"Tre metri sopra il cielo di Luca Lucini"

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3 ottobre, 2012 - 11:32

Ci si domanda per quali ragioni abbia avuto tanto successo tra I giovanissimi il piccolo film di Luca Lucini, uscito nelle sale nel 2003, "Tre metri sopra il cielo", tratto dall’omonimo romanzo di Federico Moccia, anch’esso libro di successo in ambito soprattutto romano.

Non avendo letto il libro, la riflessione che segue si riferisce unicamente al film. Piccolo film, dicevo, non privo di una sua compattezza e di una sua coerenza narrativa, relativamente mal confezionato ma capace di suscitare emozioni ed evocare vissuti, forse perche’ interpretato quasi esclusivamente da adolescenti, forse proprio in virtu’ di questa sua non perfetta confezione che conferisce un certo tono di veridicita’ e di autenticita’ alla vicenda.

La vicenda e’ semplice. Due adolescenti romani, Stefano e Barbara (Babi), si conoscono e si innamorano. L’innamoramento e’ coinvolgente e profondo, potrebbe cambiare le loro vite, ma non riusciranno a restare uniti. A dividerli e’ prima di tutto una condizione di vita troppo distante: Stefano e’ un ragazzo ‘allo sbando’, non studia e non lavora, passa le sue serate in bande giovanili a fare razzie nelle ville dell’Olgiata (e’ cosi’ che conosce Babi), sfida la morte quasi ogni sera correndo in moto nella periferia, e’ spavaldo e arrogante, un po’ delinquente, una famiglia rotta alle spalle, non ha regole ne’ limiti.

Barbara e’ una ragazza della buona borghesia, frequenta un liceo classico privato e, prima di conoscere Stefano, la sua trasgressione (che pure c’e’) consiste nel barare alle interrogazioni di latino, o nel sognare con la sorella minore chissa’ quale avventura amorosa. Durante una festa a casa di amici di Babi, la banda capeggiata da Stefano irrompe nella villa e, a tipo Arancia meccanica nostrana, sfascia e rompe quello che puo’, crea confusione e si impone all’attenzione soprattutto delle ragazze, tutto sommato un po’ annoiate di essere ricche, belle e senza passioni, accompagnate solo da bravi fidanzati inevitabilmente un po’ svalutati. Finira’ che, mentre un’amica di Babi si mettera’ con il migliore compagno di Stefano, il simpatico Pollo, Stefano e Babi, dopo una certa resistenza da parte di lei, si innamoreranno con tutta la violenza e la forza dirompente di un classico primo amore.

Stefano porta nella vita di Babi l’esperienza di un’autentica trasgressione, cosi come lei innesca nella vita di lui un circolo potenzialmente virtuoso: Stefano sembra stancarsi di una vita ai margini, sembra sentire il desiderio di riprendere un progetto su se stesso. Non sara’ facile: le ripetute mascalzonate di Stefano finiscono per stancare Babi, o meglio per confonderla (per far si’ che sia promossa, Stefano rapisce l’amato cagnolino della professoressa di latino), fino alla goccia finale costituita dalla tragica morte di Pollo, durante una delle solite corse in moto. Babi capisce che l’evento non e’ casuale, ma e’ l’esito prevedibile di un certo regime di vita, e non ce la fa. Nessuno tranne l’amica, nell’ambiente di Babi, comprende e sostiene la sua scelta amorosa: I genitori, in particolare la madre, sono contrarissimi, cosi’ come la scuola impersonata dalla professoressa di latino, tutto concorre ad indebolire il coraggio della ragazza e far si’ che, sotto la pressione di corteggiatori piu’ ‘adeguati’ a lei (il vicino di casa appena tornato dagli States), dopo la morte di Pollo la storia fra I due finisca.

Barbara, pur con molta nostalgia, sembra accettare di aderire ad una vita piu’ adatta a lei, piu in sintonia col suo ambiente socio-culturale. Stefano — ed e’, a mio avviso, la vera sopresa — interrompe la sua deriva attraverso un ritrovato rapporto col fratello maggiore, col quale vive, manager che si trova improvvisamente a confrontarsi con delle perdite inattese (il lavoro, la fidanzata), che fungono da catalizzatore di una svolta esistenziale anche per lui.

Dunque, perche’ tanto il successo di questa storia semplice, di gente normale senza divi ne’ veline, senza effetti speciali e senza il formale lieto fine?

Possiamo provare a tentare delle ipotesi, delle letture psicologiche.

Intanto, nonostante inizi come un film violento, ‘Tre metri sopra il cielo’ e’ una tenera storia d’amore, di un classico amore ‘impossibile’ e contrastato, un archetipo da sempre presente nella letteratura, da ‘’Romeo e Giulietta’ a Renzo e Lucia, sebbene qui venga calato non solo nella modernita’, ma nella contemporaneita’ del mondo dei teen-agers. Nonostante le sfide, le droghe, tutti le ricerche di felicita’ artificiali, l’unica condizione che ci fa staretre metri sopra il cielo e’ solo l’innamoramento, la scoperta dell’Altro, o meglio di se’ attraverso l’Altro. La tensione verso l’innamoramento, in termini psicodinamici verso il primo rapporto oggettuale al di fuori della famiglia e del gruppo dei pari, e’ cosi’ forte per un adolescente, sia maschio che femmina, cosi’ determinante per lo strutturarsi dell’identita’, che l’innamoramento diviene una condizione interna trasversale a tutto il mondo adolescenziale, cosi’ da appartenere agli emarginati come ai figli di papa’, a chi e’ ricco e a chi e’ povero. Tutti I ragazzi sono in grado di riconoscersi in due loro coetanei che si innamorano, si sballano, sono contrastati dai ‘grandi’, sono tristi e il giorno dopo alle stelle, e tifano perche’ la storia duri, identificandosi I maschi con Stefano (in fondo, ‘ha ricattato la prof per lei’), e le ragazze con Babi (‘poveretta, con quei genitori…’).

Come scriveva Meltzer, e’ difficile per un adulto essere in rapporto davvero con un adolescente, in quanto gli adolescenti sono sostanzialmente in rapporto col gruppo dei coetanei. Il film ben rappresenta questo mondo esclusivo, a suo modo chiuso, con regole e codici propri che solo gli adolescenti detengono, e da cui gli adulti sono inevitabilmente esclusi. Gli adulti del film, oltre che fisiologicamente esclusi, appaiono pero’ anche ottusamente trincerati nelle loro mentalita’, distanti di una distanza dolorosa dai vissuti dei ragazzi. Unico che riesce ad avvicinarsi e’ il padre di Babi, ma da tipico padre del nostro tempo non ha la forza, (o il coraggio, o la motivazione) di portare fino in fondo la sua buona intenzione, ed e’ travolto dalla sua stessa debolezza. Sono figure di adulti racchiuse in stereotipi, ma che forse corrispondono abbastanza a come gli adolescenti ci vedono e ci vivono.

Stefano, che e’ il personaggio piu emblematico del film, potremmo definirlo entro quelle tipologie che Freud chiamava ‘delinquenti per senso di colpa’.

Chi conosce e pratica lavoro clinico con gli adolescenti, sa quanto siano sensibili a quell’oscuro senso di colpa che per Freud era alla radice di molti comportamenti delinquenziali: si delinque per aggirare, per abreagire un inconscio senso di colpa interno che cerca una punizione, una punizione che venga dall’esterno e che pacifichi cosi’ il Super-Io. Sembra che Stefano voglia, in qualche parte di se’, essere preso, non solo attirare l’attenzione, ma essere fermato, essere rimproverato. Si intuisce la radice di questa colpevolezza interna da sedare in un ricordo legato a quando aggredi’ l’amante della madre, e da li’ iniziarono tutti I suoi guai e la sua condotta deviante. Stefano, dunque, e’ anche lui una vittima: della societa’ e della famiglia, se ci fermiamo ad un livello piu superficiale di lettura; della sua stessa colpa (aver visto la madre con un altro e averlo aggredito), se vogliamo andare un po’ piu’ in la’. I continui atti delinquenziali non sono che acting-out miranti a cercare una punizione esterna (e’ piu’ volte denunciato), secondo la legge inconscia per cui un nemico esterno e’ assai meglio tollerato dall’Io di un nemico interno (e qui I nemici sono I giudici, gli adulti, la societa’..); sono altresi’ forme esternalizzate di comunicare sofferenza e rabbia, di provocare guai proprio a quegli ambiti — il mondo dei ‘genitori’- da cui sente derivare tutto il suo male. Acting-out, sfide e devianza costituiscono cosi’ il ben noto fil rouge depressivo che abita nei nostri adolescenti, e che non rado si conclude con l’attacco al Se’ (la morte di Pollo).

Nella morte di Pollo e’ contenuto un qualche messaggio ‘morale’: facendo cosi’ si muore. La morte dell’amico fa da spartiacque indietro al quale non si torna: e’ rottura della coppia con Babi e dell’assetto interno che fino ad allora Stefano si era dato, il fragile equilibrio basato sull’antisocialita’ come gestione del senso di colpa e come anelito, se seguiamo il pensiero di Winnicott, ad una speranza. Laddove c’e’ quel tipo di antisocialita’ in cui riusciamo a leggere un messaggio - diceva Winnicott - esiste la speranza: qualcosa di buono e’ stato anticamente vissuto, e poi perduto, ma il ragazzo non e’ in una condizione di totale deprivazione. Vi e’ la speranza in lui che il messaggio venga colto, che gli adulti sopportino, e che il tempo faccia il suo lavoro.

Ho visto il film con un adolescente, e ci siamo trovati in disaccordo sulla fine: io ho trovato che finisse bene, realisticamente, e che la chiusura narrativa fosse il punto piu’ riuscito del film; lui ha trovato che finisse male e che era ‘un peccato’. Credo che identificandosi con Stefano ‘prima maniera’, il mio adolescente abbia patito l’abbandono della ragazza e anche lo smacco narcisistico di vedersi cosi’ cambiato, non piu’ capo branco, ma in procinto di diventare ‘normale’, come tutti gli altri. Il nostro sguardo adulto, invece, privilegia un finale narrativo in cui l’incontro amoroso si pone come catalizzatore di un cambiamento, di quella trasformazione che traghetta l’adolescente dalla puberta’ alla vita adulta, attraverso un percorso accidentato, difficile, e talvolta deviato per sempre.

I due protagonisti — soprattutto Stefano, il piu’ tormentato — sembrano invece approdare qui ad uno sbocco esistenziale che li separa uno dall’altro, ma pone ciascuno dei due maggiormente a contatto con la propria storia originaria.

Infine, secondo una lettura in chiave socialogica del film (che non mi pare tuttavia prioritaria), potremmo definirlo pessimista: non si sfugge all’appartenenza di classe.

I figli della borghesia restano in seno ad una famiglia che magari non li comprende a fondo, ma sostanzialmente li protegge; I meno fortunati continuano o a delinquere, come gli amici di Stefano, o senza l’alveo tracciato dai genitori devono comunque cavarsela da se’, come accade appunto a Stefano e al fratello. L’evento amoroso puo’ interessare due soggetti di classe sociale diversa, puo’ temporaneamente sospendere il peso della differenza, ma non riesce in definitiva a vincere sulle appartenenze di base, non riesce a modificare un destino gia’ tracciato.

 

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