VIVERE LA SPERANZA contributi di Stanghellini, Callieri e Borgna

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Chiavari
Italia
Da 4 febbraio, 2006 - 01:00 a 5 febbraio, 2006 - 01:00

A cura di Simona Gotelli

I Sessione

Presidente: Angela Ales Bello

Intervengono: Adriana Dentone, Angelo Campodonico, Vittorio Cozzoli, Santino Cavaciuti

Adriana Dentone — Direttore del Centro Studi Interdisciplinari (CSI)

Presenta il tema del convegno la prof. Dentone che definisce la speranza come proiezione nel futuro, ma non solo. Il vissuto della speranza è l’incarnazione, ciò che una persona vive. Se noi ragionassimo sulla speranza la ridurremmo alla stregua di un oggetto, in realtà è un impegno più grande perché è ciò che ciascuno di noi giudica, il vissuto.

Se leggiamo il mondo dell’odio ci accorgiamo della perdita dei significati, dei valori; se poi esaminiamo noi stessi dentro alla maniera di Kierkegaard nella malattia mortale e leggiamo quel che sta dentro ecco il conflitto di voler essere ogni essere umano tutto se stesso, di non voler essere tutto se stesso. E’ il grande conflitto che si chiama malattia mortale e che è disperazione. C’è un disperato da guardare con particolare attenzione, l’essere umano malato, psichicamente sofferente.

Esiste una cultura della morte nella realtà, come nei libri: "l’essere è la nullificazione dell’essere, il nulla" (Sarpi).E’ di fronte a questa cultura della morte che identifichiamo l’ indifferenza, ed è per questo che il CSI ha voluto sottolineare il senso della speranza, il vivere la speranza, speranza che è anche nostalgia per ciò che abbiamo perduto, ma che forse si può recuperare.

In questi scenari, in questa realtà esistenziale il CSI ha scelto il respiro, l’aperto, la speranza.

Angelo Campodonico — Filosofo, Università di Genova

Le ragioni della speranza

La relazione del prof. Campodonico inizia con un breve excursus storico in relazione al modo di percepire e definire la speranza.

Per il mondo greco la speranza è una figura ambivalente; da un lato è qualcosa di positivo, ma di fronte cui c’è un timore (più si spera e più si rischia una delusione); da una parte è rimedio/farmaco, dall’altro autoinganno/illusione.

Più tardi Seneca, in ambito romano, dice "il saggio non spera… cesserai di temere se cesserai di sperare", si può lasciare la speranza all’uomo comune perché così facendo aumenta la fiducia in se stesso.

La speranza in senso forte emerge con l’ Ebraismo ed il Cristianesimo; l’avvenimento di Cristo incoraggia a spingere l’acceleratore del desiderio che il mondo greco cerca di non spingere troppo: si scoprono dimensioni del mondo umano non esplicitate totalmente.

Tommaso d’Aquino sostiene in seguito che la speranza si distingue dal desiderio perché oggetto della speranza è un bene arduo, ma possibile a raggiungersi.

Filosoficamente la speranza è un desiderio ridestato da avvenimenti: innamoramento, scoperte scientifiche… più la speranza ha oggetto ampio, più l’avvenimento che la fonda deve essere grande.

Nel Novecento avviene un crollo della speranza ideologica che si svela in maniera pratica con la violenza cui consegue il nichilismo, senza arrivare, però alla morte della speranza: nel ’68 c’è una speranza forte (che oggi non c’è!).

Dal momento che non si può vivere senza speranza il problema della speranza si pone, il problema della speranza fondata esiste: "per sperare bisogna essere molto felici, bisogna aver ricevuto una grande gioia"

Non c’è, però, speranza senza desiderio. Il desiderio è apertura all’infinito, non lo si può pensare separato, scisso dalla ragione che è capacità di cogliere significati universali, come l’essere e quindi aprirsi ad una direzione tendenzialmente infinita.

Se questo è vero, se desiderio è apertura all’infinito, infinito tendenzialmente come positività, non si può non sperare l’insperabile, l’avvenimento dell’infinito nel finito.

Aristotele dice che il desiderio matura attraverso esperienze fondamentali che tutti facciamo, esperienze contemplative: tutti contempliamo, c’è una dimensione di contemplazione di cui anche la speranza fa parte.

Già il vivere è fondamentale fonte di speranza, di felicità: "C’è senza dubbio un elemento di bellezza nel vivere…" (Aristotele)

Nel rapporto con l’altro uomo questa dimensione contemplativa trova l’esaltazione perché nell’altro uomo abbiamo qualcosa di infinito, una dimensione infinita; nel volto dell’altro l’esperienza del riconoscimento, dell’essere riconosciuti è esperienza fondamentale della felicità, della speranza, e soprattutto il rapporto con qualche d’uno in particolare, non con tutti: il vertice di esperienza contemplativa ha vertice nel rapporto con certi altri.

Concludendo, le ragioni della speranza coincidono almeno in parte con le ragioni del desiderio, risiedono in quelle esperienze umane positive che precedono il male, che si nutrono dell’altruità, del riconoscere, ad esempio, il volto altrui.

Vittorio Cozzoli — Italianista, poeta. Cremona

"La speranza de l’altezza"

In questa relazione il tema della speranza viene analizzato attraverso gli occhi, le opere ed il "viaggio" di Dante, uomo del medioevo, la cui allegorice si apre verso gli uomini di ogni tempo.

Dante ha attraverso la propria polifemia delineato un viaggio di verticalità (verso l’Eden) del significato che sale allegoricamente fino alla dimensione dello spirito, attraverso il quale si può intendere la modernità, e con essa il progresso, non come un passo dopo l’altro, ma come rivolto verso l’alto o in discesa verso il basso.

Altus è il profondo, e con l’Altus, l’altezza andiamo in ogni direzione, verso l’alto, ma anche scendiamo nel profondo e, quindi, anche in un tempo come il nostro che ha perso la speranza, ed anche la speranza dell’altezza, si può ritrovare tutto questo.

Tutto il viaggio (e dovrebbe essere così per ogni uomo) non dovrebbe arrestarsi al livello corporis, ma tendere ad un ulteriore livello, come quando si attraversano le nubi e si arriva al sereno, allo spirito, il luogo della luce. Il viaggio implica un muoversi, un tendere molto forte all’interiorità, allo spirito, all’anima, è infatti rappresentato come centri concentrici il cui centro è il centro di sé, delle proprie identità, per cui il viaggio verso l’altezza è un viaggio verso il centro.

Nella metafora del viaggio utilizzata da Dante il motivo della speranza si associa subito alla luce, in particolare alla luce del sole che si muove verso l’alto dal colle rappresentando la speranza che si rivolge verso la cima. Per ogni uomo, poi, nella vita, e così anche lungo questa via, si trovano impedimenti che vanno superati: le tre fiere sono qui viste come l’antitrinità. Se gli uomini sono spiriti incarnati creati simili a Dio essi hanno un desiderio profondo del ritorno, ed è qui che il male nella sua malignità cerca di impedire il compimento di tale ritorno.

Il compimento mortale del vivere avviene nel non più andare, nel non aver più motivo di speranza, in una disperazione che diventa il luogo mortale definitivo di un percorso che ha perso il significato, la motivante capacità di muovere al compimento.

Alla speranza Dante dedica un canto del Paradiso nel quale viene confermata la speranza dell’altezza come speranza della gloria futura in cui verrà salvata tutta la creazione.

 

Santino Cavaciuti — Filosofo, Università di Genova

Esistenza e speranza

La speranza è una componente del resistere umano.

Esistono forme diverse di speranza non partecipate da tutti, ma alcune forme sono presenti nella maggior parte degli uomini ed il loro elemento di fondo è la libertà.

Si possono definire diversi presupposti della speranza: la finitezza antologica (il principio dell’essere degli esistenti è finito e limitato, l’essere come essere è infinito, quindi la speranza comporta l’apertura verso qualcosa che non si possiede, ma si desidera. La finitezza è un presupposto perché esiste la speranza, ma non è sufficiente. Non tutti gli esseri pur essendo finiti conoscono la speranza: gli animali conoscono l’aspettare che ha un aspetto comune con la speranza, ma con cui non si identifica perché questo presuppone la consapevolezza delle ragioni dell’aspettare); il divenire (soltanto gli enti che divengono possono sperare: c’è compimento della sua natura che avviene attraverso diversi gradi fino, eventualmente, al raggiungimento dell’assoluto); la contingenza ( che va distinta dalla necessità perché ciò che si spera non avviene necessariamente); l’immaginazione (è presupposto di alcune forme di speranza, non si può sperare il totalmente ignoto); la mente (lo sperare comporta il concepire ciò che è oggetto dello sperare: la speranza coesiste soltanto negli essere dotati del concepire, chi spera sa di sperare), la libertà (se nella realtà del mondo fosse tutto determinato da leggi determinate la vera speranza sarebbe assorbita dal sapere. Libertà è qui intesa in senso forte, come stante all’origine e formante radicalmente il mondo).

Viene quindi definita l’identità della speranza; essa comporta la proiezione dell’oggetto fuori di se, è desiderio, è attesa (chi attende sa di attendere), è timore (speranza e timore sono due piatti della stessa bilancia che prevalgono diversamente, in momenti diversi), è disperazione (allo stesso livello della speranza, ma con segno opposto è l’estremizzazione del timore diventato certezza)

La speranza presenta, inoltre, diverse forme e gradi che hanno come oggetti entità e risultati più o meno sensibili e limitato (o illimitati) nel tempo. La speranza può avere come oggetto qualcosa che trascende il tempo (speranza culturale, storica, di fede…), come avviene nella speranza cristiana.

La speranza fa parte della condizione umana, l’esistenza umana è impegnata nel presente, ma non solo: l’esistenza umana comporta una certa attenzione al passato ed è rivolta al futuro (temporale e ultratemporale). L’essenza dell’uomo consiste nella libertà chiamata a realizzarsi diventando donatività di sé, cioè amore; la realizzazione autentica di sé dipende dalla realizzazione della proprio libertà ,al di là di ciò ci sono tentativi di realizzazione in autentica a scapito dell’altro, cioè forme di speranza tradita fondate sullo scacco umano.

 

 

II Sessione

Presidente: Romolo Rossi

Intervengono: Luisella Battaglia, Alessandra Berti, Graziella Corsinovi, Giovanni Stanghellini

 

Luisella Battaglia — Bioeticista, Università di Genova

Per un’etica della speranza

Speranza è una parola ricorrente per la bioetica: spesso si parla di terapia della speranza, di cellule della speranza (le cellule staminali), di medicina della speranza. E’, però, anche un termine che frequentemente si associa a paura e particolarmente questa diade speranza-paura sembra essere conseguenza dell’ambivalenza dei progressi biomedici; noi guardiamo allo sviluppo con un misto di speranza e paura, in quanto la cosiddetta rivoluzione biologica ci apre nuovi orizzonti che ci inquietano.

Forse è meglio parlare di attese e non di speranza. Che cosa speriamo e che cosa c attendiamo? Ci attendiamo, ad esempio, la liberazione dai pesanti fardelli delle malattie, ed ecco che l’ingegneria genetica ci apre un serie di possibilità straordinarie che portano, però, contemporaneamente, alla paura dell’offesa dell’immagine dell’umano.

Due prospettive, due teorie tengono il campo in bioetica: un umanesimo nostalgico, antitecnologico ed un post-umanesimo euforico. Il primo presenta una visione attardata sull’immagine dell’umano e sulla difesa strenua della natura umana sostenendo prevalentemente la necessità di difendere, preservare questa immagine dell’uomo. La seconda prospettiva non è vincolata ad un’idea dell’umano, non ha nostalgie, ma soltanto grandi attese, è ottimisticamente protesa verso il futuro ed ha molte speranze in una biotecnologia liberante e crede in una nuova dimensione dell’umano.

Ma si può pensare ad un’etica della speranza che va oltre queste due prospettive? Secondo la professoressa Battaglia questa potrebbe essere rappresentata da un umanesimo dell’oltre, che non è solo passato o futuro, ma è un umanesimo che tiene insieme passato e futuro nel presente. Il post umanesimo non riesce a pensare al presente, non riesce a definire che cos’è l’uomo oggi e ne parla semplicemente come un post, ma noi viviamo nel presente e dobbiamo tenere insieme un’eredità che ci ha costituito, che ci ha formato, ed un avvenire, una possibilità che è aperta davanti a noi. Inoltre, è necessario sottolineare che l’ottimismo non è speranza! L’ottimismo è di breve respiro, è legato al presente; anche l’ottimista spera, ma spera in qualche risultato tangibile ed ha prospettive di breve durata, la speranza, invece, apre all’oltre, è una possibilità che investe una dimensione escatologica, una dimensione del futuro che probabilmente noi non vedremo, ma che ci sentiamo impegnati a realizzare.

 

Alessandra Berti — Psichiatra, Università di Genova

Dalla speranza alla psicopatologia

Quello che viene in mente primariamente ad uno psichiatra ed, in particolare, alla professoressa Berti pensando alla speranza sono le missive dei suicidi: non c’è più speranza nei messaggi dei suicidi. E, pensando all’inferno, anche Dante esprime la mancanza di speranza: "lasciate ogne speranza, voi ch’intrate" , senza speranza non c’è vita e la vita senza speranza è un inferno.

Ma che cos’è la speranza? È qualcosa legato allo stato d’animo, allo stato timico della persona, ma, per uscire dalla bipolarità di questa visione, la speranza può essere definita come una complessa situazione emotiva, sicuramente fortemente influenzata dal tono timico e che, conseguentemente, può essere vissuta o come una condizione ottimistica d attesa di qualcosa di positivo o come il suo contrario, condizione di attesa di disperazione ed angoscia. La bipolarità anche in questa visione rimane, ma è più importante fare riferimento ai meccanismi di difesa: quando vediamo la speranza? Nel sogno, punto centrale del giardino delle speranze. La speranza è conosciuta da tutti, e tutti noi vi arginiamo contro i nostri meccanismi di difesa, fra i quali larazionalizzazione, la negazione, l’ idealizzazione, la proiezione

Ci sono, però, situazioni in cui la speranza diventa qualcosa di confuso, come nel caso dei viaggi della speranza: le persone utilizzano in questi casi la scissione e tutto quello che può venire da un certo tipo di persona è inevitabilmente qualcosa che dà speranza.

Vengono riportati esempi di speranza euforica (Carlo Magno ed il satiro) e di speranza delirante (Don Chisciotte), entrambi esempi che riportano al binomio speranza-depressione. La speranza, in realtà, da punto di vista chimico ha bisogno d mediatori (serotonina, noradrenalina) che ci avviino verso il sostegno della speranza; ma sarebbe riduzionistico pensare che bastino dei neurotrasmettitori a sostenere la speranza. Fondamentali mediatori sono le persone che rivestono un ruolo importante nella vita di ognuno o le figure simboliche, prima fra tutte la Madonna, mediatrice fra noi e Dio.

In ultimo la professoressa sottolinea che la speranza non ha età, non ci sono età in cui una persona spera di più ed una in cui spera di meno. Ad esempio sono portati Leopardi e l’innamoramento (l’innamoramento in tarda età) e Mann con la novella "L’inganno", in cui la speranza del ritorno della giovinezza viene rappresentata simbolicamente con una menometroraggia creduta dalla protagonista il ritorno del ciclo mestruale, ma in realtà espressione di un tumore uterino.

 

 

Graziella Corsinovi — Italianista, Università di Genova

La speranza: dall’"illusione" alla "finzione" alla "certezza"

La speranza dalla professoressa Corsinovi viene inizialmente vista attraverso i pensieri e le esperienze di Leopardi, particolarmente quelli raccolti nello Zibaldone: quest’ultimo vede sempre il "bicchiere mezzo vuoto", ma nonostante ciò non sa dimenticare la speranza, è uno dei più grandi fautori della speranza. Attorno alla speranza ruota tutta la sua poesia e tutta lo storia dell’umanità come egli stesso sostiene, è conseguenza necessaria dell’amore di sè, non abbandona mai l’uomo in quanto alta natura, inseparabile dalla vita, principio strutturale del vivente. "L’uomo senza la speranza non può assolutamente vivere". Anche il suicida nell’atto estremo spera, spera che la sua morte sia compianta, o ammirata, o che gli altri abbiano finalmente quella considerazione di lui che non hanno mai avuto.

La speranza viene, inoltre, definita come una passione, un modo di essere così inerente ed inseparabile dal sentimento della vita come il pensiero, o come l’amore di se stessi e del proprio bene. Ogni momento è un pensiero, e così ogni momento è un atto di desiderio, un atto di speranza. Ma perché la speranza è così importante? Perché la speranza crea l’illusione: è la speranza che crea in Silvia gli "occhi ridenti e fuggitivi", è la speranza che ne "Il sabato del villaggio" crea l’illusione del domani. E in vicinanza del termine della vita l’unico rimpianto che il poeta avrà mentre muore, non sarà di finire la vita, ma di non avere più speranze.

Le illusioni sono l’unica vera realtà, "il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni, io considero le illusioni come cosa in certo modo reale" (Leopardi). "Vivere la speranza" è un modo di vivere, non un realtà oggettiva, in quanto le illusioni sono l’unica cosa vera. Speranza e ricordo sono due direzioni di fuga dall’arido vero, allontanamenti dalla cruda realtà e, quindi, illusioni. Il ricordo, infatti, è la speranza di segno rovesciato, "io nel pensier mi fingo arcana felicità fingendo il viver mio": il fingere non è mentire, è costruzioni della mente, talmente pregnante che viene percepito come vero.

A condividere, forse in maniera ancor più forte, questa convinzione è poi Pirandello. Quest’ultimo continua il Leopardi sostenendo che la nostra realtà è finzione, ma unico modo di poter vivere(scissione pirandelliana realtà-verità); la realtà esiste di per sè, ma noi la conosciamo attraverso le strutture, le finzioni, le costruzioni della nostra mente e, così, in questo modo, conosciamo le persone e noi stessi. Anche la speranza è una finzione necessaria, è costruzione dell’anima, della psiche, del vissuto.

 

 

Giovanni Stanghellini — Psichiatra, Università di Chieti

Speranza/disperazione

Per rappresentare il binomio "speranza/disperazione" il prof. Stanghellini utilizza le opere di una giovane drammaturga inglese, Sara Cain morta suicida all’età di 28 anni, meritevole d’aver rivoluzionato il teatro britannico durante i suoi pochi anni di attività.

Il dramma a cui fa riferimento è il primo fra quelli scritti da tale autrice, "Dannati" ("Blasted"), che si apre con la presentazione dei due protagonisti, Ian, un giovane giornalista britannico spia dei servizi segreti divorato dal cancro, ed una ragazza di provincia, Kate, psicolabile che presenta crisi isterico/epilettiche, in una camera d’albergo di lusso in cui i rapporti umani si consumano all’insegna della sopraffazione e della violenza a carico della giovane ragazza da parte del giornalista.

La scena del dramma si sposta, poi, improvvisamente, nella guerra di Bosnia, per cui nella camera d’albergo irrompe un soldato che stupra Ian, gli succhia gli occhi e si spara alla tempia.

Questo dramma e l’autrice con tutte le sue opere vengono portate all’attenzione del pubblico in quanto rappresentanti, attraverso una metamorfosi profonda della coscienza contemporanea, la condizione di possibilità della nostra disperazione e, quindi, della speranza.

La cecità di Ian rappresenta la sua castrazione, la sua impotenza: incontrando il proprio doppio nel soldato che lo stupra e che poi lo priva del suo principale strumento per lavorare lo mette nella condizione di sviluppare un’altra vista, un’altra visionarietà, di cui prima non disponeva, portandolo ad una migliore percezione cenestesica, ad una migliore percezione di sé.

L’autrice vuole con le sue rappresentazioni manifestare la sua discordanza con il nostro modo di intendere la coscienza, come qualcosa che sta in alto, è luminoso, che comprende, che sta fermo rispetto a quello che invece si muove, sta in basso ed è buio. Tutto ciò non va bene per comprendere i comportamenti di Ian e di Kate, non è più alla luce di questa idea di coscienza che noi possiamo comprendere questi modi di essere al mondo che rappresentano la realtà quotidiana di molti nostri contemporanei. Sarah Cain allude ad un altro tipo di comprensione della coscienza, nel suo ultimo dramma, che soltanto gli scarafaggi possono comprendere.

C’è una continuità fra questa metamorfosi della coscienza della tarda modernità, caratterizzata dalla rottura della cerniera fra agire e sentire, dall’impossibilità di sentire se non alla luce di esperienze estreme, e ciò con cui attualmente la psichiatria ha contatto?

Non a caso viene usata la metafora della luce, luce che si alterna all’oscurità negli atti finali del dramma che termina proprio al buio: è solo nel buio che io posso rinunciare al mio costituirmi nella sfera visiva e pensare di ricostituirmi nella sfera cenestesica, nella sfera della corporeità percepita attraverso il mio senso interno.

 

 

III Sessione

Presidente: Letterio Mauro

Intervengono: Bruno Callieri, Eugenio Borgna, Angela Ales Bello

 

Bruno Callieri — Psichiatra, Università "La Sapienza", Roma

Sperare e attendere: fra aurore e crepuscoli

Sperare ed attendere vengono prospettati come aurora e crepuscolo non in generale, ma come due momenti del nostro dies con i quali non è difficile identificare le cosiddette età della vita.

Attesa è un termine con significazioni molto diverse che si riferiscono ad una gamma di situazioni, dalle più concrete e giornaliere alle più allusive e trascendenti. C’è sempre una spinta di base nell’attesa, una spinta che presuppone una ineludibile trama temporale; si delineano così le strutture categoriali del tempo e dello spazio.

La vera attesa è quella che si volge a qualcosa che non dipende da noi e, come la vera speranza, presuppone un’ insostenibile tensione prospettica: tempo e spazio in queste dimensioni si aggrumano inscidibilmente. Considerando l’ attesa sotto l’aspetto ontologico si può cogliere la sua tensione verso il Bene Supremo; dopo questo si può cogliere l’aspetto "mondano"/trascendentale che intende l’attesa sul piano del rapporto con gli altri e questo mondo come il secolarizzarsi delle attese, dove la tensione è focalizzata verso l’ottenimento di beni mondani, dal paradiso in terra a ricchezze, onori, piaceri. Un terzo aspetto è quello personale/relazionale: la persona non è l’Io, l’Io è una stazione, la persona è la relazione Io-Tu, la relazione è in primis, l’uomo è relazione.

Ultimo aspetto, ma non per importanza, è l’aspetto vitale, non inteso solo come corpo che si ha, ma come corpo che si è, è l’aspetto biopsichico di base che focalizza i bisogni fondamentali dell’uomo.

E’ necessario distinguere attesa ed attese: la prima non si rivolge a qualcosa che si può avere, ma ha a che fare con l’essere e, quindi, con la realizzazione di sé nel futuro, consentendo la salvezza della persona, cioè la realizzazione del noi e, quindi, l’incontro col Tu.

Viene sostenuta, poi, la differenza tra attesa e speranza: la speranza presuppone l’attesa, non sempre vale l’inverso… quando le attese fanno naufragio, allora l’attesa fondamentale emerge, quasi come trasformazione di tutte le attese ontiche, più o meno illusorie ("Dalla perdita delle comuni speranze di ogni giorno nasce la speranza vera").

Tra attesa e speranza emerge la decifrabilità della storia del singolo, ma anche l’assurdità, quale l’attesa dei tartari del tenente Drogo di Dino Buzzati. Le aspettative sono insopprimibile tessuto stesso dell’esistenza: l’esistenzia è ulteriorità, trascendenza.

La speranza, utilizzando ora una prospettiva psicopatologica, non può essere considerata come un aborto psicologico, conseguenza di meccanismi di difesa, ma certamente una psicopatologia della speranza c’è, anche se tra gli psichiatri è stata fino a non molto tempo fa messa da parte, considerandola non rilevante da un punto di vista clinico in riferimento ai sintomi.

I pochi autori che se ne sono occupati ne hanno parlato come aspetto della vita istintiva, spinta creativa che lotta contro la dissoluzione e l’autodistruzione, è stata considerata assieme all’amore, ma sempre distinta dall’ottimismo. Quest’ultimo, infatti, implica sempre una certa distanza dalla realtà: l’ottimista, come il pessimista, è pieno di Io, mentre la speranza è umile, modesta, povera di sé.

La speranza è un fenomeno specificamente umano, che per il lavoro psicoterapeutico deve essere intesa anche come un fenomeno sociale (Ianz, ’66).

Si può parlare di psicopatologia della speranza se la consideriamo un sentimento direzionato e un atteggiamento di base dell’esistenza che, per questo motivo, non può essere patologizzato (sarebbe un errore metodologico enorme!). Tutte le modificazioni della vita affettiva e tutti gli aspetti di alterazione della dimensione coesistenziale dell’esistenza determinano dei cambiamenti più o meno profondi dello sperare, cambiamenti non intesi come distorsione, ma da valutare nelle diverse età della vita.

Nell’attendere del bimbo, del 20enne, ed addirittura anche del 30enne (ci troviamo di fronte a casi innegabili di adolescenze ritardate) inteso come "aurora" la dimensione di attesa da sempre più densa va ad affievolirsi sia come tematica che come struttura formale per continuarsi nella progressiva nascita fino all’imposizione della speranza. Nel vecchio la speranza c’è!

 

 

Eugenio Borgna — Psichiatra, Ospedale Maggiore, Novara

I silenzi della speranza

Secondo il dott. Borgna esistono infinite modalità per confrontarsi con la sofferenza psichica e con quella che c’è all’interno del cuore di ognuno di noi, ed allo stesso modo si possono distinguere diverse psichiatrie, precisamente due: la psichiatria psicobiologica (l’"encefaloiatria") che riduce il significato della vita interiore alle alterazioni delle strutture cerebrali/neurotrasmettitoriali e quella che ritiene che non vi sia psichiatria se non seguendo quel misterioso cammino che porta verso l’interno.

In questo incontro è stata scelta questa seconda psichiatria che ha contribuito a tentare di sfuggire verso i sentieri inconsistenti della fantasia e della libertà, una psichiatria della interiorità, della speranza, della memoria, del tempo e della colpa, strutture importanti della conoscenza dell’interno di ogni esperienza psicopatologica, ma anche dell’interno delle nostre quotidiane possibilità.

Cosa avviene quando la speranza tace? I sentieri della speranza indicano che non c’è speranza quando non c’è il silenzio interiore in noi, se non siamo capaci di rientrare nella "solitudine" interiore; a volte la speranza tace, viene soffocata dal mistero della follia, definita "sorella sfortunata della poesia", della creatività, della originalità.

Vengono, quindi, riportati dal prof. Borgna stralci di conversazioni con una sua paziente che rappresentano al meglio la complessità e l’esistenza della speranza. "Angoscia e speranza non riescono a parlare, anche se entrambe hanno a che fare col futuro". La speranza vive nel tempo, di un tempo che corre continuamente dal passato, al presente, al futuro, ma su questa continuità assoluta si muove anche l’angoscia. La decapitazione della speranza porta angoscia, porta al suicidio perchè viene a mancare la dimensione del futuro.

"Se potessi sperare nel suicidio, se potessi contare su di una morte così vicina, se potessi scegliere la mia morte, sopporterei meglio questa sofferenza tremenda perché ne conoscerei la fine. Non ho la speranza della morte, non ho questa speranza, non ho più alcuna speranza". Chi crede che la speranza sia solo un fantasma farebbe meglio ad ascoltare con più attenzione, più profondamente, col cuore aperto a cogliere anche altre dimensioni.

La speranza è fragile, mille avvenimenti possono spegnerla, attenuarla, distruggerla: quando una guarigione inizia si fa avanti una speranza immotivata, una speranza, diversa, che contiene dentro di sé diverse cose, anche il futuro, non più visto come ripetizione del presente, ma come libertà di elementi, una situazione aperta.

 

 

Angela Ales Bello — Filosofo, Università Lateranense, Roma

"Chi non spera l’insperabile…" Luoghi e modi della speranza

"Chi non spera l’insperabile non lo troverà…" Per Eraclito è lo sperare, l’attività dello sperare, l’atto dello sperare che è importante. Sperare è un atto interiore (perché non è un’azione esterna), è un atto che attiviamo quotidianamente senza chiederci che cosa voglia dire.

Hussler ha riproposto lo "scavo interiore" individuando una sfera dei vissuti. Il vissuto è costituito da diversi atti (vedere, udire… ed anche sperare), atti intesi nel significato profondo del termine. Come si evidenzia il senso di ogni atto? Ogni atto è evidenziato nella base di ogni confronto; essi sono talmente tanti che non si potranno mai analizzare tutti. E’ comunque necessario distinguere l’atto della speranza da quegli atti che con essa possono essere confusi, quali, ad esempio, l’ illudersi ed il fantasticare. Questi, infatti, non sono sovrapponibili, devono essere confrontati attraverso un atto fondamentale: l’atto del percepire. Ciò avviene con l’utilizzo dei nostri sensi e deriva esso stesso da altri atti; ad esempio, di fronte ad un foglio di carta avviene l’atto percettivo che ci permette di riconoscerlo, a sua volta costituito da due atti, quello di vedere e quello di toccare che ci rimandano all’idea del "foglio di carta".

Se, poi, mettiamo via il foglio lo possiamo ricordare attraverso l’atto del ricordo, ma lo si può anche immaginare e fantasticare…

Questi atti sono tutti diversi fra loro; il ricordare ci porta al passato e ci rimanda a qualcosa conosciuto precedentemente. Si può distinguere, poi, il foglio immaginato e fantasticato, in quanto nell’atto del fantasticare il ruolo dell’oggetto è totalmente diverso, non c’è rimando al presente.

Diverso ancora è l’atto dell’illusione che ci permette di credere in ciò che non esiste.

L’atto dello sperare è legato a credere e desiderare e contribuisce a creare la direzione del futuro.

Si possono distinguere diverse situazioni in cui lo sperare è presente: "speriamo che domani sia bel tempo" quando ci basiamo su esperienze pregresse, "speriamo che il bene trionfi" quando si vuole rendere attuale la formazione di un ideale.

In ultimo si definisce l’ insperabile come contrario del credere e del desiderare.

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