalla superficie dell'universo psichiatrico e cadere nell'oblio nei prossimi dieci anni".

A cura di Marzia Delle Piane ed Elena Laura Fiscella 

Quante depressioni? Revisione critica di una diagnosi indefinita

LA NEUROBIOLOGIA DELLA DEPRESSIONE O DELLE DEPRESSIONI? Carmine M. Pariante
L'ipotesi piu'accreditata della depressione negli ultimi 40 anni e' quella legata alla riduzione della NA e della 5-HT. Oggi,pero' si pensa che anche l'asse ipotalamo-ipofisario sia coinvolto nella patogenesi della depressione. La sua aumentata attivita' e gli livelli plasmatici di cortisolo sono legati ad una ridotta o mancato feed-back negativo,espressione di una ipofunzionalita' recettoriale a livello ipotalamico ed ipofisario. Anche la mancata risposta dopo il test al desametasone, l'aumento dei volumi ipofisari e surrenalici evidenziano l'assenza di feed-back per effetto della quale aumenta la produzione di CRH ed AVP ipotalamico dei quali sono noti gli effetti depressogeni. Inoltre la riduzione dei recettori per il cortisolo ne limita l'azione trofica su cervello. 
Un altro elemento importante,evidenziato nella depressione e' l'aumento dei parametri ematici di flogosi, l'obesita', l'osteoporosi. L'aumento dell'attivita' del sistema immunitario stimola la produzione di citochine notoriamente depressogene(IL-6, IFN alfa). Non e' da sottovalutare il fatto che i sintomi influenzali ricordano quelli depressivi? Quale' allora il significato evoluzionistico della depressione? Nel cucciolo animale, rimasto solo nel bosco in assenza della madre e di cibo, l'attivazione di una risposta da stress caratterizzata da immobilita'come risparmio energetico ed iperattivita' del sistema immunitario quale difesa organica, non e' forse espressione di una lotta per la sopravvivenza?
I SAPERI ED IL SENTIMENTO. STORIA CRITICA DEI RAPPORTI TRA SCIENZA E DEPRESSIONE M. Alessandrini 
La storia del concetto di depressione permette di "ripensare" la clinica di questo gruppo di affezioni. Pur se infatti le categorie diagnostiche attuali si presentano radicate nella realt� clinica "pura", esse in realt� sono condizionate da influssi culturali, medici ed extra-medici, sia presenti che passati. La realt� clinica "pura", da questo punto di vista, � in realt� ricca di presupposti impliciti, i quali, se non vengono resi evidenti e consapevoli, la rendono tutt'altro che "pura".La gamma variegata di termini che nei secoli hanno indicato i vissuti depressivi. In questo modo, i raggruppamenti nosografici sia recenti che attuali - quali, per esempio, le due grandi categorie delle depressioni nevrotiche e di quelle psicotiche - rivelano di possedere al loro interno molte suddivisioni.
Queste ultime, di solito, vengono considerate come implicite, e invece nella pratica clinica sono ignorate, perch� se ne � perduta conoscenza. Le parole e il linguaggio, cos� come la razionalit�, pur se hanno il compito di delimitare e di "ordinare" l'area delle sensazioni, devono poi per� riavvicinarvisi, per mantenere vitalit� e ricchezza. � quanto ormai accade per il termine "depressione".
Riscoprendo la gamma variegata di parole che nei secoli hanno indicato i vissuti depressivi, ed esaminando il significato che queste parole hanno assunto nelle diverse epoche e nei vari contesti, traspare nuovamente la natura multiforme del sentire depressivo. Diventa cos� evidente una sorta di "altra psicopatologia" delle depressioni, capace di integrare quella attuale, altrimenti gravemente sterile e insospettatamente inefficace. Grazie alla suddetta ricostruzione, emergono sfaccettature del sentire depressivo che non corrispondono soltanto alle dinamiche individuali messe in luce dalla psicoanalisi, bens� a movimenti dell'area delle sensazioni, movimenti che sono, in un certo senso, il motore generatore delle dinamiche che la psicoanalisi ha focalizzato. L'area delle sensazioni, antecedente al loro strutturarsi in percezioni, e poi da qui in atti di pensiero sempre pi� desensorializzati e configurati, � la dimensione che riaffiora in ogni psicopatologia, ma ancor pi� nei quadri depressivi, ai quali conferisce sfaccettature fondamentali e tuttavia comunemente trascurate.
AVERE OD ESSERE? IL DILEMMA DELLA DEPRESSIONE C. Faravelli 
Con la descrizione di Kraepelin nel suo Trattato della malattia maniaco depressiva non vi furono dubbi sul fatto che essa rappresentasse un'entit� autonoma inquadrata nelle psicosi e con tutte le caratteristiche di una grave sindrome. Con la comparsa dei primi trattamenti efficaci negli anni '60 per� sono cambiate radicalmente le casistiche cliniche da allora sempre pi� ricche di casi di lieve-media entit�. A causa di questa estrema variabilit� nella gravit� della presentazione clinica � sorto un nuovo dibattito sulla nosografia della depressione basato su un'ipotesi unitaria o binaria della malattia. L'ipotesi binaria si caratterizza per un modello basato su un approccio categoriale nel quale la depressione � divisa in due differenti e separate entit�, "endogena" e "reattiva", a seconda della possibilit� o meno di identificare fattori esterni fisici o psicologici implicati nello sviluppo della malattia.Secondo l'ipotesi unitaria invece la depressione non pu� essere divisa in categorie, essendo piuttosto meglio descritta da un modello dimensionale, il pi� semplice dei quali ha una sola dimensione con la depressione endogena ad un estremo del continuum e la depressione reattiva all'altro . La svolta fondamentale � avvenuta nel 1980 con la pubblicazione del DSM III 8 che facendo sostanzialmente riferimento ai criteri di RDC 10 ha preso posizione a favore di un'ipotesi unitaria nella quale la gravit� � misurata in base al numero dei sintomi presentati (di qui il termine depressione major), posizione riconfermata a tutt'oggi dalle edizioni successive del DSM. Gli autori approfondiranno le problematiche relative alla questione della teorie unitaria e binaria della depressione e all'applicazione da parte della nosologia contemporanea del modello quantitativo nella diagnosi della malattia e nella individuazione della depressione sottosoglia. 
DISTURBO AFFRETTIVO STAGIONALE E DISTURBI PREMESTRUALI F. Pacitti
Il Disturbo Affettivo Stagionale � una sindrome depressiva a ricorrenza invernale caratterizzata, oltre da sintomi tipici come umore depresso, irritabilit� , da manifestazione "atipiche", quali iperfagia con il craving per i carboidrati, ipersonnia e peggioramento nelle ore serali. Il Disturbo Disforico Premestruale � caratterizzato da un cluster di sintomi come irritabilit� umore depresso, tensione, craving per i carboidrati, e senso di gonfiore e tensione mammaria. Tali sintomi si presentano caratteristicamente durante l'ultima fase luteinica e si concludono dopo pochi giorni dall'inizio della fase follicolare nella maggior parte dei cicli mestruali durante l'anno. Oltre alla periodicit� circamensile, nel PMDD � stata descritta una ricorrenza circadiana e circannuale dell'andamento di alcuni sintomi, come il craving dei carboidrati, con aumento nelle ore serali e nei mesi invernali. L'obiettivo del nostro studio � stato valutare in popolazione di donne non affette da disturbi psichiatrici della prevalenza di SAD e dei Disturbi Premestruali e la valutazione neipazienti con SAD della prevalenza di sintomi premestruali. Somministrato un questionario ad un campione di 286 donne in et� fertile mestruale. La somma dei punteggi ottenuti in queste scale � stata considerata un indice della tendenza a sviluppare sintomi premestruali .. La presupposta vulnerabilit� alle oscillazioni premestruali dell'umore e del comportamento nelle donne affette da SAD � confermata dalla maggiore percentuale di donne con sintomi premestruali nei soggetti con SAD rispetto al gruppo NON-SAD. Dall'analisi dei punteggi emerge la presenza di una maggiore sensibilit� ai cambiamenti stagionali delle donne che presentano sintomi premestruali, che mostrano un punteggio del SS significativamente maggiore rispetto ai controlli.
LA DEPRESSIONE NELLA PROSPETTIVA PSICANALITICA Fabio Castriota
Le modifiche nell'approccio psicoanalitico nell'ultimo secolo sono state molteplici. L'elaborazione della perdita e del lutto, intorno a cui Freud costitui' la sua tesi, sono alla base dell'approccio psicanalitico della depressione. Nel lutto e nella melanconia Freud individuo' una sorta di ambivalenza caratterizzata da amore ed odio: il dolore nei confronti del genitore, o della persona perduta possono trasformarsi in aggressivita'. Il suicida, nel tentativo di non perdere la persona amata la introietta con il rischio di rivolgere l'aggressivita,' non precedentemente espressa ed elaborata, verso se stesso. Abrham invece pose l'attenzione sulle ferite narcisistiche del bambino. Per la Klein l'istinto di morte e' innato e se non elaborato, lasciato il suo segno nell'infanzia, si ripresentera' nell'adulto. Winnicot pose l'accento sull'ambiente, innanzitutto sulla madre che se non sufficientemente buona (poiche' nessuna e' perfetta) non culla il suo bambino e non lo fa entrare in contatto con la realta'. Ogni cucciolo lasciato solo e' in difficolta'. Quando il bambino si accorgera' poi di essere diventato totalmente dipendente dalla madre egli diverra' frustrato e lo comunichera' ad essa attraverso il morso del seno. Dal rigetto e dalle cosiddette "angoscie senza nome"o primarie deriva un'aggressivita' che, non ricevendo il giusto spazio materno, si trasforma in distruttivita'. Quando la madre sufficientemente buona riesce a rimandare l'aggressivita' del bambino, egli la trasforma in creativita'ed in rapporti con il mondo. L'aggressivita' e' comunque qualcosa di innato che se elaborato permette di entrare in relazione con l'ambiente. Per la scuola americana essa e' una difesa reattiva contro la madre ed un ambiente poco empatico. Un paziente depresso e' un paziente non aiutato nel suo stato pre-edipico, egli deve perdere il suo rapporto simbiotico, paradisiaco, dell'infanzia. Deve decidere di crescere.
Oggigiorno l'analista non e' piu' un ascoltatore quasi passivo ma lavora sul transfert e controtransfert.
L'analisi si svolge nel campo relazionale nel quale l'analista e' implicato nella sua fragilita', affettivita' ed empatia. Creare uno spazio empatico fa si che il paziente possa rielaborare all'interno di questo il proprio vissuto. Tutto cio' e' pericoloso secondo quanto dice Nietzche: "quando guarderai l'abisso negli occhi, l'abisso guardera' dentro di te".

A cura di L. Adriano e G.Gavotti

Temperamento,Disturbi di Personalit� e abuso di sostanze. Moderatori: I.Maremmani,P.P.Pani.

Neurobiologia dei disturbi di personalit� nei tossicodipendenti G. Gerra
Nei tossicodipendenti con disturbi di personalit� si � riscontrato frequentemente un'alterazione neurobiologica, in particolare a livello delle monoamine cerebrali. Il sistema dopaminergico, che sembra contribuire a sostenere il comportamento additivo, quello GABAergico e serotononergico, a loro volta modulatori della risposta dopaminergica a livello striatale, appaiono implicati nell'eziopatogenesi dei disturbi di personalit�. Questi neurotrasmettitori sembrano essere chiamati in causa anche nelle condizioni comportamentali di confine, cosi diffuse tra gli adolescenti problematici, aumentando il rischio dell'utilizzo di droghe.
L'assetto neurobiologico che spesso accompagna l'individuo sin dalla nascita, pu� essere aggravato da interferenze ambientali avvenute durante la gravidanza e l'et� prescolare e dall'esposizione a circostanze avverse durante l'et� evolutiva. 
Negli ultimi studi viene presa in considerazione un polimorfismo genetico (trasporter della serotonina e della dopamina, idrossilasi preposta al catabolismo dei cannabinoidi endogeni, monoamino ossidasi, recettori kappa oppioidi) come causa predisponente allo sviluppo dei disturbi da uso di sostanze ed all'associazione con i disturbi della personalit�. In conclusione si pu� evidenziare come gli elementi neurobiologici assumono un ruolo cruciale nell'instaurarsi della propensione all'aggressivit� e alla antisocialit�, dei disturbi dell'umore che costituiscono gran parte del quadro clinico dei disturbi di personalit� del cluster "drammatico".
Personalita' e temperamento nella tossicodipendenza I. Maremmani
Prosegue il professor Maremmani (universit� di Pisa,istituto di scienze del comportamento "G.Lisio" ) con un approccio strettamente clinico sul problema delle tossicodipendenze. � importante osservare l'incontro tra le caratteristiche dell'utilizzatore della sostanza e della sostanza stessa.
Difatti questo incontro porta a una condizione psicopatologica fortemente rappresentativa non tanto di una dipendenza quanto di concetto chiave nelle tossicodipendenze:l'addiction. Nell'ambito dei Disturbi di Personalita' non si parla tanto di un disturbo a se stante quanto di aspetti morfologici strettamente correlati a tratti impulsivi:l'impulsivit� sembra la pi� correlata all'addiction.
Esistono per� dei binari come disturbi della condotta che passano attraverso disturbi di personalit� antisociale fino all'abuso di sostanze.
Per percorrere un discorso di diagnosi differenziali tra compulsivita' ed impulsivita' bisogna basarsi sul piacere che comporta quest'ultimo.
� una patologia della gratificazione che in un primo periodo passa da un eccesso di piacere ed in un secondo momento a una una carenza. � importante inoltre osservare una forte associazione coi disturbi bipolari in particolare depressioni che partono da una comune ciclotimia.
Per quanto riguarda i temperamenti, lo stato ipertimico � pi� frequente rispetto al distimico e il depresso.
Lo stato ipertimico appartiene sempre a uno sfondo ciclotimico che trova nel tempo una precisa stabilit�.
Si conclude dunque con le seguenti osservazioni:
-la bipolarit� � sicuramente l'aspetto pi� importante nei tossicodipendenti
-la tossicodipendenza � una sorta di autoterapia perversa
-lo spettro di bipolare pu� essere considerato un fattore i rischio per la tossicodipendenza.
Psicofarmacoterapia dei disturbi di personalita' nei tossicodipendenti P.P. Pani
Interviene il professor Pani ,operante nel servizio delle tossicodipendenze di Cagliari, che esprime il problema della psicofarmacoterapia nei tossicodipendenti.
I tossicodipendenti presentano un corteo di comorbilita' molto ampie dovute sia a una compresenza di Disturbi Psichiatrici,sia agli effetti psichici indotti dalle sostanze. Il 30% infatti dei soggetti presenta un Disturbo psichiatrico. Per i restanti sintomi � importante fare riferimento alla tipica irrequietezza indotta dal"craving": intolleranza alla frustrazione,quadri antisociali e borderline,disforia progressiva e forte irritabilit�.
L'approccio dunque psicofarmacoterapico verte soprattutto sull'osservazione e il controllo di tali sintomi.
Bisogna fare attenzione alla somministrazione di antidepressivi per evitare viraggi ipomaniacali,l'utilizzo di neurolettici che possono aumentare il craving,la carbamazepina aumenta il metabolismo del metadone e infine l'importanza stessa strategica del metadone nel controllo e miglioramento del craving.
Temperamenti affettivi e addiction: profili correlati all'addiction e profili sostanzaspecifici M. Pacini
Alcuni profili temperamentali, concordemente con quanto si osserva nei quadri psichiatrici affettivi maggiori, sembrano prevalere nei tossicodipendenti. In particolare, le forme attenuate e temperamentali dello spettro bipolare prevalgono nelle popolazioni di abusatori e di tossicomani di sostanze farmacologicamente diverse, ma accomunate dalla capacit� di indurre reward.
Lo studio di soggetti poliabusatori consente tuttavia di appurare se esistano o meno profili temperamentali che giustificano l'orientamento prevalente verso una classe di sostanze, per associazione del reward con eventuali effetti autoterapici. In alternativa, � possibile ipotizzare che diverse classi di sostanze interagiscano con substrati biologici diversi per produrre vissuti di piacere, con la specificit� di una interazione chiave-lucchetto in cui la porta comune � quella della gratificazione.
Durante l'intervento esposto si e' potuta verificare una forte prevalenza di temperamento ciclotimico tra i poliabusatori come tra i consumatori di una sostanza specifica (in maniera apparentemente non collegata al tipo di sostanza in base all'effetto che produce) rispetto alla popolazione generale.

(a cura di L. Adriano, E. D'Angelo, V. Vinciguerra)

PSICODINAMICA DELL'AGIRE TERAPEUTICO NELL'AMBITO DEI DISTURBI DELLA CONDOTTA ALIMENTARE

L'approccio psicodinamico alla diagnosi di DCA Il Prof. G. Turrini introduce la conferenza con una frase di Pascal: "Le persone si lasciano convincere dalle ragioni che esse hanno scoperto, piuttosto che da quelle scaturite dalla mente di altri". Questo sarebbe l'obiettivo fondamentale della psicoanalisi: non instillare verita' esterne, ma far emergere le dinamiche storiche e psicologiche del soggetto, che viene coinvolto attivamente nel processo terapeutico. La psicoterapia basata sull'insight si scontra spesso, nell'Anoressia e nella Bulimia, con resistenze tenaci: i sintomi sono talmente invasivi che finiscono col mascherare l'indagine sullo sviluppo della personalita' del paziente che li ha determinati. Per superare questi ostacoli viene suggerito il seguente approccio terapeutico:
-Esaminare le distorsioni cognitive prima dell'esplorazione psicodinamica: esse possono infatti impedire l'accesso ai contenuti intrapsichici piu' profondi.
-Evitare di modificare il comportamento terapeutico con un atteggiamento direttivo.
-Evitare le interpretazioni precoci, che sarebbero particolarmente nefaste in presenza di concomitanti distorsioni cognitive.
-Non avere un atteggiamento troppo distaccato: la relazione terapeutica ha un'importante funzione "nutritiva" per il paziente.
Nell'Anoressia Nervosa si verificano quindi concomitanti alterazioni del funzionamento mentale e della personalita' del soggetto. In ambito psicodinamico, il corpo diviene oggetto privilegiato sia degli attacchi aggressivi, sia dell'investimento narcisistico da parte del paziente. Emergono, inoltre, modalita' regressive nell'ambito delle relazioni oggettuali, che coinvlgono, come noto, la figura materna: il soggetto percepisce la madre in termini altamente conflittuali e ambivalenti, oscillando drammaticamente tra desideri inconsci di fusione e angosce di distruzione e annientamento. Sono ricordate, a tale proposito, le parole di Brusset: "Il conflitto fondamentale e' legato al desiderio di ristabilire l'unita' madre-bambino: la fantasia di onnipotenza narcisisticamente vissuta nella primissima infanzia". L'ambivalenza coinvolge inevitabilmente anche la relazione terapeutica: analizzando i conflitti transferali, emerge un rapporto sadomasichiostico tra medico e paziente, basato sul controllo vicendevole ("legame primario"); sarebbe proiettata nella figura dell'analista la scissione tra il desiderio di fusione e le angosce di disintegrazione.
Sono stabilite, infine, alcune analogie con i disturbi da abuso di sostanze, anch'essi riconducibili alla fase sadico-anale dello sviluppo psicosessuale: temi dominanti sono quelli di incorporazione, possesso, controllo.
La psicoterapia risulta quindi una sfida per l'analista stesso, per le inevitabili implicazioni controtransferali: egli dovra' reggere la dinamica di essere sistematicamente "trattenuto" ed "espulso", ma proprio lo spostamento di alcuni conflitti dalla sfera alimentare a quella relazionale costituira' uno dei punti di partenza della risposta alla terapia del paziente.
Dinamiche di separazione-individuazione nell'equipe curante
La Prof. A. Simoncini sottolinea come, all'interno di un trattamento ospedaliero, non sia necessario eseguire una vera tecnica psicoanalitica, ma sia consigliabile un atteggiamento psicoanalitico. Viene raccomandato ai componenti dell'equipe curante, inoltre, di non rimanere ancorati a regole astratte, ma di integrare le proprie convinzioni in modo piu' critico e costruttivo.
Analogamente a quanto avviene nel corso dell'eta' evolutiva, anche all'interno dell'equipe terapeutica esisterebbero i processi di separazione e individuazione. A questo proposito si consiglia al medico di non aderire rigidamente al proprio modello teorico: il rischio sarebbe di colludere con le resistenze del paziente alla terapia.
Il ruolo dell'equipe curante diventa fondamentale al fine di condividere il gravoso pensiero della morte di ogni singolo membro, che e', in questi casi clinici, un'entita' drammaticamente tangibile. Di fronte ai comprensibili timori del medico interno che il paziente muoia, lo psichiatra dovrebbe sottolineare che questa coscienza del pericolo e' in realta' un elemento di sanita' (che manca invece al paziente). Al tempo stesso, pero', il curante non deve essere soverchiato da questo pensiero: una comune reazione puo' essere il tentativo di eludere il problema obbligando il paziente a nutrirsi per "risolvere" il quadro organico e dimettere al piu' presto il paziente. Deve essere chiaro come il ricovero non sia altro che il punto di partenza della cura, anche al fine di creare i presupposti per stabilire una vera alleanza terapeutica, che sara' fondamentale nelle fasi successive. Caratteristica dei pazienti anoressici e' la loro tendenza alla manipolazione: spesso un terapeuta puo' essere svalutato e un altro idealizzato, con possibili conseguenze disgregative per l'unita' dell'equipe: e' necessario, tuttavia, rispettare queste esigenze del paziente, che rappresentano lo specchio della sua scissione interiore: le parti "cattive", proiettate in alcuni curanti, derivano dalla necessita' di mantenere un'immagine di s� sufficientemente buona.
L'equipe curante appare quindi, a livello simbolico, come l'espressione tangibile del rapporto mente-corpo del paziente. L'internista rappresenta, in particolare, quelle "ragioni del corpo" negate, la cui riscoperta sara' il primo passo per un'ideale integrazione tra psiche e soma.
Il trattamento di pazienti con DCA in regime di degenza ospedaliera
La Prof. E. Faloia mette in luce le complicanze medico-internistiche dell'Anoressia Nervosa, che sono particolarmente gravi (nel complesso la mortalita' sarebbe del 5%). Le alterazioni piu' pericolose sono a livello cardiovascolare (aritmie, bradicardia, ipotensione, alterazioni all'ECG), gastrointestinale (ritardato svuotamento gastrico, sensazione di ripienezza, stipsi) ed ematologico (particolarmente temibile e' la comparsa di ipokaliemia grave, oltre ad anemia e neutropenia).
Quando tali complicanze risultano gravi (ad esempio in caso di bradicardia spiccata) e'necessario il ricovero, che avrebbe solo la funzione specifica di accertare e correggere il danno biologico, attraverso la terapia infusiva, psicofarmacologica e il monitoraggio dell'alimentazione. Il ricovero e' piu' frequente nel sesso femminile, l'eta' media e' 24 anni, il BMI medio e' 14.
Non vanno naturalmente ignorate le inevitabili influenze psicologiche durante il ricovero: un'eccessiva contrattazione col paziente sul tema dell'alimentazione finira' col favorire le frequenti reazioni fobico-ossessive nei confronti del cibo.
Finalita' operative ed interpretazioni nel ricovero di pazienti con Disturbo della Condotta Alimentare
La Prof. V. Falcioni descrive il fondamentale ruolo, nella terapia dei DCA, di un approccio integrato: sono coinvolte le figure dello psichiatra, dell'endocrinologo e del nutrizionista. Anche quando il ricovero avviene in un reparto internistico, l'intervento dello psichiatra non si riduce ad una semplice consulenza esterna, ma e'integrato nel protocollo di cura, attraverso colloqui di sostegno, il monitoraggio degli psicofarmaci, il supporto ai genitori.
Durante il ricovero, non deve essere imposto un particolare regime alimentare: con atteggiamenti direttivi si otterrebbero infatti risultati rapidi ma temporanei. Il sintomo, inoltre, rappresenta un importante segnale, che veicola un elemento simbolico di sofferenza, e non andrebbe inizialmente del tutto abolito.
Nei casi gravi, tuttavia, e'indicato un approccio piu' invasivo, tenendo sempre conto, pero', delle implicazioni psicologiche. L'uso del sondino naso-gastrico rappresenta, ad esempio, un intervento terapeutico ipercontrollante: in un primo tempo il paziente tende a rifiutarlo perche' vede il nutrimento come un'invasione al corpo; successivamente, invece, egli nota che non ha piu' bisogno di ingerire cibo: il sondino assume quindi il significato simbolico di un cordone ombelicale. Vi sarebbe infine una sorta di regressione intrauterina, con un vissuto di onnipotenza che puo' ostacolare lo "svezzamento" dal sondino.
La terapia dei Disturbi della Condotta Alimentare deve essere quindi duttile e plastica, adeguata ad ogni singola situazione. I pazienti devono prendere coscienza che il problema di base non e' mangiare, ma accettare il bisogno di essere dipendenti dal cibo.
Adolescenti con DCA: psicoterapia di gruppo e processi di soggettivazione
La Prof. S. Marchegiani sottolinea come sia necessario inquadrare le complesse dinamiche alla base dei Disturbi della Condotta Alimentare nell'ambito dei conflitti che caratterizzano l'adolescenza. Il corpo diventa in questo periodo il ricettacolo di disarmonie emotive ed il principale veicolo dei disagi individuali e relazionali. La consapevolezza che il rifiuto del cibo rappresenta la negazione del mondo esterno, vissuto come inquietante e spaventoso, induce ad individuare nel gruppo lo scenario ideale per integrare quei vissuti di disgregazione e di confusione tra il Se' e l'Altro, tipici di questi pazienti.
La terapia di gruppo sarebbe fondamentale per offrire un iniziale appoggio narcisistico-identificatorio al paziente; egli puo' inoltre proiettare parti scisse di se' in tempi piu' rapidi che con la psicoterapia individuale ed utilizzare il gruppo come oggetto transizionale per integrare parti di se' rifiutate, sperimentando una fusionalita' non piu' distruttiva.
Lo stesso Jung sosteneva che non esiste vera individuazione se non nella relazione: il gruppo ha quindi una funzione cruciale nel cammino del paziente per raggiungere un'autentica autonomia.
Nelle prime fasi di terapia gruppale, il paziente tende ad identificarsi in modo assoluto con il sintomo presentato. Tale esigenza andrebbe sempre riconosciuta: il sintomo, che e'comune, e' vissuto anche come identico a quello degli altri pazienti (senza alcuna vera individuazione). Dopo questa fase, di "illusione gruppale", in cui non esisterebbero apparenti rivalita', iniziano successivamente a manifestarsi i primi conflitti, come frequenti ritardi, fino al possibile abbandono della terapia di un membro del gruppo. Gli altri componenti possono avvertire allora sentimenti oscillanti tra colpa e rabbia, che possono coinvolgere anche la figura del terapeuta. Dopo alcuni mesi, il gruppo riuscira' comunque, nella maggior parte dei casi, a diventare una cornice sufficientemente contenitiva da permettere ai membri di superare le tematiche strettamente alimentari: saranno affrontate allora dai pazienti le componenti affettive piu' profonde, fino al riconoscimento della propria "ombra", prima vera fase del processo di individuazione: il gruppo, con la sua funzione di "terzita' paterna", puo' riuscire quindi a scindere il legame assoluto con l'immagine materna, che rappresenta il conflitto fondamentale alla base dei pazienti con DCA.

A cura di Gabriele Giacomini 

DAL DISTURBO DELLA CONDOTTA ALLA PERSONALITA' ANTISOCIALE: PROSPETTIVE ED INTERVENTI POSSIBILI

Il Prof. D. Calderoni sottolinea come i Disturbi del Comportamento dell'Eta' Evolutiva non costituiscano una categoria nosografia omogenea, ma riflettano molteplici tipologie e percorsi psicopatologici. Per Disturbo del Comportamento, comunque, s'intende l'insieme dei caratteri, inappropriati per l'eta', che violano le aspettative della famiglia, le norme sociali, il diritto altrui.
Ai fini prognostici, risulta di particolare importanza la suddivisione di due sottogruppi, quello persistente (ad esordio precoce con tendenza alla persistenza in eta' adulta) e quello limitato all'adolescenza (ad esordio piu' tardivo e con tendenza alla remissione in eta' adulta). Si descrivono quindi un pattern normativo (tendente ad un graduale ristabilimento del funzionamento sociale) ed un pattern deviante, tendente ad evolvere in Disturbo della Condotta, che compare soprattutto all'eta' di 9-12 anni.
Dati epidemiologici recenti evidenziano che circa il 70-80% dei bambini con Disturbo del Comportamento percorre il pathway normativo. Il 90% dei casi il Disturbo della Condotta, invece, insorgerebbe da un Disturbo Oppositivo Provocatorio. Il Disturbo della Condotta rappresenta quindi una tappa intermedia tra Disturbo Oppositivo Provocatorio e Disturbo Antisociale di Personalita'
Quali fattori modulano la dimensione della condotta? Essi sono ancora in gran parte ignoti; si distinguerebbero, in ogni caso, variabili personali e ambientali (Lahey,1999). Tra i fattori personali sarebbe di particolare importanza il temperamento (ruolo cruciale sarebbe svolto anche dalla regolazione genetica dei tassi di testosterone, che spiegherebbe l'incidenza cinque volte superiore nei maschi di questi disturbi) ed alterazioni neuro-cognitive (un Q.I. verbale alto sarebbe un fattore protettivo per lo sviluppo dei Disturbi del Comportamento, mentre una diagnosi di ADHD, specie se sono presenti piu' di 8 item, costituirebbe un fattore di rischio).
I fattori ambientali maggiormente implicati sono invece un basso livello socio-economico, la diagnosi di Disturbo Antisociale di Personalita' nei genitori (soprattutto se entrambi ne sono affetti), il contatto con coetanei dediti a comportamento antisociali. L'intake in eta' precoce e con un alto numero dei sintomi risulta essere significativamente correlato con una prognosi sfavorevole.
Il Prof. U. Sabatello, nel suo intervento, nota innanzitutto la presenza di un continuum psicopatologico nell'azione violenta dell'adolescente. Si va dalla violenza come semplice affermazione di se', all'aggressivita' nevrotica, fino alla violenza narcisistica (la piu' efferata e pericolosa).
Sono prese quindi in esame due popolazioni diverse di ragazzi minori autori di reato, quelli provenienti dal circuito penale e quelli che giungono dal contesto psicoterapeutico. Ci sono stati fattori sostanziali che hanno determinato l'appartenenza di un individuo all'uno o all'altro gruppo? Vi sarebbero significative differenze per quanto riguarda i fattori personali e familiari, non altrettanto si puo' affermare per quelli relativi al mondo esterno (l'influenza dei pari non sarebbe dunque determinante nella formazione delle due diverse popolazioni).
Il Prof. G. Rigon espone la sua esperienza presso il Day Hospital relativa ai Disturbi della Condotta in adolescenza. Nell'approccio al paziente, fondamentale risulta un'attenta valutazione clinica: il comportamento deve essere considerato come un epifenomeno di una sottostante organizzazione psicopatologica. Risulta inoltre importante instaurare, pur nei limiti della situazione, un'alleanza terapeutica, riservando particolare attenzione alle dinamiche transferali e controtransferali: la psicoterapia costituisce un importante bagaglio del curante, ma e' innanzitutto una dimensione dinamica dell'istituzione terapeutica stessa. Come sostiene Jeammet, l'intervento psicoterapeutico deve avere un duplice scopo: alleviare i sintomi debilitanti ed aumentare la capacita' dell'apparato psichico, per portarlo ad un livello piu' maturo. 
I dati disponibili, tratti da questa esperienza, sono i seguenti:
- Esiste un'alta percentuale di tratti depressivi in questi pazienti (nei test 53-58%)
- Intervenire sui fattori ambientali produce risultati piu'favorevoli rispetto all' intervento sui fattori biologici (l'uso di farmaci risulta limitato e rischioso).
- Vista la grande complessita' di inquadrare quest'area patologica, la diagnosi si deve considerare come un processo (evitando alberi diagnostici astrusi e scattosi).
- Concreti miglioramenti (quantificabili alla scala CGAS) sono riscontrati quando viene attuata una psicoterapia istituzionale, che agisce sui fattori ambientali.
Il Prof. S. Ferracuti, nell'ultimo intervento, definisce "carriera criminale" una modalita' classificatoria di condotte criminali, in diverse tipologie. I sistemi penali vorrebbero identificare i comportamenti criminali a rischio di recidiva, ma e'difficile trovare una base teorica accettabile: e' quindi auspicabile l'affinamento degli strumenti diagnostici.
Di particolare rilievo risulta un dato statistico secondo cui una larga proporzione di reati gravi e'commessa da un piccolo segmento di popolazione criminale: il 5-6% degli autori compie il 50-60% delle azioni piu'gravi: questi soggetti iniziano prima la loro carriera, che ha anche maggiore durata nel tempo.
Il cluster B dei Disturbi di Personalita' del DSM-IV, che comprende il Disturbo Antisociale e il Disturbo Borderline, e' associato ad un aumentato rischio di detenzione, indipendentemente da altri fattori. Nella definizione di Disturbo di Personalita' del DSM e' implicito il concetto di stabilita', anche se non vanno ignorate le possibili modificazioni.
Sono inoltre riportate alcune associazioni significative: omicidio-personalita' narcisistica, tentato omicidio-personalita' paranoide, incendi e reati sessuali-personalita' borderline.
La responsabilita' sociale di suggerire un parere significativo su tali questioni ricade sullo psichiatra e sullo psicologo. Fondamentale e' inoltre individuare il sottogruppo sul quale intervenire in eta' pediatrica.

A cura di Gabriele Giacomini

IL PROFILO DEL CRIMINALE VIOLENTO: DALLA NORMALITA’ ALLA FOLLIA

 

Corrado Augias, noto giornalista RAI, apre il suo intervento riportando la drammatica vicenda di cronaca riguardante i Marchesi Casati.

L’uomo, che aveva organizzato attivamente gli incontri della moglie con sconosciuti, diviene ora sconvolto nel percepire di aver perso il controllo della situazione. Il pensiero che la persona amata stia vivendo una relazione non piu’ unicamente sessuale ma sentimentale e’ intollerabile.

Da un punto di vista psicopatologico, il Prof. Servadio nota come il marchese Casati sia affetto da voyeurismo. Questo disturbo sarebbe una variante del masochismo, in cui caratteristica fondamentale del paziente e’ la sua preoccupazione di programmare e controllare la situazione. La vittima, nella vicenda descritta, aveva continuato una relazione al di fuori di quanto stabilito dal marito: sarebbe stata questa la fonte di un’angoscia intollerabile da parte dell’uomo, la fonte principale della sua furia omicida.

Altrettanto inquietante e apparentemente incomprensibile risulta il comportamento di Anna Fallarini: perche’ aveva assecondato passivamente i desideri del marito? Si potrebbe interpretare il suo atteggiamento alla luce dei tratti esibizionistici del suo carattere. Il Prof. Mastronardi propone invece un’interpretazione piu’ sottile: la donna, di umili origini, era particolarmente suggestionata dalla figura del marito e dalla sua posizione sociale, che gli permettiva un’oziosa vita di rendita. Tale fascino si era tramutato in timore. Ella quindi avvertiva la necessita’ di cedere alle richieste del marito, non senza compiacimento e partecipazione emotiva. La donna sembra quindi soffrire di un quadro morboso assimilabile a quello della sindrome di Stoccolma (condizione psicologica riferita ad episodi in cui una vittima può manifestare sentimenti positivi nei confronti del suo aggressore, arrivando ad instaurare con lui anche un forte legame affettivo, in alcuni casi fino all'innamoramento).

Il Prof. George B. Palermo presenta il significativo profilo di due serial killer.

Il primo e’ Jeffrey Damer (il "mostro di Milwakee"), autore di almeno quindici delitti, tutti avvenuti compiendo sulle proprie vittime le azioni piu’ raccapriccianti (sevizie, abusi sessuali, cannibalismo).

Il paziente al colloquio con lo psichiatra appare lucido, coerente, logico, in pieno contatto con l’ambiente circostante. Non nega i crimini e, dopo qualche iniziale esitazione, li descrive nei particolari. I test mentali non rilevano segni di psicosi, cosi’ come TC, EEG e una mappa cromosomica non mettono in luce significative alterazioni.

Viene cosi’ diagnosticato un disturbo di personalita’ misto, con tratti narcisistici, sadici, ossessivo-compulsivi, paranoidei (lo stesso paziente ammetteva impulsi lussuriosi e desiderio di potere). Damer non si puo’ considerare dunque affetto da un disturbo psicotico.

Il profilo di Damer e’ quello del serial killer lussurioso-organizzato, non sociale (nella vita di tutti giorni si presentava infatti timido e riservato).

Il secondo killer preso in esame e’ Luigi Chiatti (il "mostro di Foligno"), che uccise due bambini prima della sua cattura. Il Prof. Palermo, che intervenne come perito nel corso del processo, afferma di essere rimasto profondamente colpito dall’estremo distacco con cui Chiatti descriveva i suoi delitti. Egli parlava dei suoi omicidi in maniera puerile, proiettando le sue colpe sulle sue vittime, che, a suo dire, non lo avevano aiutato. Il suo infantilismo appariva senza dubbio inquietante

Palermo ha ritenuto che l’imputato fosse seminfermo di mente, parlando di disturbo borderline di personalita’ (BPD): sono infatti presenti modalita’ pervasive di instabilita’, sia nell’immagine di se’, sia nelle relazioni interpersonali (con oscillazione tra gli estremi di idealizzazione e svalutazione), sia nell’umore (senso di vuoto), con ideazione paranoide. Palermo, ancora prima dell’uscita del DSM-IV, considera inoltre la presenza di brevi eventi psicotici e stati dissociativi transitori come parte integrante del BPD.

Il profilo di Chiatti, a differenza di Damer, e’ quello del serial killer non organizzato. Chiatti non avrebbe programmato i suoi delitti, che sarebbero frutto della sua personalita’ impulsiva ed instabile. Per quanto riguarda la sua pericolosita’ sociale, tuttavia, vi erano senza dubbio gli estremi per una detenzione a vita.

 

SEMEIOTICA INVESTIGATIVA — C. Bui

 

La Direzione Investigativa della Polizia di Stato e’ nata nel 1985: per risolvere un caso non e’, infatti, sufficiente la scienza anche in presenza di ogni traccia biologica possibile, in quanto esse possono dimostrare la presenza del soggetto sulla scienza del crimine, ma non la colpevolezza! Per fare cio’ e’ fondamentale l’attivita’ investigativa.

E’ originata cosi’ la nuova figura del Criminal Profiler che puo’ avvalersi di diversi modelli di studio, quale, fra i primi, il metodo Morelliano che si approccia alla scena del crimine come ad un’opera d’arte. Lo studio della personalita’ dell’autore in quest’ultima, cosi’ come nella scena del crimine, deve essere fatto a partire dai particolare, da quei punti in cui lo sforzo dell’artista e’ minore, e quindi l’espressione e’ piu’ spontanea.

Non bisogna dimenticare, inoltre, il ruolo dell’influenza ambientale nel determinare caratteristiche del crimine; a questo proposito il professor Bui fa riferimento ai delitti avvenuti a Roma a carico di diversi omosessuali. Tutto aveva fatto pensare ad un serial killer x le similitudini repertate, in realta’ frutto delle circostanze. Secondo il relatore e’ fondamentale, durante l’esame dei dettagli, evitare di "scoprire l’acqua calda", lavorare sulla realta’ piu’ oggettiva della scena del crimine, evitando di iniziare con le interpretazioni di carattere ambientale/psicologico prima di aver esaurito le conclusioni piu’ banali.

 

MADRI INFANTICIDE — V. Mastronardi

 

Il 30,5 % degli omicidi sono perpretati fra familiari e amici… si potrebbe dire che la famiglia non e’ luogo di massima sicurezza.

Le vittime sono nel 69,3% uomini, nel 30,7% donne, gli autori rispettivamente 88,6% e 11,4%.

Diversi studi statistici sono stati effettuati per individuare pattern di rischio e rischio di recidiva per effettuare, cosi’, opere di prevenzione secondaria e terziaria, mancano; pero’, studi per aiutare la prevenzione primaria che permettano di individuare i fattori di rischio indice di pericolo di devianza della persona.

Per quanto riguarda la prevenzione di infanticidi si e’ notato essere indicativo di tale pericolo la presenza di viraggi improvvisi dell’umore della madre, S. di Back (visione negativa di se’ e del mondo).

In seguito il relatore ha mostrato un filmato riguardante diversi casi di infanticidio.

 

A cura di G. Giacomini, S. Gotelli

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