Immagini della melanconia dall'Antichità all'Età Moderna

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26 ottobre, 2012 - 13:06

Riassunto

Attraverso la proiezione di immagini tratte dalla tradizione figurativa viene ripercorsa la storia della melanconia. Le sue vicissitudini permettono di situare nel Medio Evo il momento centrale in cui si delineano le nozioni di introspezione, soggettività e responsabilità individuale. Queste concorrono alla formazione del concetto occidentale di mondo interiore, così come siamo soliti intenderlo oggi .

Nota

Il testo che segue costituisce l'accompagnamento e il commento alla proiezione di 80 diapositive, tratte dall'archivio di A. Mancini. Per ragioni tecniche se ne propone una scelta limitata che privilegia le incisioni, cioè un repertorio iconografico già tardivo rispetto al tema trattato. Il tema della relazione trae spunto dal libro dell'autrice: <<Un dì si venne a me malinconia...>>. L'interiorità in Occidente dalle origini all'età moderna (Milano, F. Angeli, 1998).

 

 

1. Introduzione

 

[vedi immagine n° 1: Dürer, Melencolia In° 2: Ripa, MalinconiaLe immagini che avete appena teminato di vedere hanno in comune atteggiamenti, posture e gesti fatti di abbandoni e ripiegamenti su se stessi che, nel nostro modello di cultura, non esitiamo a riconoscere come melanconici.

Anche se l'accostamento di soggetti diversi e con significati così distanti tra loro può apparire discutibile, preferisco prendere l'avvio dalla persistenza delle modalità iconiche, per vedere nel corso della proiezione che cosa si svolge sotto l'apparente costanza del linguaggio non-verbale. La melanconia infatti è un concetto privo di un volto univoco e tale da sottrarsi ad un affrettato schematismo definitorio.

Mi sono rivolta alla melanconia perché seguendo l'evolversi di questa figura nell'orizzonte simbolico e culturale dell'uomo occidentale possiamo ricostruire alcuni passaggi cruciali della nostra storia mentale: come si sono sviluppati la capacità di introspezione e il senso di responsabilità individuale, come si è scoperta la dimensione interiore, come è emersa la soggettività quale la intendiamo comunemente oggi.

Il periodo cui farò riferimento è il Medio Evo. E' qui infatti che prendono forma atteggiamenti mentali, modi di sentire e di pensare nuovi, che daranno vita all'interiorità in senso moderno.

I medici qui presenti - che ringrazio insieme con tutti gli altri per essere venuti - potranno sentirsi delusi, perché nella storia della melanconia che racconterò aiutandomi con le immagini, la medicina finisce con l'avere un ruolo marginale. Ma saranno confortati dal vedere come un concetto, che è nato dalla medicina e dalla medicina ha tratto quelle peculiarità che lo accompagnano ancora oggi, abbia debordato dai suoi limiti originari sino a pervadere tutti i campi della cultura e della quotidianità, mantenendo così intatta la propria vitalità.

 

 

2. L'ambiguità originaria della melanconia

Circa le origini greche della melanconia e le sue caratteristiche salienti, queste sono state già illustrate dalle relazioni che mi hanno preceduto. Mi preme tuttavia porre l'accento su un'ambiguità di base, riferibile alla sua doppia natura: è vero che essa nasce come umore (la bile nera o atra bile) - il che la radica nel corpo come patologia organica - ma questa patologia ha la peculiarità di manifestarsi prevalentemente attraverso sintomi psichici. Tale ambiguità non abbandonerà più la melanconia, che si viene quindi a configurare sin dai suoi esordi come concetto limite tra corpo e anima, tra esterno e interno, tra medicina e filosofia; e come incerto confine tra normalità e patologia. Dunque, come area di possibili conflitti.

Sul versante dell'anima quest'area viene occupata dai lirici greci, i quali cantano la malattia d'amore, mostrandoci le prime affermazioni, in Occidente, di un'embrionale identità individuale. (Il tema della follia amorosa riprenderà vigore molto più tardi, con i poeti cortesi medievali).

La doppia natura della melanconia, che a tutta prima potrebbe apparire come un fattore di debolezza, ha costituito di fatto la sua forza e ne ha segnato la longevità. Infatti, in quanto espressione somatica su base umorale di un disagio mentale, la melanconia ha potuto tutelare e garantire l'esistenza di uno spazio psichico, in qualsivoglia modo questo venisse concepito. Così facendo essa ha fornito una legittimazione all'area soggettiva ed intima, contro i ripetuti tentativi di un suo incorporamento nell'organico o di una sua cancellazione.

 

 

3. La melanconia nella medicina medievale

E' incredibile constatare come il paradigma epistemologico in seno al quale vede la luce il concetto di melanconia persista sino al XVII secolo, sino all'avvento cioé della medicina cosiddetta scientifica. I progressi dell'età romana, relativi alla descrizione e classificazione delle malattie, non lo mutano; nè modificano lo statuto della melanconia. La quale trasmigra nella medicina medievale con ritocchi irrilevanti sul piano epistemologico.

Per il medico medievale la melanconia si qualifica come "alienatio mentis sine febre" e si identifica con la patologia psichica per eccellenza.

Così é per Costantino Africano (s. XI-XII), medico dalla vita avventurosa avvolta nella leggenda, il quale scrive un De melancholia. In questo testo, dove l'influenza vicendevole di mente e corpo è centrale, viene ribadita la natura organica del male e respinta qualsiasi suggestione soprannaturale. Costantino è attentissimo alla descrizione di quadri psicopatologici in cui non stentiamo a riconoscere alcuni depressi e psicotici odierni; ma ciò che maggiormente colpisce in lui, e ce lo rende vicino, è l'atteggiamento psicologico raccomandato per accostarsi ai pazienti melanconici e render loro accetta la terapia corporea.

Vediamo alcuni degli interventi sul corpo allora in voga. [vedi immagine n° 3: Cauterizzazione XIII s. ]

Questi finiscono sovente con lo sconfinare nella ciarlataneria, come ben coglieranno artisti e illustratori.

La medicina "biologica" secolare proseguirà per la sua strada, combinandosi via via con influssi astrali, pratiche esoteriche, ricerche alchemiche, come avverrà per i Ficino e i Paracelso che riscopriranno le valenze di creatività e genialità proprie della melanconia, presenti in alcuni trattati dell'Antichità come quello dello Pseudo Aristotele.

Accanto a questo filone per così dire classico, la medicina medievale sviluppa un approccio diverso alla melanconia, che reinterpreta la dottrina umorale alla luce di una visione cristiana del rapporto tra anima e corpo, spostando l'accento sui temperamenti connessi agli umori e privilegiando quindi le tipologie caratteriologiche e gli aspetti psicologici, a scapito del corpo.

Rappresentante emblematica di questa tendenza è Ildegarda di Bingen (s. XI-XII), figura di donna atipica, badessa in contatto con illustri personaggi dell'epoca, teologa, mistica e visionaria, scrittrice di musica ma anche di medicina, medico che non disdegna il ricorso all'astrologia e all'esorcismo. Per Ildegarda la melanconia è un fattore costituivo del genere umano, impresso come eredità dalla colpa originaria di Adamo ed Eva; è un'epidemia (pestis) che si diffonde attraverso il seme dell'uomo e che degenera in patologia ogniqualvolta il cristiano cade in peccato.

 

 

4. La melanconia come Vizio

Cosa succede fuori dalla cerchia medica?

Dopo la caduta dell'Impero Romano la Chiesa diffonde (e gestisce) un'ideologia salvifica e di speranza che promette a tutti un risarcimento in Cielo per le ingiustizie patite in terra. Essa riesce così a dare un senso alle incertezze concrete e alle angosce psicologiche che affliggono l'Occidente. Per le folle eterogenee di allora mette a punto una sorta di pedagogia dell'anima atta ad arginare il disordine dilagante con la regolamentazione dei comportamenti esteriori. E' una dottrina morale semplice, che fa perno sul sistema dei Vizi e Virtù, dove il conflitto psichico viene proposto alle masse in chiave di peccato (nulla della complessa articolazione teologica dei primi secoli del cristianesimo, né dello scavo psicologico del periodo successivo).

La melanconia fa il suo ingresso nella tradizione morale cristiana attraverso la porta del peccato, o meglio, del vizio. Nella fattispecia, attraverso il vizio capitale dell'Accidia; coinvolgendo anche i vizi della Tristitia e dell'Ira. E siccome ogni vizio è correlato con una determinata categoria sociale, l'accidia non fa eccezione: a lei toccano gli oratores, ossia gli uomini di preghiera. Fra questi, l'accidia predilige il monaco, colui che ha scelto di ritirarsi dal mondo, e si materializza nel "mal della cella" o noia claustrale. Questa consiste nel cedere alle tentazioni, ossia nel cadere preda di fantasie incontrollate che danno luogo ad ossessioni e allucinazioni, le quali a loro volta conducono il monaco dalla sonnolenza ad alterazioni del carattere, dalla pazzia al suicidio per disperazione. [vedi immagine n° 4: Schongauer, S. Antonio tormentato dai demoni ] E la disperazione è uno dei peccati più gravi per il cristiano, perché testimonia il vuoto dell'anima, la perdita della speranza nella misericordia divina. Responsabile di questo stato è - coerentemente con la visione psicologica di allora - un agente esterno: il demone meridiano.

La Regola di Benedetto cercherà di porre rimedio anche ai mali dell'accidia-melanconia, proponendo per la cura dell'anima una regolamentazione dello spazio interiore attraverso la preghiera (ora), e per la cura del corpo una regolamentazione dello spazio esteriore attraverso la fatica fisica (labora).

La parola "melanconia" scompare dal lessico della Chiesa, ma è per noi evidente la sovrapposizione tra il vizio dell'accidia, proprio della pastorale cristiana, e la sindrome melanconica o atrabiliare, così come la descrivono i medici medievali.

Tuttavia, all'interno di alcune correnti del cristianesimo e in apparente contraddizione con la pastorale cristiana, la melanconia conserva alcune delle sue valenze positive, derivate dalla tradizione classica e che consistono nella meditazione e nella capacità di riflessione su se stessi. E' il filone mistico, il quale reinterpreta la melanconia come "prova" inviata dal Cielo per temprare lo spirito in funzione dell'ascesi, della contemplazione e dell'annullamento in Dio.

Solo dopo il XII secolo la Chiesa rivaluterà questi aspetti della melanconia, ormai funzionali alla sua nuova strategia pedagogica.

 

 

5. La melanconia nella poetica cavalleresca e nella cultura folklorica

Vorrei toccare altre due facce, ancora diverse, attraverso cui la melanconia si è offerta alla cultura occidentale, presentandosi - almeno all'inizio - sotto vesti secolari.

1) La cultura della cavalleria. Qui narratori e trovatori cantano la sofferenza struggente per l'amore irragiungibile - la malattia d'amore - fino all'esplosione della follia., che può arrivare alla forma estrema di degrado con la perdita degli attributi di nobiltà e l'assunzione dei tratti ferini del selvaggio. [vedi immagine n° 5: Nabucodonosor? s. XII ] La fuga nella foresta dei Tristano, dei Lancillotto, degli Ivano rappresenta il luogo simbolico della perdizione, ma altresì la possibilità di rinascita spirituale (paradigmaticamente, la <<selva oscura>> di Dante). Nella poetica cavalleresca lo stato melanconico equivale a una riflessione già tutta soggettiva sui propri affetti, emozioni, passioni legati alla nostalgia e alla perdita, con un significato prossimo a quello che gli attribuiamo oggi, nel nostro linguaggio comune.

2) Non così in un altro dei molti volti della melanconia, quello assunto nella tradizione non scritta dalla cultura popolare e folklorica. Qui la melanconia segna lo spartiacque tra sano e malato, tra civile e selvaggio, tra natura e cultura. La ritroviamo nei panni allegorici di figure di emarginati, di devianti straccioni e deformi, i quali prendono a prestito i connotati saturnini per raccontare la loro deformità psichica (come già il cavaliere inselvatichito). Questa galleria di personaggi contempla appunto il selvaggio e poi il viandante, il misero, lo stolto, il giullare. [vedi immagine n° 6: Misero dei Tarocchi Mantegna ] Più tardi, con intenti ormai moralizzanti, si aggiungeranno l'eremita e figure di santi come Giovanni Battista e la Maddalena, in vesti selvagge.

Il manifestarsi della melanconia nella cultura cosiddetta bassa abbraccia anche le feste. Le feste, coi loro rituali comunitari, costituiscono da sempre un modo istituzionale per incanalare e contenere la devianza, lo scontento sociale, la follia. Nelle feste medievali la melanconia è protagonista, ma "alla rovescia", secondo il "principio del capovolgimento" che governa la mentalità del mondo medievale. Essa presta i suoi connotati per rappresentare parodisticamente il male di vivere e la miseria quotidiana. Ed ecco le "feste dei pazzi", i Carnevali, le "feste dell'asino", i pellegrinaggi "terapeutici" e i miti come quello del paese di Cuccagna. [vedi immagine n° 7: Brant, Stultifera Navis]

 

 

6. La melanconia nella nuova pastorale cristiana

Torniamo alla Chiesa.

Per dare un'idea di come si è compiuto il processo di interiorizzazione nella pastorale cristiana dopo il 1000, vi mostrerò come è cambiata l'iconografia del Cristo: da entità distaccata e giudicante a uomo tra gli uomini. [vedi immagine n° 8, Dürer, La piccola Passione ]

Con i mutamenti economici, sociali e politici, successivi al 1000, volti a valorizzare la vita terrena e i beni mondani, la strategia pedagogica della Chiesa passa da un sistema basato sul controllo dei comportamenti del corpo a un sistema orientato sul controllo dei moti dell'animo: dalla condanna dei vizi alla condanna delle intenzioni che conducono ai vizi.

E' un passo decisivo verso la formazione dell'interiorità, che vede la melanconia protagonista dell'esame di coscienza e della nuova teologia della contrizione. Da adesso, la melanconia diviene l'abito mentale "giusto", richiesto al penitente. Il fedele è spinto all'introspezione e a un dialogo continuo con le proprie fantasie e angosce interiori, proprio quelle che prima, come "tentazioni" del demonio, attribuiva ad entità esterne e ora invece riconduce a se stesso. Questa promozione della riflessione psicologica di massa fa leva su due strumenti:

a) Il rinnovamento del sacramento della Confessione. Col Concilio Laterano IV (1215) viene infatti esteso ai laici l'obbligo annuale della confessione col proprio parroco, il quale è tenuto ad indagare moventi e circostanze dell'azione peccaminosa, in relazione alla personalità del peccatore.

b) La formulazione del Purgatorio (ufficializzato nel Concilio di Lione del 1274). Col Purgatorio si apre uno spazio nuovo per l'espiazione e il riscatto, dove si piange per il male commesso e ci si macera per la nostalgia di Dio (come in Dante).

Dal Giudizio Universale si passa ora al giudizio individuale e si sviluppano le "arti del ben morire", che consentono un riscatto in articulo mortis. Si rimodella un discorso morale sul senso della vita a partire dalla paura della morte. Rispetto alla rigida suddivisione precedente tra eletti e dannati, tra Paradiso e Inferno, il Purgatorio si configura come luogo intermedio, come spazio per il possibile e per il probabile: due nuove categorie mentali che aprono vie inedite all'autonomia dell'individuo.

Col Purgatorio la Chiesa dà una risposta agli interrogativi e ai dubbi del fedele, la cui vita è sempre più impostata su valori mondani. In questa fase della pastorale cristiana, la melanconia si insedia come interrogativo sul senso dell'esistenza.

 

 

7. La melanconia come "male di vivere"

Alle soglie del Rinascimento la melanconia viene ormai riconosciuta come componente essenziale della natura umana (in un senso quasi laico completamente diverso da quello inteso da Ildegarda). La melanconia del tardo Medio Evo prima, e del Rinascimento poi, offre la dimensione esistenziale entro cui situare il malessere di un nuovo modello di uomo, che riflette su se stesso e sui nuovi valori umani, nella piena consapevolezza della propria identità di individuo e del proprio limite. [vedi immagine n° 9, Vesalio, Tavola anatomica ]

Saranno, tra gli altri, gli artisti a farsi portavoce del "male di vivere" o della "follia melanconica", secondo la terminologia dell'epoca. E diranno: "non c'è vera arte senza melanconia", dove la melanconia viene invocata come travaglio necessario per raggiungere le vette della creatività e subìta come scotto da pagare per la propria realizzazione.

La melanconia disegna dunque il nucleo della coscienza moderna, varcando i limiti angusti impressi originariamente dalla medicina e vanificando i tentativi di contenimento (invero geniali) escogitati dalla Chiesa. Da questo momento l'uomo occidentale è pronto ad affrontare il viaggio dentro se stesso. Dove condurrà questo viaggio è un interrogativo oggi quanto mai pressante e attuale.

Che fine farà la melanconia dopo il '500? Dapprima una moda, poi una maniera, essa imboccherà altre strade ancora, talune ormai patrimonio della nostra quotidianità.

Vi propongo, per concludere, una serie di rappresentazioni satiriche del binomio follia-melanconia, di poco successive al periodo che ho trattato.

Grazie per l'attenzione dimostrata. [vedi immagine n° 10: Mitelli, Il mondo è per lo più gabbia di matti ]

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