Dibattito sulla Inter-Personal Therapy (IPT)

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12 ottobre, 2012 - 15:08
  • Introduzione di Paolo Migone
  • Come avevo preannunciato nella mia presentazione dell'area "Psicoterapie" di POL.it, il primo documento che qui viene pubblicato è questo dibattito sulla IPT, la Inter-Personal Therapy formulata da Klerman & Weissman (Klerman G.L., Weissman M.M., Rounsaville B.J., Chevron E.S., Interpersonal Psychotherapy of Depression. New York: Basic Books, 1984; trad. it., Psicoterapia interpersonale della depressione. Torino: Bollati Boringhieri, 1989) e sperimentata negli Stati Uniti nel ben noto studio multicentrico sulla terapia della depressione del National Institute of Mental Health (NIMH). Questo dibattito è avvenuto nell'aprile 1997 nella lista di discussione Psich-ITA, ed è quindi anche un esempio di come può essere proficuamente utilizzata la rete: una innocente richiesta di un collega (Danilo Di Diodoro) ha stimolato un acceso dibattito tra me eGiovanni de Girolamo, al quale si sono uniti anche alcuni altri membri della lista. Come accade sempre nelle liste di discussione, noi che abbiamo partecipato al dibattito abbiamo potuto scambiare delle idee in tempo reale e arricchirci reciprocamente, mentre i tanti altri collegi che ci leggevano potevano anch'essi trarre utili stimoli per le loro riflessioni ed eventualmente approfondire il tema con le letture che venivano citate da chi interveniva.

Ho fatto la scelta di lasciare il testo così come era nel dibattito, senza chiedere ai singoli partecipanti di correggerlo o migliorarlo, perché ciò sarebbe stato improponibile, e poi comunque sarebbe risultata un'altra cosa, diversa dal dibattito originale. Mi sono limitato a minime correzioni formali nei rari casi in cui mi sono accorto di piccoli errori di battitura, alcune volte ho eliminato brevi frasi che riguardavano altri temi, e ho messo in ordine logico quelle E-Mails che a volte erano "in parallelo". Ho lasciato anche quelle frasi scritte in lettere maiuscole, così come furono scritte, perché potevano denotare una maggiore enfasi da parte di chi le aveva scritte.

Inoltre, coloro che non hanno dimestichezza con la posta elettronica troveranno che a volte alcune frasi hanno a sinistra, dove inizia la riga, il simbolo ">": questo simbolo (che viene generato automaticamente dal programma di posta elettronica quando si vuole rispondere a una E-Mail) sta a significare che la frase così contrassegnata è una citazione presa dallaE-Mail alla quale si intende rispondere.

Come accennavo nella presentazione, questo dibattito tocca alcuni nodi teorici e clinici importanti, peraltro lasciati volutamente aperti nella loro complessità, quali la questione della "validazione scientifica" di una tecnica psicoterapeutica, della "efficacia" di un intervento, delle comprensibili pressioni dovute alla bilancia costi/benefici (per tutti questi problemi, vedi anche Migone, 1996, e de Girolamo & Migone, 1998), e soprattutto del legame tra teoria e pratica nel nostro operare di psicoterapeuti. Entriamo dunque nel vivo della discussione e ascoltiamo le ragioni dei vari colleghi.


  • 15/4/97, Danilo di Diodoro:
  • Mi è stato chiesto di cercare uno psicoterapeuta nella zona di Trieste o Udine per una ragazza molto giovane con problemi depressivi. In particolare si cercherebbe uno psicoterapeuta di buona esperienza e ad orientamento cognitivo-comportamentale o interpersonale, con l'esclusione di quelli ad orientamento psicoanalitico. Qualcuno è in grado di darmi un suggerimento?

Grazie per la collaborazione.

  • 18/4/97, Paolo Migone:
  • Caro Danilo, non ti rispondo per darti il nome ti un terapeuta triestino, ma vorrei approfittare di questa tua richiesta per fare alcuni commenti che penso possano stimolare la riflessione su cosa secondo me è la psicoterapia oggi, anche da un punto di vista scientifico (so che tu sei sensibile ad un approccio scientifico alla psicoterapia). E' stato abbondantemente dimostrato che quello che conta per l'effetto terapeutico non è affatto l'orientamento del terapeuta, ma come è fatto lui come "persona" (per brevità, vedi il mio articolo sulla ricerca empirica sul n. 2/1996 della Rivista Sperimentale di Freniatria). E' per questo motivo che molti quando inviano un paziente a un terapeuta, pensano ad un terapeuta in carne ed ossa, non alla scuola a cui appartiene. Tu dirai che vi sono dei limiti, e sicuramente alcune scuole sono fuori dalla storia, ecc. Anche qui si potrebbe discutere, ma forse potremmo essere d'accordo sul fatto che tutti e tre gli orientamenti che tu citi offrono ottimi e pessimi terapeuti.

Limitare la scelta a un terapeuta di una scuola, oltre che a restringere la gamma dei possibili candidati (a danno della paziente), rischia di ripetere la logica (questa sì antiscientifica) delle parrocchie nel senso peggiore, nell'illusione che tutti i membri di una scuola siano bravi (o, se è per questo, non bravi o meno bravi) di un'altra parrocchia. Purtroppo la psicoterapia è ancora ad un tale stadio "prescientifico" (nel senso delle scienze dure) che le variabili in gioco sono ben più complicate, passano attraverso i cosiddetti fattori della "persona" (e questo, come ti dicevo, è sempre più "evidence-based").

Permettimi di fare alcuni altri commenti liberi, che rappresentano ovviamente dei punti di vista personali, riguardo ai singoli orientamenti che tu citi. Tu parli di "orientamento cognitivo-comportamentale". Secondo me non c'è niente di più impreciso, puoi trovare dei terapeutiche sono pericolosi, tanto quanto in psicoanalisi, soprattutto in Italia (ti parla uno che, anche se di provenienza "psicoanalitica", è molto interessato al cognitivismo e ha la massima stima di alcuni cognitivisti italiani: tanto per fare un esempio, io quando invio un paziente a un terapeuta di Roma, faccio sempre i nomi di Liotti o Semerari, due cognitivisti che stimo e di cui sono amico. Sono loro i miei punti di riferimento a Roma, con Liotti sto scrivendo un lavoro insieme (Psychoanalysis and cognitive-evolutionary psychology: an attempt at integration,International Journal of Psychoanalysis, 1998, 79, 6: 1071-1095), ecc., ma è un po' un caso, stimo anche molti cosiddetti "psicoanalisti").

Per quanto riguarda quello che tu chiami orientamento "interpersonale", è quanto mai una parola generica, un cliché. Se alludi alla Inter-Personal Therapy (IPT) di Klerman & Weissman, essa, nella migliore delle ipotesi, secondo me non è altro che una pallida e brutta imitazione di una qualunque psicoterapia dinamica. Quello che differenzia la IPT da una psicoterapia dinamica che non si chiama IPT è che la IPT è più riduttiva, più schematica, nata da un manuale ipersemplificato fatto per essere sperimentata nel noto studio multicentrico dell'NIMH (è questo il suo solo merito), e per essere insegnata meccanicamente e in fretta ad operatori non sofisticati, come assistenti sociali, ecc. Penso che Giovanni de Girolamo abbia peccato di ingenuità nell'enfatizzare la IPT in Italia per il solo fatto che è stata sperimentata (mi permetto di criticare a questo proposito apertamente Giovanni perché come sai lo stimo e sono molto suo amico da anni, e lui non è il tipo che si sottrae al dibattito). La ascesa della IPT nel panorama internazionale, e la sua accettazione acritica in certi paesi come l'Italia, è una cosa triste, un fraintendimento che tradisce anche un fatto grave: la non chiarezza su cosa noi intendiamo per "scienza" (e queste cose tra l'altro Giovanni le sa, e dovrebbe andare più cauto con il suo discorso sulla "evidence-based psychiatry" [ vedi comunque le nostre introduzioni ad alcuni documenti che abbiamo pubblicato nel sito web della SPR-Italia, cioè della sezione italiana dellaSociety Psychotherapy Research, che come forse sai io stesso ho fondato]). Mi spiego: nel caso della IPT è proprio il caso di dire che un fenomeno diventa tanto più "scientifico" quante più variabili noi eliminiamo, tanto più lo riduciamo a una caricatura. La unica teoria che la IPT ha alle spalle è la psicoanalisi, con la differenza che si cerca di deenfatizzare le cose più importanti e utili della psicoanalisi (come ad esempio il parlare del rapporto col terapeuta, il "qui ed ora", cioè il transfert). La IPT va bene se fai uno studio su una terapia manualizzata, ma elevarla a nostra pratica clinica ideale lo trovo grottesco, penso significhi un po' non sapere cosa è la psicoterapia, significa non avere elasticità. Questa è almeno la impressione che ho avuto da un seminario sulla IPT organizzato appunto da Giovanni. A me fanno sorridere quelli che dicono che nella loro pratica privata "praticano la IPT", mi danno l'idea di non avere una cultura psicoterapeutica. A mio modesto parere, non esistono oggi molte alternative teoriche alla terapia dinamica, quella che si chiama così senza altri appellativi.

Stesse cose potrei dirle a proposito della Dialectial Behavior Therapy (DBT) della Linehan per i borderline. Ti parlo ancora sotto l'influenza dei tre interessantissimi giorni passati assieme a Clarkin al corso che ho organizzato alla Clinica Psichiatrica della Università di Parma sui disturbi di personalità, sotto gli auspici della Society for Psychotherapy Research (SPR), della SPR-Italye della Società Italiana di Psichiatria (SIP). Conoscevo già il lavoro del gruppo di Kernberg, ma sono rimasto veramente impressionato dalla loro straordinaria esperienza clinica. Ma non voglio allungare troppo questa lettera e appesantire la lista che è già fin troppo carica.

  • 20/4/97, Giovanni de Girolamo:
  • Caro Paolo, la tua lettera -- stimolante come al solito -- meriterebbe un sacco di osservazioni, che purtroppo in questo momento non ho il tempo di fare in extenso. Mi limito solo ad alcuni punti brevissimi.

1. Quello che emerge, dalle tue osservazioni, è la ben nota tesi (rivista, tuttavia, ad usum delphini) che "Tutti hanno vinto e tutti hanno diritto ai loro premi" (il "verdetto di Dodo", come lo chiamò Luborsky, ricordando quel personaggio di Alice nel paese elel meraviglie): ossia, tutte le psicoterapie sono uguali, quel che conta è lo psicoterapeuta, ecc. La realtà è ben diversa da ciò. NON TUTTE LE PSICOTERAPIE SONO EGUALI: IN PARTICOLARE LE EVIDENZE DI EFFICACIA DI PSICOTERAPIE SPECIFICHE PER IL TRATTAMENTO DI DISTURBI SPECIFICI (e non per il trattamento di indeterminati ed indeterminabili malesseri esistenziali, come sono in larga misura quelli che afferiscono alla maggior parte degli studi psicoanalitici) SONO STRAORDINARIAMENTE DIVERSE. Non accettare tale dato di fatto, come purtroppo anche i seri ricercatori di matrice psicoanalitica come te fanno, conduce ovviamente ad una serie di gravi bias. Ma su questo tema vorrei rimandare ad un libro che ho acquistato di recente, What Works for Whom? A Review of Psychotherapy Research, di Roth & Fonagy, New York: Guilford,1996 (Psicoterapie a prova di efficacia: quale terapia per quale paziente. Roma: Il Pensiero Scientifico, 1997 -- non devo certo spiegare a te chi è Fonagy!); tale volume (peer-reviewed da un gruppo internazionale) fornisce una eloquente e chiara dimostrazione dell'assunto di cui sopra, e -- ahimè -- giunge alla conclusione che LE EVIDENZE DI EFFICACIA DEI TRATTAMENTI DI "TIPO" PSICOANALITICO (psicoanalisi, psicoterapia psicoanalitica, psicoterapia di ispirazione psicoanalitica, e chi più ne ha più ne metta) SONO PURTROPPO INESISTENTI, al contrario di quelle relative ad altre psicoterapie.

2. Nel caso specifico citato da Danilo, egli chiedeva -- in maniera straordinariamente corretta, a mio avviso -- se vi fosse un terapista in una data area che impiega (tralascio, per mancanza di tempo e di spazio) TECNICHE PER IL TRATTAMENTO DI UN DISTURBO SPECIFICO (la depressione) CHE SIANOEVIDENCE-BASED: non devo certo spiegare a te che sia la terapia cognitiva che l'IPT sono tecniche ampiamente evidence-based per il trattamento della depressione maggiore (vedi lo studio NIMH-TDCRP), mentre la psicoanalisi (nelle sue varie declinazioni, non è purtroppo, per il trattamento della depressione maggiore, evidence-based). Inoltre, nel caso delle prime due tecniche si tratta di terapie a durata limitata, oltre la quale si raccomanda al paziente una eventuale alternativa (es. farmaci, o l'altro tipo di psicoterapia); nel caso della psicoterapia psicoanalitica si tratta di un intervento di durata (e di costi) illimitata, differenza che finalmente -- nel 1997 -- si apprezza in tutte le sue numerose implicazioni.

  • 3. Le tue critiche sull'IPT sono purtroppo scientificamente del tutto improprie e fuorvianti, e se dovessi abbozzarne una interpretazione (per riderci, ovviamente!) penserei che nascondono una qualche invidia per una tecnica che, pur potendo beneficiare (dal punto di vista della formazione personale) di una conoscenza della psicodinamica, non ha nulla a che vedere con essa. Purtroppo, caro Paolo, piaccia o no, l'IPT è -- oggi, aprile 1997 -- la psicoterapia con i più ampi margini di "evidenza" oggi disponibile, in quanto è stata testata nei due più ampi, sofisticati e lunghi trials che hanno mai coinvolto una qualsivoglia tecnica psicoterapeutica (ossia il NIM-TDCRS e lo studio di Pittsburgh sulla terapia di mantenimento della depressione). Se una qualche tecnica di marca psicoanalitica fosse stata testata in un trial di dimensioni pari a solo 1/5 di uno dei due trials succitati, la psicoanalisi non si troverebbe nell'impasse attuale! E' inutile che Ti ripeta quanto tu sai molto bene (cosa che ho avuto modo di verificare di recente negli USA), ossia che negli USA la psicoanalisi è di fatto sparita dalla circolazione, e psicoanalisti eminenti (come Donald Cohen ed Arthur Green) con cui ho parlato quasi non la menzionano più! Infine, a proposito dell'IPT, se fossi venuto ai due illuminanti seminari di Ellen Frank e di David Kupfer, avresti visto a che punto è oggi la ricerca sull'IPT: giusto per fare un esempio, Kupfer ha riferito i risultati di uno studio straordinario fatto a Pittsburgh (unpublished), in cui sono riusciti a dimostrare che i depressi non-responders all'IPT hanno un Delta Ratio (una particolare misura EEGgrafica relativa al rapporto tra sonno REM e NON-REM, e tra fasi del sonno REM) diverso da quello dei responders! Questa è ricerca seria che finalmente stabilisce una connessione (operazionale e non solo teorica) tra mente e cervello!

Con i più cari saluti. Giovanni.

  • 20/4/97, Paolo Migone:
  • Caro Giovanni, ti ringrazio per la pronta e attenta risposta. Io non avevo mai messo indubbio che la IPT funzionasse, anche perché era stato dimostrato dalle ricerche. Ma -- questo era il mio ragionamento -- se la IPT è un "distillato", un "concentrato", della psicoanalisi, allora dovrebbe funzionare anche la psicoanalisi, e magari di più. Il fatto che non siano possibili ricerche così accurate su terapie dinamiche a lungo termine non implica necessariamente che esse non funzionino. Su un punto però hai ragione: mentre sappiamo cosa è la IPT, non sappiamo bene cosa è la psicoanalisi così come viene praticata (è un calderone di tecniche diverse, ecc.), per cui tu puoi dire che la IPT tutto sommato dà più affidamento. Io aggiungerei che se conosci uno psicoanalista di persona e ti dà affidamento, puoi assumere che lavora bene. Mi rendo conto però che non vi sono controlli affidabili, "evidenze". Nel mio discorso volevo sottolineare poi che la IPT mi sembrava molto schematica, forse al prezzo di peggiorare un po' la tecnica (lo stesso problema è vero per il manuale di Luborsky, quello di Kernberg, ecc.). Ma questo è il punto, come tu sai: sono maggiori i vantaggi di uniformare e chiarire bene una tecnica, o gli svantaggi di lasciarla più complessa e aperta, meno manualizzata, col rischio che molti singoli terapeuti poi facciano anche errori a causa di questa maggiore complessità e apertura loro permessa?

Quanto al libro di Roth & Fonagy, avevo visto il manoscritto l'estate scorsa a Toronto a un congresso, e sicuramente è un libro importante che spero di avere tra le mani presto. E' incredibile quante cose sia riuscito a fare Fonagy in questi ultimi anni. Grazie ancora per la tua interessante risposta, e per i dati sulla Delta Ratio, che non conoscevo, e mi dispiace non essere stato presente a quel seminario. Paolo

  • 20/04/97, Giovanni de Girolamo:
  • Caro Paolo, sono molto d'accordo con quanto saggiamente affermi; il mio unico dissenso (del quale avremo, spero, occasione di riparlarne a lungo e di persona) si riferisce alla tua affermazione secondo cui l'IPT "è un distillato della psicoanalisi". Purtroppo non è così, e ne esiste una importante dimostrazione sperimentale, che rappresenta secondo me -- al pari del discorso sulle differenze trarespondersnon-responders legato ai ritmi del sonno -- una dei più stimolanti risultati della ricerca in psicoterapia mai conseguiti.

Mi riferisco alla straordinaria analisi che è stata fatta a Pittsburgh, nell'ambito del Maintenance Study of Recurrent Depression, su tutte le sedute audioregistrate dei pazienti trattati con IPT (solo gli americani possono fare queste cose!): dei valutatori blind hanno fatto un rating delle sedute, stabilendo in che misura l'IPT era di "bassa" o "alta" qualità, a seconda che il focus della seduta fosse quasi sempre e coerentemente rivolto alle tematiche interpersonali scelte (lutto complicato, transizione o conflitto di ruolo) o che invece fosse rivolto a tematiche diverse, tra cui la relazione paziente-terapista. Quel che è venuto fuori è che i pazienti trattati con IPT di alta qualità (focus sempre sulle tematiche interpersonali prescelte per il trattamento) hanno presentato un tasso straordinariamente minore di ricadute rispetto a quelli trattati con IPT di "bassa" qualità (attenzione spesso ed ampiamente rivolta anche a tematiche non interpersonali ed extra-setting, come ad esempio le dinamiche transferali e controtransferali). Tale differenza dimostra che, almeno nel trattamento della depressione, l'IPT è tanto più efficace quanto più si rifà alla tecnica specifica e manualizzata e quanto meno impiega tecniche che -- credo a parere unanime -- sono tuttora considerate centrali nei trattamenti di derivazione psicoanalitica (analisi delle dinamiche transferali e controtransferali).

  • Naturalmente -- e correttamente -- tu potrai però asserire che ciò è stato dimostrato per la depressione, e che non automaticamente vale per altri disturbi: si potrebbe addirittura congetturare che per altri disturbi una psicoterapia specifica è tanto più efficace quanto più evita le tematiche interpersonali e focalizza su quelle paziente-terapista!

Con i più cari saluti. Giovanni.

  • 20/4/97, Paolo Migone:
  • Caro Giovanni, se così stanno le cose, hai ragione: secondo le ricerche che citi, una psicoterapia che tocca maggiormente i rapporti extra-transferali, evitando il più possibile di commentare il rapporto terapeuta-paziente, nella depressione funzionerebbe di più di una terapia che include anche interventi che non esitano a mostrare al paziente quanto lui possa ripetere, nel "qui ed ora" (il transfert), determinati pattern comportamentali patologici. Non riesco a capire perché, dato che altri studi (tra cui quelli del gruppo di Kernberg che ci ha ricordato Clarkin al corso che abbiamo appena fatto a Parma, per non citare Luborsky, ecc.), e anche il buon senso e l'esperienza clinica di molti, indurrebbero a pensare che è molto utile e massimamente terapeutico lavorare in vivo su determinate tematiche dell'hic et nunc, con l'affettività ai livelli alti, anche allo scopo di favorire la memorizzazione e la interiorizzazione della "nuova esperienza" e a modificare quindi più efficacemente gli schemi cognitivi e comportamentali.
  • Una vecchia critica infatti che si faceva ai terapeuti cognitivi era quella che loro parlavano spesso e volentieri solo dei rapporti "con gli altri", trascurando il transfert, e cadendo a volte in razionalizzazioni difensive, mentre il paziente, secondo il ben noto adagio di Freud, quando parla di qualcun altro parla sempre anche del terapeuta, perché è il pattern relazionale che viene attivato, pattern che entro una certa misura è simile in tutti i rapporti. Mi sembra allora che se la IPT considera un aspetto centrale della tecnica quello di non parlare mai della relazione col terapeuta, effettivamente non è "psicoanalitica" negli intenti (anche se non mi piace esprimermi in questi termini, per i motivi che ti spiegherò dopo). In effetti avevo sentito dire da alcuni autori che non la considerano una terapia "psicoanalitica", ed era forse per questo.

Ritengo comunque che possano esservi delle spiegazioni (che lasciano il tempo che trovano perché rimangono delle ipotesi difficili da dimostrare empiricamente). Te ne accenno una: i depressi tendono a riattivare con molta facilità il loro senso di colpa, e parlare del rapporto col terapeuta può esporli al rischio di sentirsi in colpa, "responsabili" dei loro stati emotivi, mentre parlare sempre dei altri, "dare la colpa agli altri" (al marito insensibile, al capoufficio tiranno, ecc.) li risolleva, grazie al rinforzo della difesa proiettiva ("il cattivo è lui, non sono io"). Se il terapeuta si comporta correttamente, è difficile per un paziente "dargli la colpa", e una breve analisi dei significati della depressione porta inevitabilmente al rischio che la proiezione venga demolita e quindi cresca la depressione. Lavorare con pazienti affetti da depressione maggiore è delicato, perché a volte se solo li fai riflettere sulla contraddittorietà delle loro motivazioni si mettono a piangere (è capitato a me un mese fa con una mia paziente molto depressa e con un equilibrio affettivo estremamente precario: non capivo bene cosa aveva detto, e le chiedevo solo di spiegarmelo meglio, ma lei si è sentita accusata, ha pianto tutta la seduta e ha quasi pensato di interrompere il trattamento; sono allora rimasto zitto per due o tre sedute, senza commentare le sue solite lamentele degli altri, e lentamente ha riacquistato l'equilibrio -- da notare che è una donna molto intelligente) (tranquillizzo subito i biopsichiatri dicendo che è in antidepressivi a dosi piene). Tra l'altro è risultato poi che aveva "la coda di paglia", cioè la cosa che non avevo capito era una sua contraddizione in cui cercava di far passare che -- per l'ennesima volta -- "la colpa di qualcosa era di un altro". Negli anni è passata attraverso tutti i più noti psichiatri della città, provando varie terapie farmacologiche senza successo. Io la sto "aggredendo" da due anni con la psicoterapia, convinto che si tratti di una depressione caratterologica, ottenendo risultati peraltro minimi.

Ma quello che volevo dirti in queste mie mails è questo: ogni terapeuta dinamico, degno di questo nome, sa quanto è importante e utile la "paranoia" per alcuni pazienti, ed è un dovere procedere molto delicatamente, perché non possono reggere il confronto eccessivo delle loro contraddizioni. E' possibile che Klerman, che era uno psichiatra di grandissima esperienza, così come pure gli altri autori del manuale della IPT, avessero capito bene queste problematiche: è meglio uniformare la tecnica dando direttive precise a tutti i terapeuti a non toccare il transfert (non parlare mai veramente di sé) coi depressi, perché così si hanno maggiori chances di successo nel breve periodo. Io ragionavo però in un altro modo: se il problema è quello dell'autostima, degli spunti persecutori (o, come dicono quegli analisti affezionati alla metapsicologia, dell'aggressività proiettata, ecc.), mi sembra che ai terapeuti vadano insegnate queste cose, cose utili per lavorare con tutti i pazienti, usare cioè queste variabili ("cliniche", non metapsicologiche) come guida per i nostri interventi. Se invece diciamo a tutti, senza troppa elaborazione concettuale (come ho visto fare in un corso sulla IPT) che quello che si deve fare è non parlare mai del transfert senza spiegare bene perché, cioè senza inserire questo tipo di intervento all'interno di una cornice teorica più generale della psicoterapia e del funzionamento psichico, alla lunga si possono fare degli errori, delle mosse controterapeutiche (il mio interesse è altrettanto pratico, come per i fautori della IPT).

Tra parentesi, ricordo che in quel corso sulla IPT (che tu organizzasti) io chiesi al conduttore come è possibile non parlare della relazione col terapeuta se per caso il paziente dice che è depresso proprio perché nella seduta precedente era stato ferito dal terapeuta stesso (il conduttore aveva appena detto che in ogni seduta bisogna chiedere al paziente di parlare di quello che è successo nelle settimana precedente con gli altri, di parlare degli episodi possibile fonte di depressione, ma non del rapporto col terapeuta), e in effetti non c'era una risposta facile a questa domanda, data la regola di evitare il "qui ed ora" della IPT. Se invece insegnassimo che si può parlare di tutto, ma evitare di far sentire in colpa il paziente se lui non lo tollera -- così ragionavo io -- si insegna una tecnica più efficace, perché si fornisce unrationale più coerentemente inserito in una teoria generale della terapia.

Ma può darsi che qui mi sbagli: forse coi depressi paga di più, in termini di rischi, dare l'indicazione di non toccare mai il "qui ed ora", perché se tu insegni la psicoterapia come la vorrei insegnare io magari tanti terapeuti non la capirebbero bene e parlerebbero in modo inappropriato del transfert a tutti i pazienti, creando solo danni, colpevolizzazioni, intrusioni, o facendo la caricatura del "gioco del piccolo psicoanalista" che non fa altro che parlare delle implicazioni transferali insultando anche la intelligenza del paziente (quindi facendolo sentire stupido).

  • Per finire questa mail, ti dico perché prima ho detto che non mi piace pensare alla IPT come ad una terapia non dinamica. Come tu sai (avendo letto il mio libro) ritengo, un po' provocatoriamente, che "non esistono terapie non dinamiche", così come non esiste alcuna differenza tra psicoanalisi e psicoterapia. E' obbligatorio ragionare in termini psicoanalitici, perché "non si può ignorare un transfert di cui ci accorgiamo"; il transfert esiste comunque, e "il far finta che non ci sia lo porta solo ad esercitare ancor di più i suoi effetti senza che noi cene accorgiamo". La psicoterapia (non psicoanalitica) praticamente non esiste, perché non dà chiare indicazioni su come comportarci in modo coerente col paziente, una volta riconosciute certe premesse ormai accettate da quasi tutti gli orientamenti... "E' un errore insegnare a un principiante a star lontano dal transfert, perché ne è sempre coinvolto, ed è impossibile insegnargli a non gestire un transfert di cui si accorga. Non vi è un'alternativa all'insegnamento della psicoanalisi, poiché essa è più facile da apprendersi della psicoterapia, la quale non offre una chiara teoria della tecnica riguardo a come comportarsi nei confronti delle ubiquitarie manifestazioni transferali" (queste erano frasi di Gill [1984], che, come sai, è stata una figura chiave nella mia formazione).
  • Capisci adesso perché provavo irritazione verso certi aspetti della IPT?

Un abbraccio. Paolo.

 


  • 22/4/97, Giovanni de Girolamo:
  • Caro Paolo, le tue risposte hanno un potere "magnetico", in quanto sono così ricche e piene di stimoli che è impossibile fare a meno di riflettervi e rispondervi. Nella tua ultima risposta condividevo moltissime cose, ad eccezione di due affermazioni, che mi offrono lo spunto per una sana ed amichevole polemica:
  • 1. Quando tu dici:
  • >...un po' provocatoriamente, che "non esistono terapie non dinamiche",
  • >così come non esiste alcuna differenza tra psicoanalisi e psicoterapia.
  • >E' obbligatorio ragionare in termini psicoanalitici, perché "non si può ignorare
  • >un transfert di cui ci accorgiamo"; il transfert esiste comunque, e
  • >"il far finta che non ci sia lo porta solo ad esercitare ancor di più i suoi effetti
  • >senza che noi ce ne accorgiamo". La psicoterapia (non psicoanalitica)
  • >praticamente non esiste, perché non dà chiare indicazioni su come
  • >comportarci in modo coerente col paziente...
  • ovviamente fornisci lo spunto per delle osservazioni critiche.
  • Quel che affiora è una tipica visione ecclesiale del dogma psicoanalitico: le tue affermazioni riecheggiano (alla rovescia) il titolo del noto volume di B. Russell Perché non ci si può dire cristiani: in questo caso "Perché non ci si può non dire psicoanalitici": insomma, siamo -- noi tutti che ci agitiamo nello psi -- "condannati" ad essere psicoanalisti, o psicoanalitici, anche contro la nostra volontà!

Per quanto riguarda il transfert, caro Paolo, chi -- con un minimo di sale nella zucca -- può negarne l'esistenza e l'influenza massiva che esso esercita nei rapporti interpersonali, sia nei setting assistenziali che nella vita di tutti i giorni? Il problema, però, caro Paolo, è che il transfert non è stato né creato dalla psicoanalisi né è monopolio di quest'ultima: in tempi di mitologia della concorrenza e del libero mercato, questa posizione è ovviamente inaccettabile.

Quindi, (1) è possibilissimo non dirsi psicoanalisti (o psicoanalitici, ecc.); (2) esistono psicoterapie (tra le 475 contate anni fa da Karasu: ora saranno divenute 560 o 700!) che non hanno nulla a che spartire con la psicoanalisi, più di quanto esse non abbiano a che spartire con la laserchirurgia oftalmologica (in entrambi i casi ci si occupa di esseri viventi; in entrambi i casi vi è un paziente ed un terapista; in entrambi i casi il paziente ed il terapista respirano, mangiano, ecc.); (3) il transfert non è monopolio né è stato creato dalla psicoanalisi; si potrebbe discutere del contributo fornito dalla psicoanalisi, al pari di molte altre correnti disciplinari, alla sua delucidazione.

2. La tua affermazione secondo cui "il paziente, secondo il ben noto adagio di Freud, quando parla di qualcun altro parla sempre anche del terapeuta"è una meravigliosa congettura, al pari di quella relativa alla Verginità della Madonna, alla presenza di esseri viventi su Plutone, e via discorrendo. Naturalmente se deve essere considerata un atto di fede e presa come tale, mi sta benissimo: ma dobbiamo tuttavia convenire che non ha nulla a che fare con la scienza, ma solo con la fede!

Infatti, faccio due obiezioni:

2.1 Esiste una qualsivoglia, minima dimostrazione sperimentale di tale assunto? Che mi risulti no, quindi è un atto di fede e non scienza.

2.2 E' possibile falsificarla? Certo: immaginiamo il caso di una donna, affetta da un disturbo post-traumatico da stress in quanto vittima di stupro, che sia in terapia CON UNA TERAPISTA DONNA: vogliamo raccontarci la barzelletta che, allorquando ella parla dello stupratore ed esprime la sua rabbia, voglia di vendetta, sdegno, ripulsa (tutti sentimenti del tutto comprensibili) "parla anche del terapeuta"? (non a caso ho ipotizzato che il terapeuta fosse una donna).

2.3 Quando io ho fatto la mia corvè psicoanalitica personale con la buonanima di Elvio Fachinelli (fisicamente alquanto poco attraente!), e gli parlavo di una donna di cui ero innamorato all'epoca, "parlavo sempre anche del terapeuta"?

  • Caro Paolo, queste sono barzellette che una volta potevano passare, ma oggi, per coloro che non sono illuminati dalla fede (psicoanalitica), hanno lo stesso sapore del dogma della Verginità della Madonna. Quello che mi stupisce -- ma che dimostra ancora una volta il tremendo potere fuorviante che hanno i sistemi di pensiero e le Weltanschaunung dogmatici e tendenti all'escatologia, come la psicoanalisi -- è che anche una persona di grande intelligenza e cultura creda ancora a queste barzellette!
  • Sono certo che le mie "provocazioni" troveranno una stimolante risposta!

Un abbraccio, Giovanni

  • 25/4/97, Paolo Migone:
  • Caro Giovanni, è possibile che tu abbia frainteso quello che volevo dire. La mia intenzione, nella nostra discussione, era quella di riflettere sul piano dei "concetti", non semplicemente sul piano nominalistico (psicoanalisi, transfert, IPT, ecc., dove tutte queste parole hanno il significato che a loro viene dato da qualcuno e che non deve mai essere messo in discussione, non deve mai essere capito, secondo una stupida "logica delle etichette").

E' per questo che ho citato le frasi (che appunto chiamo "provocatorie") di Gill del 1984 (perché sono di Gill quelle frasi che tu citi all'inizio), per fare riflettere su cosa può significare fare una determinata operazione in psicoterapia, quali implicazioni pratiche e teoriche ad esempio possa avere la conoscenza del cosiddetto transfert nel lavoro con un paziente depresso (o non). Se ben ricordi avevo discusso del rischio della colpevolizzazione, dell'uso improprio e pericoloso delle generalizzazioni sui significati del "qui ed ora", ecc. (riflessioni sulle quali peraltro tu sembri dire che sei d'accordo). A me non interessa assolutamente che queste manifestazioni siano chiamate "transfert", o che un certo modo di lavorare sia chiamato "psicoanalisi", a me va benissimo chiamarlo "giuseppe", oppure "marcantonio". Quello che mi interessa è discutere dei concetti, delle operazioni che stanno alla base di queste definizioni. La frase di Gill secondo me è estremamente significativa, e la ritengo perfettamente coerente con le riflessioni contenute in quella mia mail, riflessioni sulle quali, ripeto, tu ora tu dici di "condividere moltissime cose". Non capisco dunque bene cosa vuoi dire. Se la questione è che ti irrita sentire la parola "psicoanalisi", a me va benissimo d'ora in poi abolirla, e usare d'ora in poi la parola "giuseppe" (operazione però che può essere di trasformismo culturale, tra l'altro fatta da molti, secondo me da alcuni adesso in USA -- ad esempio John Strauss -- che si rifà a precisi concetti psicoanalitici senza chiamarli col loro nome per non inimicarsi l'establishment culturale di adesso con comportamenti non politically correct). A me basta sapere di cosa si parla. Ed è un peccato che tu qui non entri bene nel merito dei concetti di cui ho discusso. Ma vediamo se dopo ci entri nelle parti successive della tua mail.

(Prima faccio una parentesi su Gill. Il motivo per cui ho citato Gill, e non ho semplicemente detto quello che pensavo senza citare nessuno -- pensavo queste cose ben prima che le dicesse Gill, ma lui le ha teorizzate estremamente bene -- è dovuto al fatto che purtroppo nel nostro campo quando sostieni una posizione un po' diversa o radicale, spesso viene svalutata o ignorata. Se tu però dici le stesse cose citando la frase di un autore importante come Gill -- che secondo molti fu uno dei teorici più importanti e più stimati non solo della Psicologia dell'Io ma dell'intera storia della psicoanalisi -- allora molti stanno più attenti e sono disposti a "crederci" di più. Questo dipende dal fatto che molti non usano semplicemente la propria intelligenza e capacità di riflessione sui concetti, ma la autorità di chi parla. Tralascio di fare commenti su questi aspetti "religiosi" del nostro campo -- presenti non solo nella psicoanalisi ma come ben sai anche in vasti settori della psichiatria-- perché sarebbero scontati e senz'altro saremmo d'accordo).

  • Tu poi dici:
  • >Per quanto riguarda il transfert, caro Paolo, chi - con un minimo di sale
  • >nella zucca - può negarne l'esistenza e l'influenza massiva che esso esercita
  • >nei rapporti interpersonali, sia nei setting assistenziali che nella vita di tutti i giorni?
  • >Il problema, però, caro Paolo, è che il transfert non è stato né creato
  • >dalla psicoanalisi né è monopolio di quest'ultima: in tempi di mitologia
  • >della concorrenza e del libero mercato, questa posizione è ovviamente inaccettabile.

Ancora non capisco bene. A me sembrava che la disciplina che ha maggiormente approfondito il cosiddetto "transfert" (oltre che ha definirlo per prima con questo termine) fosse la psicoanalisi. Ma a parte questo, se tu hai un'altra definizione, oltre a quelle tante già fin troppo presenti in psicoanalisi, perché non la esponi chiaramente? So che tu conosci bene questi fenomeni (pensa solo al concetto di placebo, che altro non è che il transfert, cioè la suggestione, o se vuoi chiamiamola pure "giuseppe")... Ci tengo a precisare che col termine transfert io alludevo al fenomeno "clinico", che teoricamente può essere spiegato in mille modi, alludevo a quel quid che c'è sempre tra le persone, di ineliminabile, e che possiamo cercare di comprenderlo meglio, di verbalizzarlo, ecc., ovviamente senza mai riuscire a farlo del tutto. La impresa della psicoanalisi, nella storia delle idee, non è altro che un tentativo di fare questo, uno dei tanti tentativi. L'importante è vedere bene in cosa consiste questo tentativo. Nella fattispecie, qui si parlava della mia argomentazione, sulla quale però ancora non sei entrato, ma ti sei fermato a livello nominalistico.

  • Dopo dici:
  • >Quindi, (1) è possibilissimo non dirsi psicoanalisti (o psicoanalitici, ecc.);

Chi ha mai detto che non si può? La frase di Gill alludeva al fatto che è impossibile non fare i conti coi "concetti" sottostanti a queste parole, ed era alla conclusione di un lungo e coerente ragionamento (che purtroppo può non essere chiaro a tutti, e qui può essere colpa mia non averlo spiegato, ma in una mail non è facile-- mi spiace autocitarmi, ma chi avesse tempo e voglia ho esposto tutte queste argomentazioni nel cap. 4 del mio libroTerapia psicoanalitica). Noi comunque ora siamo d'accordo che si chiama "giuseppe", e vediamo di proseguire nel ragionamento e andare al punto (2), dove dici:

  • >2) esistono psicoterapie (tra le 475 contate anni fa da Karasu: ora saranno
  • >divenute 560 o 700!) che non hanno nulla a che spartire con la psicoanalisi,
  • >più di quanto esse non abbiano a che spartire con la laserchirurgia oftalmologica
  • >(in entrambi i casi ci si occupa di esseri viventi; in entrambi i casi vi è un paziente ed un
  • >terapista; in entrambi i casi il paziente ed il terapista respirano, mangiano, ecc.);
  • Quale è qui la rilevanza di dire che vi sono 475 o più psicoterapie diverse? Il problema è quello di capire come esse si differenziano, e stavamo discutendo proprio di questo (si parlava della IPT e della sua eventuale differenza con una altra terapia, sia la psicoanalisi o "giuseppe", o un'altra ancora). Il mio tentativo era quello di differenziarle sulla base della loro teoria, che, in una scienza, è collegata alla clinica. Vogliamo ad esempio classificare le 475 terapie sulla base della lettera iniziale? In questo caso, Gestalt viene prima di Psicoanalisi, e IPT si colloca tra le due. Oppure sulla base del colore degli occhi del terapeuta? O sul numero di sedute alla settimana? Vuoi essere anche tu tra coloro che sostengono che la psicoanalisi è diversa dalla psicoterapia psicoanalitica? Come ricordi, la mia discussione (sulla quale, ripeto, pare tu sia d'accordo) cercava di capire il ruolo degli interventi transferali (li ho anche chiamati "sul qui ed ora", ma possiamo anche chiamarli con un altro nome, marcantonio, ecc., basta che ci intendiamo) nella IPT e in una terapia dinamica standard come la psicoanalisi. Cercavo di capire perché in una (la IPT) venivano vietati gli interventi che toccavano il rapporto paziente-terapeuta (nota che non nominavo sempre la parola transfert, mi interessavano i concetti, e quando parlavo di transfert lo facevo per brevità, non mi interessava la paternità di questo concetto, anche se è scontato che è di Freud), e nell'altra (la psicoanalisi) la regola era che poteva essere toccato il rapporto paziente-terapeuta a patto che altre variabili fossero utilizzate come guida all'intervento (segnatamente: effetto positivo, o negativo, sul paziente -- fraintendimento, colpevolizzazione, ecc., oppure esperienza terapeutica positiva, e così via). Non torno su questi punti perché ciascuno li può leggere nella mia mail del 20/4/97.
  • In un passaggio successivo, dici:
  • >(3) il transfert non è monopolio né è stato creato dalla psicoanalisi;
  • >si potrebbe discutere del contributo fornito dalla psicoanalisi,
  • >al pari di molte altre correnti disciplinari, alla sua delucidazione.

Si può arguire che è stato "creato" dalla psicoanalisi, ma certo chi ha mai detto che deve esserne monopolio? Anzi, al contrario, la speranza della psicoanalisi (non come istituzione) è che non sia la sola ad utilizzarlo!

Parli dei vari contributi su questo tema. Ma perché allora non ne discutiamo? Era questo proprio lo spirito della mia discussione. Volevo capire ad esempio come la IPT concettualizza il lavoro sul rapporto paziente-terapeuta e perché proibisce di toccarlo nei depressi.

  • Dopo ancora dici:
  • >2. La tua affermazione secondo cui "il paziente, secondo il ben noto
  • >adagio di Freud, quando parla di qualcun altro parla sempre anche del
  • >terapeuta "è una meravigliosa congettura, al pari di quella relativa
  • >alla Verginità della Madonna, alla presenza di esseri viventi su
  • >Plutone, e via discorrendo. Naturalmente se deve essere considerata un
  • >atto di fede e presa come tale, mi sta benissimo: ma dobbiamo tuttavia
  • >convenire che non ha nulla a che fare con la scienza, ma solo con la fede!

Nota bene che ho aggiunto l'avverbio "anche". Questa frase di Freud era una frase ad effetto che ha un grande significato, e volutamente serve a richiamare l'attenzione. Non è comunque un atto di fede ritenere che ogni nostra reazione a una esperienza nuova possa avvenire solo sulla base di un precedente template(parola cara a chi si interessa di informatica, ma è anche la parola della traduzione inglese del termine che Freud usò quando per la prima volta parlò del transfert), cioè di una determinata aspettativa basata sulle esperienze precedenti, ecc. (non voglio tediarti ricordandoti cose che sai benissimo). Ne parlò Piaget e una infinità di altri psicologi accademici (non psicoanalitici). Non c'è niente di più provato nella scienza della psicoterapia. Non si può conoscere niente se non si hanno già degli strumenti conoscitivi per catalogare le percezioni. E' in questo senso (kantiano) che io intendevo il termine. Mi sembrava chiaro, dalla mia discussione sulla IPT, che avevo una concezione molto allargata del transfert, utilizzavo appunto solo il concetto. E precisamente: essere aperti alla possibilità che il paziente ripeta con il terapeuta determinate modalità (depressive o altro) che presenta fuori, e questa è una importante opportunità terapeutica. E' altrettanto importante scoprire che per esempio un paziente non ripeta affatto queste modalità: l'interrogarsi anche su questo fa parte del lavoro sul transfert (potrebbe significare per esempio che il paziente ha modalità non rigide, ecc. -- non è che non abbia il transfert, perché è impossibile non averlo: spero che tu mi capisca qui, non irritarti ancora, ricordati che parlo solo di giuseppe).

  • In un altro passaggio, dici:
  • >Infatti, faccio due obiezioni:
  • >2.1 Esiste una qualsivoglia, minima dimostrazione sperimentale di tale
  • >assunto? Che mi risulti no, quindi è un atto di fede e non scienza.

Le prove di ricerca sono infinite: tra le ultime, vedi tutto il lavoro sul CCRT (Core Conflictual Relationship Theme) di Luborsky, utilizzato oggi molto anche da ricercatori cognitivisti, non psicoanalitici, perché è solo una metodologia di ricerca.

  • Cito un altro tuo passaggio:
  • >2.2 E' possibile falsificarla? Certo: immaginiamo il caso di una donna,
  • >affetta da un disturbo post-traumatico da stress in quanto vittima di
  • >stupro, che sia in terapia CON UNA TERAPISTA DONNA: vogliamo raccontarci
  • >la barzelletta che, allorquando ella parla dello stupratore ed esprime la sua rabbia,
  • >voglia di vendetta, sdegno, ripulsa (tutti sentimenti del tutto comprensibili)
  • >"parla anche del terapeuta"? (non a caso ho ipotizzato che il terapeuta fosse una donna).

Quella donna che ha subito uno stupro può benissimo essere così traumatizzata da avere meno fiducia degli altri in generale, può temere di non essere capita, ecc. La teoria del transfert (o giuseppe che dir si voglia) prevede che vi siano schemi cognitivi, Gestalt di significato, nient'affatto legate ad una sola persona, ma come dei patterns, dei templates, che si generalizzano e modificano la percezione dell'esperienza.

Quella donna potrà avere difficoltà ad aprirsi ad un altro uomo ma anche ad un(a) terapeuta. Non solo, è stato anche dimostrato che lo schema internalizzato non è solo un "Oggetto" (= persona) ma una "relazione oggettuale". E la prova (tra le tante) è che la relazione si può invertire tranquillamente nel transfert (vedi il concetto di "Passive into active" cioè la inversione dei ruoli). Ma non farmi dire cose che sai benissimo. Ad ogni buon conto, perché non dai un'occhiata al libro di Luborsky & Crits-Cristoph (1990)Capire il transfert (Milano: Cortina, 1992), che è tutto basato sulla ricerca sperimentale?

(A proposito della tua domanda, ti faccio notare che tu sottolinei che la donna affetta da PTSD "sia in terapia CON UNA TERAPISTA DONNA", come se fosse scontato che essa dovesse avere sicuramente un grosso transfert negativo se fosse in terapia con un terapeuta uomo. Io invece, guarda un po', fedele osservante bigotto della chiesa psicoanalitica, non darei per scontato niente, e sarei aperto alla possibilità che quella donna potesse trovarsi bene con un terapeuta uomo sensibile e capace di ascoltarla).

  • Altra tua citazione:
  • >2.3 Quando io ho fatto la mia corvè psicoanalitica personale con la buonanima
  • >di Elvio Fachinelli (fisicamente alquanto poco attraente!), e gli parlavo di una donna
  • >di cui ero innamorato all'epoca, "parlavo sempre anche del terapeuta"?

No, se è per questo potevi parlare forse anche di tua mamma, di una zia, o di altre donne precedenti, non solo del terapeuta, pur essendo la esperienza della donna di cui eri innamorato evidentemente una questione importante. Ma voglio rispondere a questa tua domanda facendoti notare che se c'è una cosa per la quale Merton Gill, negli ultimi anni, divenne molto conosciuto, fu proprio questa (Gill è proprio quello che ha detto quelle frasi che ti hanno irritato molto, da te citate all'inizio di questa mail): lui non smetteva mai di sottolineare, andando contro alla concezione ortodossa del transfert, quanto fossero importanti gli inputs reali, del presente (e non del passato), nella manifestazione del transfert, quanto cioè fosse illegittimo ritenere il transfert una mera ripetizione del passato, ma quanto invece esso fosse anche una reazione appropriata alla situazione presente. Infatti tanti hanno fatto notare che una delle implicazioni della sua revisione teorica è stata proprio quella di "abolire" il concetto di transfert... La suaAnalisi del transfert (titolo del suo libro del 1982) era in realtà una "analisi della relazione". Ma è proprio facendo l'analisi del transfert che si scopre che tanto spesso "transfert non è", diceva Gill.

  • >Caro Paolo, queste sono barzellette che una volta potevano passare, ma oggi,
  • >per coloro che non sono illuminati dalla fede (psicoanalitica), hanno lo stesso sapore
  • >del dogma della Verginità della Vergine Maria. Quello che mi stupisce - ma che
  • >dimostra ancora una volta il tremendo potere fuorviante che hanno i sistemi di pensiero
  • >e le Weltanschaunung dogmatici e tendenti all'escatologia , come la psicoanalisi -- è che
  • >anche una persona di grande intelligenza e cultura creda ancora a queste barzellette!
  • >Sono certo che le mie `provocazioni' troveranno una stimolante risposta!
  • Certo, mi hai stimolato una risposta. E spero di averti mostrato come non mi interessano le logiche da chiese o da parrocchie, ma solo capire le idee, le premesse da cui uno parte, i concetti che usa, non certo le parole. Ma tu mi pare invece che hai un certo qual transfert per certe parole...

Con affetto. Paolo

  • 25/4/97, Giovanni de Girolamo:
  • CARO PAOLO,
  • (1) PER ME NON E' AFFATTO SCONTATO CHE LA NOZIONE DI TRANSFERT SIA "DI" FREUD O SIA STATA DA LUI PERSONALMENTE TEORIZZATA PER LA PRIMA VOLTA: ANNI FA HO STUDIATO ESTENSIVAMENTE LA STORIA DELLA PSICHIATRIA E DELLA PSICOLOGIA CLINICA, E VENIVA FUORI CHE MOLTISSIMI (COME PERALTRO E' NATURALE CHE FOSSE) SONO STATI GLI AUTORI CHE, CERTO CON MINORE COMPRENSIVITA' E COERENZA INTERNA DI FREUD, AVEVANO TEORIZZATO ED ANALIZZATO CONCETTI COME QUELLI DEL TRANSFERT. TRA I TANTI RIMANDO AL VOLUME-CAPOLAVORO DI ELLENBERGER LA SCOPERTA DELL'INCONSCIO.

(2) IL PROBLEMA NON E' IL TRANSFERT O IL CONTROTRANSFERT, PERCHÉ SU QUELLI SOLO UN IDIOTA PUÒ NUTRIRE DUBBI: IL PROBLEMA E' L'INTERPRETAZIONE CHE DI ESSI NE FA LA PSICOANALISI, IN LARGHISSIMA MISURA CONGETTURALE E NON SUPPORTATA AFFATTO DA EVIDENZE, MENTRE AL CONTRARIO MOLTE SONO LE EVIDENZE CHE HANNO FALSIFICATO TALI CONGETTURE.

(3) PER QUANTO ATTIENE ALLA FRASE DI FREUD CHE IO TI HO CONTESTATO, LA SPIEGAZIONE (O PER MEGLIO DIRE CHIARIFICAZIONE) CHE TU FORNISCI E' IN LARGA MISURA CONDIVISIBILE, MA E' NON A CASO MOLTO GENERALIZZATRICE E VA MOLTO LONTANO DAL SIGNIFICATO ORIGINARIO (E NON EQUIVOCO) DELLA CONGETTURA FREUDIANA. VORREI TUTTAVIA CHE TU MI SEGNALASSI QUALCHE LAVORO SPECIFICO IN CUI VIENE DIMOSTRATO SPERIMENTALMENTE ESATTAMENTE QUELLO CHE FREUD CONGETTURAVA, OSSIA CHE QUANDO PARLA DI QUALCUN ALTRO, IN QUALSIASI MOMENTO, A PROPOSITO DI QUALSIVOGLIA VICENDA ESISTENZIALE, CON QUALSIVOGLIA STATO D'ANIMO, IL PAZIENTE PARLA SEMPRE, ANCHE O DEL TUTTO (PER ME NON FA MOLTA DIFFERENZA), DEL TERAPEUTA.

COME TUTTI GLI ASSUNTI CHE VIOLANO LE REGOLE DEL BUON SENSO, ESSO CONTRAVVIENE ALLE REGOLE ELEMENTARI DELLA SCIENZA, OSSIA CHE GLI ASSUNTI IMPIEGATI DEBBANO ESSERE PARSIMONIOSI, COERENTI, ADERENTI AL SENSO DELLA REALTÀ'. CONTINUO A RITENERE CHE TALE CONGETTURA VIOLI TUTTE QUESTE REGOLE.

IL FATTO POICHE' CIASCUNO DI NOI RIPROPONE NELLA SUA VICENDA PERSONALE (E QUINDI IN OGNI MOMENTO DELL'ESISTENZA) NON SOLO TUTTA LA SUA STORIA INDIVIDUALE, MA ADDIRITTURA L'INTERA VICENDA STORICA DELL'UMANITA' (IO SONO QUESTO PERCHE' SONO NATO IN ITALIA, IN UN DATO ANNO, IN UNA DATA FAMIGLIA, IN UNA DATA CONDIZIONE STORICO-SOCIALE, ECC.), NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA CONGETTURA FREUDIANA, CHE HA UN SIGNIFICATO ASSOLUTAMENTE PRECISO E NON "AMPIO", COME PER CERTI VERSI CERCHI DI FARLO PASSARE TU ORA.

  • RIBADISCO CHE DESIDERO MOLTO SAPERE DI UNA SOLA EVIDENZA SPERIMENTALE CHE VADA NEL SENSO DI CONFERMARE LA CONGETTURA IN QUESTIONE, INTESA IN UN SENSO RESTRITTIVO E PRECISO E NON AMPIO. IN ALTRE PAROLE, VOGLIO CHE TU MI DIMOSTRI CHE NELL'ESEMPIO DA ME CITATO LA DONNA STUPRATA CHE PARLA DEL SUO STUPRATORE STA PARLANDO IN REALTA' DELLA SUA TERAPISTA (O DEL SUO TERAPISTA: NON ASSUMO AFFATTO CHE ESSA NON POSSA TROVARSI BENE O MEGLIO, PER MOTIVI TRANSFERALI GENERALI, CON UN UOMO).

UN CARO SALUTO, GIOVANNI

  • 25/4/97, Paolo Migone:
  • On 25/04/97Giovanni de Girolamo wrote:
  • >(1) PER ME NON E' AFFATTO SCONTATO CHE LA NOZIONE DI TRANSFERT
  • >SIA "DI" FREUD O SIA STATA DA LUI PERSONALMENTE TEORIZZATA PER LA 
  • >PRIMA VOLTA: ANNI FA HO STUDIATO ESTENSIVAMENTE LA STORIA DELLA >PSICHIATRIA E DELLA PSICOLOGIA CLINICA, E VENIVA FUORI CHE MOLTISSIMI 
  • >(COME PERALTRO E' NATURALE CHE FOSSE) SONO STATI GLI AUTORI CHE, 
  • >CERTO CON MINORE COMPRENSIVITA' E COERENZA INTERNA DI FREUD, 
  • >AVEVANO TEORIZZATO ED ANALIZZATO CONCETTI COME QUELLI DEL >TRANSFERT. TRA I TANTI RIMANDO AL VOLUME-CAPOLAVORO DI >ELLENBERGER (1970) LA SCOPERTA DELL'INCONSCIO

Mi va benissimo non insistere su questo punto, e mi basta che tu dica che Freud abbia fatto un certo sforzo per studiare questo concetto. La paternità dei concetti in questa sede mi interessa meno della validità dei concetti stessi.

  • >(2) IL PROBLEMA NON E' IL TRANSFERT O IL CONTROTRANSFERT, PERCHE' SU
  • >QUELLI SOLO UN IDIOTA PUO' NUTRIRE DUBBI: IL PROBLEMA E'
  • >L'INTERPRETAZIONE CHE DI ESSI NE FA LA PSICOANALISI, IN LARGHISSIMA
  • >MISURA CONGETTURALE E NON SUPPORTATA AFFATTO DA EVIDENZE, 
  • >MENTRE AL CONTRARIO MOLTE SONO LE EVIDENZE CHE HANNO FALSIFICATO 
  • >TALI CONGETTURE.
  • La "psicoanalisi", come ben sai, è molto variegata. Io non mi stupisco se molti psichiatri lavorano male (non sanno fare diagnosi, danno le medicine sbagliate, ignorano l'importanza del rapporto medico-paziente, ecc.): non mi permetto di dire che è colpa della psichiatria, disciplina per la quale ho sempre avuto il massimo rispetto. Le ragioni della pessima psichiatria che ci circonda sono molto complesse (sociologiche, sottoculturali, ecc.). Perché la stessa cosa non può essere valida per la psicoanalisi?
  • Non solo, ma se tu dici che "nessuno può nutrire dubbi sulla importanza dei concetti di transfert e controtransfert", allora chi può andare d'accordo più di noi due?
  •  
  • >(3) PER QUANTO ATTIENE ALLA FRASE DI FREUD CHE IO TI HO CONTESTATO, >LA SPIEGAZIONE(O PER MEGLIO DIRE CHIARIFICAZIONE) CHE TU FORNISCI E' >IN LARGA MISURA CONDIVISIBILE, MA E' NON A CASO MOLTO >GENERALIZZATRICE E VA MOLTO LONTANO DAL SIGNIFICATO ORIGINARIO (E >NON EQUIVOCO) DELLA CONGETTURA FREUDIANA. VORREI TUTTAVIA CHE TU >MI SEGNALASSI QUALCHE LAVORO SPECIFICO IN CUI VIENE DIMOSTRATO >SPERIMENTALMENTE ESATTAMENTE QUELLO CHE FREUD CONGETTURAVA,>OSSIA CHE QUANDO PARLA DI QUALCUN'ALTRO, IN QUALSIASI MOMENTO, A >PROPOSITO DI QUALSIVOGLIA VICENDA ESISTENZIALE, CON QUALSIVOGLIA >STATO D'ANIMO,IL PAZIENTE PARLA SEMPRE, ANCHE O DEL TUTTO (PER ME >NON FA MOLTA DIFFERENZA),DEL TERAPEUTA.
  • Ti ho già detto nella mail precedente come io considero la validità della frase di Freud: non in termini scientifici come li intendi tu, ma come una frase ad effetto che dà l'idea di un concetto importante, della ubiquità di un fenomeno. Cosa significhi poi utilizzare questo concetto a livello clinico è un altro discorso.
  •  
  • >COME TUTTI GLI ASSUNTI CHE VIOLANO LE REGOLE DEL BUON SENSO, ESSO
  • >CONTRAVVIENE ALLE REGOLE ELEMENTARI DELLA SCIENZA, OSSIA CHE GLI 
  • >ASSUNTI IMPIEGATI DEBBANO ESSERE PARSIMONIOSI, COERENTI, ADERENTI 
  • >AL SENSO DELLA REALTA'. CONTINUO A RITENERE CHE TALE CONGETTURA VIOLI 
  • >TUTTE QUESTE REGOLE. IL FATTO POI CHE CIASCUNO DI NOI >RIPROPONE NELLA SUA VICENDA PERSONALE (E QUINDI IN OGNI MOMENTO 
  • >DELL'ESISTENZA) NON SOLO TUTTA LA SUA STORIA INDIVIDUALE, MA >ADDIRITTURA L'INTERA VICENDA STORICA DELL'UMANITA' (IO SONO QUESTO 
  • >PERCHE' SONO NATO IN ITALIA, IN UN DATO ANNO, IN UNA DATA FAMIGLIA, 
  • >IN UNA DATA CONDIZIONE STORICO-SOCIALE, ECC.), NON HA NULLA A CHE 
  • >VEDERE CON LA CONGETTURA FREUDIANA, CHE HA UN SIGNIFICATO 
  • >ASSOLUTAMENTE PRECISO E NON "AMPIO", COME PER CERTI VERSI CERCHI DI
  • >FARLO PASSARE TU ORA.
  • Su questo non sono d'accordo. Il concetto di transfert a cui alludevo era questo, inteso in modo molto ampio. Ma già questo mi bastava per fare il ragionamento che facevo.
  •  
  • >RIBADISCO CHE DESIDERO MOLTO SAPERE DI UNA SOLA EVIDENZA
  • >SPERIMENTALE CHE VADA NEL SENSO DI CONFERMARE LA CONGETTURA IN 
  • >QUESTIONE, INTESA IN UN SENSO RESTRITTIVO E PRECISO E NON AMPIO. IN 
  • >ALTRE PAROLE, VOGLIO CHE TU MI DIMOSTRI CHE NELL'ESEMPIO DA ME 
  • >CITATO LA DONNA STUPRATA CHE PARLA DEL SUO STUPRATORE STA 
  • >PARLANDO IN REALTA' DELLA SUA TERAPISTA (O DEL SUO TERAPISTA: NON 
  • >ASSUMO AFFATTO CHE ESSA NON POSSA TROVARSI BENE O MEGLIO, PER 
  • >MOTIVI TRANSFERALI GENERALI, CON UN UOMO).

Non posso dimostrarti che "NELL'ESEMPIO DA [TE] CITATO LA DONNA STUPRATA CHE PARLA DEL SUO STUPRATORE STA PARLANDO IN REALTA' DELLA SUA TERAPISTA (O DEL SUO TERAPISTA)" (mi bastano le osservazioni fatte da Giobatta Guasto [vedi la successiva E-Mail] e da me nelle altre mails, e il riferimento al libro di Luborsky & Crits-Cristoph che ti ho già citato). Qui bisognerebbe fare un esperimento, nel quale prima andrebbe definito operativamente cosa significa "parlare del terapeuta" (esplicitamente? simbolicamente? nel caso, con quali simboli? ecc.), e già lì potrebbero sorgere dei disaccordi. Ti ripeto che quella frase voleva solo alludere al concetto di transfert, cioè al "trasferimento" di disposizioni, ecc. Siccome è sempre attivo, perché è un meccanismo di funzionamento del cervello, "in un certo senso" è vero anche quello che diceva Freud. Freud forse si sbagliava nel pensare che chi lo avrebbe letto lo avrebbe capito nel modo che intendeva lui.

  • Ad ogni buon conto, proporrei, se sei d'accordo, di fermare qui questa corrispondenza (mi sto consumando tutto il poco tempo libero che ho!). Penso che lo scambio che abbiamo avuto sia già ricco di stimoli per tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggerlo, ed è bello anche che si rimanga con una dose di disaccordo, per tenere sempre aperto il dibattito.

Con la solita amicizia. Paolo

 


  • 25/4/97, Giobatta Guasto:
  • Caro De Girolamo, ho avuto spesso occasione di apprezzare, su questa lista, la tua competenza, e devo riconoscere di non sapermi cimentare con te in un contraddittorio concernente i molteplici tipi di psicoterapia che tu citi e che io non conosco.
  • Tuttavia, poiché conosco un po' la psicoanalisi e conosco abbastanza bene i problemi legati all'abuso sessuale, prendo spunto da una (una soltanto) delle tue obiezioni a Migone, per fare alcune osservazioni circa le tue opinioni sul transfert, che mi paiono, oltre ché decisamente appassionate, poco rispondenti a quella che é la mia esperienza di paziente prima e di psicoterapeuta poi.
  • Tu dici:
  • >immaginiamo il caso di una donna, affetta da un disturbo post-traumatico da stress in quanto vittima di stupro, che sia in terapia CON UNA TERAPISTA DONNA: vogliamo raccontarci la barzelletta che, allorquando ella parla dello stupratore ed esprime la sua rabbia, voglia di vendetta, sdegno, ripulsa (tutti sentimenti del tutto comprensibili) "parla anche del terapeuta"? (non a caso ho ipotizzato che il terapeuta fosse una donna).

Sulla base di un criterio se non di evidence (non so quale sia la soglia di evidenza di un dato, e sono altresì certo che esistono dati non commensurabili con strumenti statistici, e non per questo meno veri, anche se riconosco la difficoltà della loro validazione) almeno experience based, io credo che si possa affermare che é proprio vero il contrario di quello che tu sostieni.

Nel caso della psicoterapia psicoanalitica di minori sessualmente abusati il transfert negativo innescato dall'identificazione aggressore/terapeuta é un elemento terribilmente insidioso che mina la capacità di tenuta di terapeuti anche molto esperti, e i suoi effetti si protraggono per anni, mettendo spesso e per lungo tempo la terapia a rischio di interruzione. Ciò é assolutamente indipendente dal sesso dello psicoterapeuta, e tu che hai fatto questa esperienza, lo sai certamente bene.

  • Se lo vorrai, ti invierò la fotocopia di un lavoro della dott.sa Suzanne Blundell, presentato a Londra nel corso di un seminario alla Tavistock. In esso non potrai trovare nessuna affermazione fideistica, ma il semplice resoconto di un'esperienza estremamente difficile, nella relazione terapeutica con una bambina abusata dal proprio padre, che continuava a trattare "la" terapeuta alla stregua del proprio padre aggressore, invasore, predatore di "parti buone" interne alla bambina, attaccate e deteriorate dalla terribile esperienza vissuta. Scrive la Blundell: "...poiché Melanie (la bambina) aveva rovesciato dentro di me tutte le sue emozioni e le sue paure, io iniziai a diventare nella sua mente una persona che incuteva terrore. Man mano che trasferiva le sue emozioni dentro di me, io diventavo sempre più ai suoi occhi un oggetto confuso e danneggiato, una persona cattiva e pericolosa di cui non si poteva fidare, come suo padre..." e più avanti: "...dopo circa due anni di terapia ero all'estremo delle mie risorse. Io continuavo a rappresentare per Melanie la persona che la violentava, e Melanie non voleva vedermi...". Mi pare che di fronte ad uno scenario tanto cruento, il genere del terapeuta sia un dato privo di rilevanza.

Quello che tu affermi nel brano sopra riportato é inesatto e fuorviante perché rappresenti un momento di un'ipotetica terapia, come se stessi descrivendo TUTTA la terapia: é assolutamente possibile che una donna violentata parli, in una determinata circostanza, dell'esperienza subita con il o la terapeuta senza identificarlo/a con l'aggressore: e perché mai non dovrebbe la paziente in quel momento rapportarsi con un'immagine materna accogliente (una "madre buona") in grado di ascoltarla. Non é forse transfert anche questo?

Si tratta anzi di un'esperienza fondamentale nella stragrande maggioranza dei trattamenti di persone abusate (specie se di minore età), proprio perché spesso alla violenza si accompagna l'ingiunzione del silenzio, o la vergogna, o il senso di colpa della vittima. Nelle bambine abusate che ho conosciuto (molte di loro in tenera età) la violenza con cui le fantasie sadiche dell'aggressore erano state stipate nel mondo interno della vittima con il rischio che vi rimanessero per sempre, sembravano accompagnarsi alla crudele sorte di essere continuamente ricacciate dentro (anche da parte di molti periti) per la difficoltà di trovare un "ascoltatore" (contenitore) che non fosse anche un persecutore.

Diceva Martha Harris, a proposito dei Corsi di Osservazione del neonato che andava inaugurando in Italia verso la fine degli anni '70 che vi sono "troppe teorie" e che l'Osservazione poteva essere un buon antidoto ad esse.

  • Quando parliamo di "fede" ci riferiamo certamente ad esse, alle impostazioni teoriche. La psicoanalisi non é né più né meno immune di altri corpi dottrinali dal rischio di accettazione acritica, che poi significa sterilizzazione e morte. Per fortuna essa ci fornisce anche, assieme alle proprie storture, degli strumenti critici idonei a difenderci dalle ideologie: molto utile, in tal senso, il pensiero di Bion, anche contro la fede nella ratio e nella sua nipotina bruttina, la statistica.

Cordiali (e appassionati) saluti, Gianni Guasto

  • 25/4/97, Giovanni de Girolamo:
  • CARO GUASTO, CONCORDO CON LE COSE CHE DICI: IL PROBLEMA E' CHE PAOLO HA TESTUALMENTE SCRITTO CHE "QUANDO PARLA DI QUALCUN ALTRO IL PAZIENTE PARLA SEMPRE DEL TERAPEUTA": IL PROBLEMA E' TUTTO IN QUEL SEMPLICE "SEMPRE". CHE IL PAZIENTE POSSA DI RADO, OCCASIONALMENTE, SPESSO, SPESSISSIMO, PARLARE DEL TERAPEUTA QUANDO PARLA DI QUALCUN ALTRO E' GIVEN FOR GRANTED, OSSIA LO DO' (O FORSE NON DOVREI, MA DOVREI SPIEGARLO O DIMOSTRARLO) PER SCONTATO. MA QUELL'AVVERBIO "SEMPRE" FA TUTTA LA DIFFERENZA, E SI PASSA DALLA SCIENZA (E DALLA POSSIBILITA' DI UNA VERIFICA SPERIMENTALE) ALLA FEDE. COSA PENSERESTI SE IO DICESSI CHE "TU SEI SEMPRE (INTESO IN SENSO STRETTO E NON FIGURATO) ARRABBIATO"? E VI E' DIFFERENZA TRA TALE AFFERMAZIONE E LA SEGUENTE: "TU SEI DI RADO, OCCASIONALMENTE, SPESSO, SPESSISSIMO ARRABBIATO"? LA DIFFERENZA C'E' E COME: ESATTAMENTE COME NEL CASO DELLA FRASE DI CUI DISCUTIAMO.
  • IL PROBLEMA DI FONDO E' CHE PER DECENNI CONGETTURE DI TUTTI I TIPI, COMPRESE LE PIU' FANTASIOSE O FRANCAMENTE DELIRANTI (VEDASI LACAN ED ANCHE MOLTE COSE DELLA "SANTA KLEIN", PER NON PARLARE POI DELLE MIGLIAIA DI CONGETTURE ASSURDE E TOTALMENTE INVENTATE DI CUI E' COSTELLATA L'INTERA STORIA DELLA PSICHIATRIA E DELLA MEDICINA) SONO STATE DATE PER SCONTATE: IL VENTO E' (FORTUNATAMENTE) CAMBIATO E CIASCUNA CONGETTURA DEVE ESSERE SOTTOPOSTA, PER ESSERE ACCETTATA IN CAMPO SCIENTIFICO, A RIGOROSI TESTS SPERIMENTALI E DEVE ESSERE RIPRODUCIBILE. ALTRIMENTI PARLIAMO, COME IN MOLTI CASI ACCADE ANCOR OGGI IN PSICOANALISI, DI FEDE.

CARI SALUTI, GIOVANNI

  • 25/4/97, Paolo Migone:
  • On 25/04/97Giovanni de Girolamo wrote:
  • >CARO GUASTO, CONCORDO CON LE COSE CHE DICI: IL PROBLEMA E' CHE PAOLO HA TESTUALMENTE SCRITTO CHE "QUANDO PARLA DI QUALCUNALTRO IL PAZIENTE PARLA SEMPRE DEL TERAPEUTA".
  • Caro Giovanni,in realtà, la mia frase era: "quando [il paziente] parla di qualcun altro, parla sempre anche del terapeuta, perché è il pattern relazionale che viene attivato, pattern che entro una certa misura è simile in tutti i rapporti"... ecc. (ho scritto qui in corsivo la parola anche).

Nella tua citazione quindi hai omesso la parola "anche" che invece c'era, e che ritengo importante per la coerenza teorica del concetto di transfert.

  • 25/4/97, Albertina Seta:
  • Inserirsi nello scambio Migone-de Girolamo potrebbe apparire per lo meno sventato, nondimeno vorrei provarmi a sostenere le ragioni del primo, il quale, peraltro mi sembra che non abbia bisogno di alcun sostegno, ed ancor di più quelle di... Giuseppe.
  • D'accordissimo con Migone (e con Gill) sul qui ed ora; Giuseppe non è tanto da considerare una ripetizione del passato quanto una relazione reale del paziente con il terapeuta che potrebbe (anzi dovrebbe) comprendere aspetti nuovi, ovvero mai sperimentati, o perduti dal paziente stesso. Naturalmente questo farebbe entrare in ballo la questione del... transfert negativo. Ha ragione De Girolamo a temere la violenza del depresso che a questo puntosi scatenerebbe o dobbiamo pensare che in ogni modo questa violenza vada affrontata per poter parlare di cura della depressione? Ed ancora potrebbe darsi l'ipotesi che, allorché in una situazione depressiva si dia la possibilità di un intervento psicoterapeutico, convogliare la violenza depressiva nei confronti del terapeuta, beninteso a patto che egli sia in grado di sostenerla e di trasformarla, magari lentamente, possa rappresentare già un passo avanti ovvero una valida risposta al rischio suicidario?

Un saluto. Albertina Seta

  • 25/4/97, Paolo Migone:
  • Cara Albertina, trovo molto interessante la tua osservazione, con la quale concordo pienamente, ma come sai nella IPT è vietato parlare del rapporto paziente-terapeuta, e nelle mie lunghe mailscercavo di discuterne i motivi (anche giusti, secondo la logica dei vantaggi della standardizzazione per la ricerca, ma qui non voglio tornarci).

Però non sono riuscito ad entrare nel merito di questi problemi con qualcuno (tu sei la prima), e si è scivolati su discorsi più generici. Per cui ti ringrazio.

  • 24/4/97, Marco Lussetti:
  • On 22/04/97Giovanni de Girolamo wrote:
  • >le tue risposte hanno un potere "magnetico", in quanto sono così ricche e piene di stimoli che è impossibile fare a meno di riflettervi e rispondervi.
  • Io invece  trovo queste discussioni sulla psicoanalisi alquanto noiose e irritanti in quanto chi crede nel Transfert, ci crede e raramente e' interessato a valutare altri punti di vista o teorie che siano al di fuori della sua Fede. Let it be! Se qualcuno fosse comunque interessato all'argomento suggerirei: Why Freud was Wrong. Sin, Science and Psychoanalysis di R. Webster, Londra: Harper Collins, 1995 (ora anche in paperback per sole UK sterling 9.99).
  • Mi fa piu' piacere quando tu, Giovanni, segnali qualche cosa di nuovo, magari basato su un po' piu' di evidenza sperimentale....

Grazie. Marco Lussetti.

  • 24/4/97, Juan Carlos Garelli (University of Buenos Aires):
  • Since it seems impossible to get rid of this list, I will participate, at least on this poster.
  • On 24/4/97 Marco Lussetti wrote:
  • >Io invece trovo queste discussioni sulla psicoanalisi alquanto noiose e irritanti in quanto chi crede nel Transfert, ci crede e raramente e' interessato a valutare altri punti di vista o teorie che siano al di fuori della sua Fede. Let it be! Se qualcuno fosse comunque interessato all'argomento suggerirei: Why Freud was Wrong.Sin, Science and Psychoanalysis di R. Webster

I must have read dozens of books proving Freud wrong for the last 25 years or so. Our generations seem to have no memory. Our training institutes outdated. Emanuel Peterfreund, an extraordinarily intelligent man and a psychoanalyst wroteInformation, Systems, and Psychoanalysis: An Evolutionary Approach to Psychoanalytic Theory in 1971 (New York: International University Press), where he tears the Freudian edifice to pieces. Before him, George Klein attacked Freud's metapsychology leaving no room for further discussion. Benjamin Rubinstein criticized the epistemological shortcomings of Freud's ouevre, leaving nothing standing on its feet. Roy Schafer, Merton Gill, Robert Holt, all of them Americans criticized other aspects of Freud's approach by the same time: the early 70's. In 1977, Allan Rosenblatt and James Thickstun wrote Modern Psychoanalytic Concepts in a General Psychology: they demolished Freud. John Bowlby demonstrated that Freud's theory of psychological evolution was wrong, that the Oedipus Complex existed on lyin his mind, that Little Hans was afraid of horses because his mother neglected him, not because he feared his father. Summing up, as far as I know, there is not a single aspect of Freud's writings that hasn't been proved wrong. Freud was already wrong for the scientific world by 1980. So, I cannot understand what is the point to go on reading books about why Freud was wrong. Wouldn't it be far more enriching reading Freud and find his gross faults by oneself? On the other hand, if psychoanalysts feel reluctant to go through such tediousness, we could all reach an agreement and publish a sort of Reader's Digest series on Freud's myths and inventions.

  • 24/4/97, Marco Lussetti:
  • Dear JuanCarlos, I am so ignorant, that I shouldn't have written the word Freud in the first place. I don't know not even a book you quoted. But the title of Webster's book is a little bit misleading: Freud was not simply wrong (nothing wrong with it: we judge his work after one century!), but he was cheating. He published false things (e.g. on Anna O.). Many other patients were (mis)treated following his theories based on false (i.e., purposley forged) data. Why should I read (and waste my time) on Freud's book oron books on Fraud -- I mean Freud? (Don't worry, I am not. Only a rare bagatelle on a Greek beach with my Webster's book!). But why are so many people still reading his work and waste even precious bytes on Internet for him? That's a mistery I would like to understand (but I can survive in ignorance)! ?8-))
  • Some weeks ago I met in Milan Gavin Andrews. He told me that in the University he is teaching now in Sydney an after-degree student in psychiatry got only 20 hours of teaching in psychoanalysis (probably for its historical weight).That's life in Australia. How is it in Argentina where you teach: better or worse?

A presto (mi piacerebbe leggere tuoi interventi in Spagnolo: e' una lingua molto piu' musicale dell'inglese!).

  • 24/4/97, Juan Carlos Garelli:
  • On 24/4/97 Marco Lusetti wrote:
  • >I am so ignorant, that I shouldn't have written the word Freud in the first place. I don't know not even a book you quoted. That is probably because you must be much younger than I am (55). But the title of Webster's book is a little bit misleading: Freud was not simply wrong (nothing wrong with it: we judge his work after one century!)

I disagree, he was wrong. The new generations should know it, in full detail, as his gibberish jargon has already become part of our culture, either in its original form such as the Oedipus complex or as derivatives of his second theory of instincts which implies children universally bear perverse (component) instincts thereby avoiding "spoiling" them has become a must with the subsequent dire consequences for children who are either victimized by their parents or neglected out of modern permissive patterns of behaviour. See Diana Baumrind's profuse bibliography on the issue.

  • >but he was cheating. He published false things (e.g. on Anna O.). Many other patients were (mis)treated following his theories based on false (i.e., purposley forged) data.

That is false. Webster is a bestseller book maker, not a writer, let alone somebody qualified to judge or label Freud a forger.

  • >Why should I read (and waste my time) on Freud's book or on books on Fraud -- I mean Freud? (Don't worry, I am not. Only a rare bagatelle on a Greekbeach with my Webster's book!). But why are so many people still reading his work and waste even precious bytes on Internet for him? That's a mistery I would like to understand (but I can survive in ignorance) !?8-))

It's not a waste of time. I cannot explain at length why. Just a few points: he was witty enough to make most of the right questions. His first (traumatic) theory on the origins of neuroses would have led him to unpredictable discoveries. He changed to his second theory in 1900 (The Interpretation of Dreams, chapter 7) replacing the traumatic theory whereby people became neurotic because their having undergone perverse abuse during childhood by the far more acceptable theory that it weren't the parents that were at fault, but childish fantasies that formed part and parcel of the aetiology of neuroses.

He might have shifted his stance on purpose or unwittingly, we don't know. But we must know what he did because the man has been and still is the most influential figure in the realm of psychology. I deem it irresponsible to ignore him, particularly now other authors, like Lacan and the French school is so direfully influential, as well as the plethora of psychoanalytic-oriented schools that keep growing like mushrooms all over the planet.

  • >Some weeks ago I met in Milan Gavin Andrews. He told me that in the University he is teaching now in Sydney an after-degree student in psychiatry got only 20 hours of teaching in psychoanalysis (probably for its historical weight). That's life in Australia. How is it in Argentina where you teach: better or worse?
  • "Aussies" know nothing about psychoanalysis because of their intellectual dullness, not because they have thoroughly studied the discipline found it worthless and thereby decided to do away with it.
  • So, it isn't a matter of better or worse, it's a matter of ignorance.

Argentina is famous worldwide by the extraordinary repercussion psychoanalysis received,and we have the best specialists on any branch of psychoanalysis in the whole world. An assertion which by no means implies I agree with what people generally call "psychoanalysis".

  • 25/4/97, Paolo Migone:
  • Caro Garelli, ti ringrazio per essere intervenuto in questa discussione, anche se mi sembra che il tono della tua mail sia un po' estremo, col rischio di essere impreciso (ovviamente questa è solo una mia impressione, e potrei sbagliarmi).

Vorrei sottolineare una strana contraddizione della piega che ha preso il dibattito. Giovanni de Girolamo sembrava irritato da certe frasi di Gill che io avevo riportato, frasi che gli sembravano troppo "di chiesa", troppo psicoanalitiche nel senso "fideistico". Ora tu citi proprio Gill tra quelli che hanno maggiormente criticato vari aspetti della psicoanalisi. Penso che questo dia un'idea della confusione a cui si può giungere se non si sta attenti e se non si capisce bene di cosa si sta discutendo, se non si chiariscono bene i termini usati, se si fanno troppe generalizzazioni (e qui può darsi benissimo che sia stato io anche a non essere stato chiaro)

Non solo, ma a me ha fatto molto piacere la tua mail perché mi sembra che abbiamo gli stessi interessi o abbiamo fatto le stesse letture. Conosco molto bene gli autori che citi, e i loro libri (molti dei quali negli ultimi anni sono usciti anche in italiano) sono quelli a cui sono più affezionato.

Alcuni degli autori che citi (soprattutto Holt e Gill) per varie vicissitudini li ho conosciuti personalmente e ho stretto con loro profonde amicizie (consuetudini di fare le vacanze insieme, ecc. -- non ho mai detto a Giovanni, forse per non rovinargli la vacanza, che quando era ospite in casa mia al mare dormiva nel letto dove aveva dormito Gill, ma ora glielo posso dire perché viene detto che Gill era un duro critico di Freud). Ero legato anche a Bowlby, ed è anche tramite lui che ho stretto amicizia con Liotti, un cognitivista che stimo molto e col quale sto scrivendo quell'ambizioso lavoro che prima ho citato (Psychoanalysis and cognitive-evolutionary psychology: an attempt at integrationInternational Journal of Psychoanalysis, 1998, 79, 6: 1071-1095 -- Holt ne è molto interessato, e mi scrive lunghe lettere di commento in cui lo discute riga per riga) (il nostro articolo ha già ricevuto la prima valutazione dei referees dell'International Journal of Psycho-analysis, e tra pochi mesi dovrebbe essere pronto).

Insomma, io considero gli autori che tu citi tra i miei veri maestri, i miei punti di riferimento a livello teorico: per quello che so io di loro, dato che li conosco molto bene, hanno (o avevano -- alcuni, come Gill, Bowlby, Peterfreund,ecc., sono morti) una profonda stima e passione per l'impresa scientifica di Freud, e hanno dedicato tutta la loro vita a correggerne i punti deboli e a proporre delle alternative.

Tu dici che i colleghi più giovani non sanno molte cose. E' vero, ed è anche per questo che ho voluto raccontare (nel cap. 13 del mio libro Terapia psicoanalitica) la biografia personale e scientifica di Rapaport, Holt, Gill, G. Klein, Schafer e Rubinstein (ho tralasciato Peterfreund, una figura importantissima, perché ho voluto limitarmi ai membri del gruppo di Rapaport), ho tradotto vari lavori di questi autori, ora sono usciti anche dei loro libri in italiano, ecc. (i colleghi capiranno che non posso dilungarmi qui perché altrimenti non si finisce più).

  • Un ultima osservazione riguardo al libro di Webster, citato dal collega Lussetti. Hai ragione nel dire che "Webster is a bestseller book maker, nota writer, let alone somebody qualified to judge or label Freud a forger". Vi sono oggi tanti libri come quello di Webster, che inseguono la moda del jeu de massacre alle spese di Freud per vendere libri. Molti di questi libri sono approssimativi, scritti da studiosi dell'ultima ora. A questo proposito consiglierei Lussetti o chi altri fosse interessato a leggere la dura critica di Holt a Webster in un saggio recensione su questo libro (Psychoanalytic Books, 1996, 4: 511-519). Contrariamente a Webster, Holt ha dedicato la vita a studiare Freud, e lo critica, ma in un modo diverso. In questa recensione Holt dimostra molto bene lo sforzo di Webster non sia altro che quello di ripetere, in peggio, gli errori che lui dice di vedere in Freud, soprattutto riguardo alla logica argomentativa, al rigore scientifico, e alla stessa concezione di "scienza" che Webster dice che Freud aveva.

P.S.: if you have trouble in understanding this letter, please let me know, and I'll write it to you in English.

  • 26/04/97, Giobatta Guasto:
  • Modesta proposta: anziché parlare (pro o contro) "la" psicoanalisi, non si potrebbe cominciare a parlare "delle" varie psicoanalisi?

Un saluto

  • 26/4/97, Paolo Migone:
  • La risposta richiederebbe infinite ore di discussione. Mi permetto di consigliare un libro tra i tantissimi che sono in commercio, quello di Morris Eagle (1984) La psicoanalisi contemporanea(Bari: Laterza, 1988), che esamina tutte le principali teorie psicoanalitiche una per una e le critica, con un certo rigore logico e attenzione ai dati sperimentali (Eagle è stato per molti anni stretto amico e collega di quasi tutti gli autori citati da Garelli nella sua mail del 24/4/96, e ha vissuto il dibattito di quegli anni da attivo e importante protagonista).

Vorrei anche dire che cercherò per un po' di astenermi dal dibattito con Giovanni. Ieri ho telefonato a Giovanni per supplicarlo di fare un armistizio in questo dibattito, perché non riesco più a trovare il tempo di fare altre cose importanti che devo fare, e ho provato la brutta sensazione di essere addicted alla lista (prima consumavo le serate, poi mi sono accorto che ho "abusato" anche di mezza giornata di festa). Quindi vorrei sperimentare la mia capacità di astenermi per un po' dalla "sostanza". Un caro saluto a tutti.

 

Bowlby J. (1969). Attachment and Loss. Vol. 1: Attachment. London: Hogarth Press (2nd ed.: New York: Viking Penguin, 1984) (trad. it.:Attaccamento e perdita. Vol. 1: L'attaccamento alla madre. Torino: Boringhieri, 1976 [1a ed.], 1989 [2a ed.]).

Eagle M.N. (1984), Recent Developments in Psychoanalysis. A Critical Evaluation.New York: McGraw-Hill (trad. it.: La psicoanalisi contemporanea. Bari: Laterza, 1988). Edizione su Internet del cap. 11 (ed. or. cap. 12): "Carenze di sviluppo e conflitto dinamico":http://www.publinet.it/pol/ital/documig8.htm.

de Girolamo G. & Migone P. (1998). Nota introduttiva a: D.L. Chamblesset al. (1998), "Criteri per giudicare una psicoterapia validata empiricamente" e "Esempi di trattamenti validati empiricamente".Psychomediahttp://www.psychomedia.it/spr-it/artdoc/chambl98.htm.

Ellenberger H.F. (1970). The Discovery of the Unconscious. The History and Evolution of Dynamic Psychiatry. New York: Basic Books (trad. it.:La scoperta dell'inconscio. Storia della psichiatria dinamica. Torino. Boringhieri, 1972).

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Gill M.M. (1983). The interpersonal paradigm and the degree of the therapist's involvement. Cont. Psychoanal., 19, 2: 202-237 (trad. it.: Il paradigma interpersonale e la misura del coinvolgimento dell'analista.Psicoterapia e scienze umane, 1995, XXIX, 3: 5-44).

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