BRIDGE - Bipolar Disorder: Improving Diagnosis, Guidance and Education

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Genova
Italia
Da 4 marzo, 2009 - 00:00 a 4 marzo, 2009 - 00:00

G. Perugi — Stati misti e cicli rapidi

Nella visione moderna del disturbo bipolare gli stati misti e i cicli rapidi sono considerati come due delle complicanze di decorso di questa patologia, l’una legata alla commistione di sintomi ed elementi maniacali e depressivi e l’altra al susseguirsi di cicli ravvicinati.

In realtà questa idea è figlia di un modello del disturbo bipolare un po’ naïf e non aderisce a quella che è la concezione originale della malattia, non rispecchiando neppure gli aspetti clinici del disturbo.

Gli stati misti e i cicli rapidi sono responsabili del gap maggiore che c’è tra i risultati della ricerca clinica, i dati empirici che vengo raccolti utilizzando i modelli proposti dal DSM, le linee guida internazionali, e la realtà clinica di tutti i giorni dove i pazienti assumono combinazioni complesse di farmaci, hanno una scarsa aderenza alla terapia e dove spesso gli stati misti e i cicli rapidi non vengono riconosciuti e sono trattati impropriamente.

Questo dipende dal fatto che tali situazioni cliniche non sono una complicanza del percorso del paziente, ma sono una parte essenziale della malattia.

 

Il disturbo bipolare di tipo I ha una prevalenza simile tra i maschi e tra le femmine; al contrario il disturbo di tipo II è più frequente nelle femmine così come sono più facilmente riscontrabili nelle donne cicli rapidi, episodi misti, temperamenti depressivi e ciclotimici, viraggi dell’umore e (ipo)mania indotta da antidepressivi, disfunzioni della tiroide, emicrania e cefalea.

 

       

 

Si definiscono pazienti con cicli rapidi quei pazienti bipolari che hanno almeno 4 cicli per anno.

I cicli rapidi si classificano in base alla durata dei cicli stessi, cioè in base al tempo che intercorre tra l’inizio di un episodio e un nuovo episodio della stessa polarità:

  • classici: con durata tra 3 giorni e 12 settimane
  • ultra-rapidi: con durata di meno di 3 giorni
  • ultra-ultra rapidi o ultradiani: con durata di 24 ore o meno

I soggetti che soffrono di cicli rapidi classici in genere (e secondo i modelli proposti in letteratura) hanno fasi depressive abbastanza lunghe, fasi espansive caratterizzate da iperattività e iperadattamento (ipomania), più frequentemente sono donne sovrappeso, in menopausa, spesso affette da disfunzioni tiroidee.

I cicli rapidi classici sono di solito cronici, rispondono peggio agli stabilizzatori dell’umore, ma generalmente, col passare del tempo, vanno in remissione.

I pazienti bipolari con cicli ultra-rapidi e ultra-ultra rapidi hanno caratteristiche diverse e solitamente sono maschi molto giovani (bambini ed adolescenti).

I fattori di rischio per i cicli rapidi e per gli stati misti nelle donne con disturbo bipolare sono:

  • ipotiroidismo
  • fasi perimenopausali e menopausa
  • uso di farmaci antidepressivi
  • temperamento ad alta energia

 

Gli stati misti sono una parte centrale del disturbo bipolare.

Nella letteratura moderna sono identificati come un fenomeno accessorio di questa patologia e, in maniera un po’ semplicistica, vengono definiti come la combinazione di sintomi depressivi con sintomi maniacali.

Anche nelle classificazioni ufficiali come il DSM e ICD-10 lo stato misto è caratterizzato dalla co-presenza dei criteri della depressione e dei criteri della mania; lo si considera, pertanto, come complicanza di quelle che sono le forme prototipiche pure di depressione e di mania, che in realtà, nella pratica clinica, sono piuttosto rare.

Kraepelin è stato il primo a parlare di malattia maniaco-depressiva e a definirne le caratteristiche ed i criteri clinici.

Esisteva un modello precedente di disturbo dell’umore basato sulla sequenzialità delle fasi e l’esistenza di un legame tra mania e depressione è da sempre presente nella letteratura medica.

Ma quello che ha spinto Kraepelin a formulare la sua idea di malattia maniaco-depressiva non è stato tanto l’alternarsi in sequenza di fasi depressive e di fasi maniacali, quanto il fatto che nello stesso paziente concomitassero elementi di opposta polarità.

Il modello attuale del disturbo bipolare identifica la patologia come un disturbo dell’umore, ponendo quindi come criterio fondamentale di diagnosi la valutazione dell’umore (euforia e irritabilità per la mania, tristezza ed anedonia per la depressione).

In realtà, per Kraepelin, le alterazioni dell’umore sono un sintomo accessorio e la malattia maniaco-depressiva si identifica con l’eccitamento e la diminuzione di tutte le funzioni psichiche.

Gli stati misti, quindi, rivestono un ruolo centrale nella definizione che Kraepelin ha dato della malattia maniaco-depressiva e gli aspetti clinici che secondo il suo modello li caratterizzano si possono così riassumere:

  • Sintomi opposti (umore, pensiero, psicomotricità)
  • Sintomi psicotici (come la demenza precoce)
  • Decorso (periodicità, prognosi migliore rispetto alla demenza precoce)
  • Anamnesi personale e familiare (per malattia maniaco-depressiva)
  • Durata dell’episodio (maggiore cronicità rispetto alla mania o alla depressione)

 

Gli stati misti hanno sintomi specifici che sono diversi sia dalla depressione che dalla mania; spesso si presentano con sintomi psicotici, il decorso è periodico, la prognosi è migliore rispetto alla demenza precoce anche se sul piano trasversale le due forme sono indistinguibili, soprattutto nella fase acuta. Non è possibile, cioè, basandosi sui soli sintomi capire se un soggetto con un episodio psicotico acuto con sintomi affettivi misti avrà un decorso di tipo schizofrenico oppure bipolare. Per effettuare una corretta diagnosi è necessaria un’osservazione ed una valutazione del paziente nel tempo, idea, questa, già ampiamente sviluppata nella nosologia kraepeliniana.

 

Altri psichiatri, Bleuler in particolare, hanno formulato dei criteri sindromici per cercare di prevedere l’evoluzione dell’episodio acuto in base al quadro sintomatologico del paziente, ma questi si sono rivelati poco attendibili e poco utili.

 

Questa è anche la ragione per cui diversi psichiatri vedendo il paziente in momenti diversi della sua malattia fanno diagnosi diverse; in alcuni momenti della storia clinica del paziente certe caratteristiche sintomatologiche si assimilano di più ad un quadro ansioso, piuttosto che di tipo depressivo, mentre in altri i sintomi si possono associare maggiormente ad un disturbo schizofrenico o ad un disturbo di personalità di tipo borderline.

E proprio questa eterogeneità di manifestazioni cliniche, e di diagnosi, nello stesso paziente è da considerarsi un sintomo patognomonico del disturbo bipolare.

 

Due aspetti clinici importanti degli stati misti riferiti da Kraepelin sono, inoltre, la familiarità (tipicamente per disturbo bipolare) ed il fatto che gli episodi misti tendono ad avere una maggiore cronicità rispetto alla mania e alla depressione pura.

 

Quello che è davvero centrale nella nosologia kraepeliniana è la seguente classificazione:

  • Mania pura
  • Mania depressiva
  • Depressione agitata
  • Mania improduttiva
  • Depressione pura
  • Stupore maniacale
  • Depressione con fuga delle idee
  • Mania con inibizione

 

Kraepelin divide le sfere psicopatologiche in:

  • pensiero
  • emotività
  • volontà (o volizione, che indica il legame che c’è tra l’ideazione e la psicomotricità, il passaggio dal pensato all’agito).

 

Queste sfere oscillano in modo più o meno armonico in tutti gli individui.

Se un soggetto ha i pensieri accelerati, l’affettività positiva e gli atti di volontà disinibiti è maniaco, se, al contrario, ha pochi pensieri rallentati, l’emotività negativa e gli atti di volontà bloccati è depresso.

Tutte le altre situazioni possibili vengono considerate stati misti.

Pertanto, da questo, si può dedurre che gli stati misti sono la maggior parte delle manifestazioni della malattia manico-depressiva, e che, ai fini diagnostici, la loro caratteristica clinica principale non va ricercata tanto nell’alterazione dell’umore quanto nella diversa espressione dell’emotività, del pensiero e della volontà.

 

Un modello di questo tipo, quindi, ci rende ragione anche sul piano clinico di alcuni fenomeni come, ad esempio, la depressione agitata che un modello schematico mania-depressione-intervallo che attua una netta distinzione tra sintomi depressivi e maniacali, non spiega in modo sufficientemente esauriente.

 

Secondo i Criteri di Vienna i sintomi patognomonici degli stati misti sono:

  • Stato impulsivo persistente in contraddizione con lo stato umorale e/o la risonanza emotiva
  • Instabilità emotiva
  • Perplessità (determinata dall’incapacità del paziente di risonare con l’ambiente esterno dal punto di vista affettivo)
  • Incapacità decisionale
  • Disturbi della percezione
  • Depersonalizzazione

 

Il DSM IV pone la condizione che lo stato misto per essere diagnosticato come tale non debba essere dovuto all’uso di sostanze o a una condizione medica generale.

Questi criteri di esclusione sono però del tutto criticabili in quanto la maggior parte degli stati misti viene indotta proprio dall’uso di sostanze, dall’assunzione di farmaci o da una condizione medica generale concomitante; se si seguissero alla lettera le indicazioni del DSM la diagnosi corretta non verrebbe effettuata per la totalità dei casi.

Un studio del 1998 (Perugi et al.) ha confrontato i criteri del DSM III-R con i criteri di Kraepelin degli stati misti ed è risultato che usando i criteri del DSM si diagnosticano solo una metà degli stati misti e non si identificano gran parte delle manie disforiche e degli stati misti depressivi.

 

I criteri ICD-10 identificano lo stato misto come un episodio affettivo della durata di almeno 2 settimane caratterizzato da una mescolanza o una rapida alternanza (solitamente nel giro di poche ore) di sintomi ipomaniacali, maniacali e depressivi.

Anche questo però è un modello un po’ semplicistico che va bene per l’epidemiologia, ma è meno utile per la pratica clinica.

Inoltre l’ICD-10, per fare diagnosi di stato misto, richiede che in anamnesi personale ci sia un precedente episodio affettivo maggiore, non tenendo conto del fatto che spesso gli stati misti costituiscono l’esordio del disturbo bipolare, soprattutto le forme gravi con caratteristiche psicotiche, più tipiche dei soggetti adolescenti.

 

Per fare diagnosi di mania mista, secondo una vasta letteratura epidemiologica, sono sufficienti due o più sintomi depressivi in paziente maniacale.

 

I Criteri di Cincinnati identificano la mania mista secondo i seguenti aspetti:

  1. Una sindrome maniacale completa secondo i criteri del DSM-III-R
  2. Presenza contemporanea di almeno tre sintomi depressivi associati
  3. Per presenza contemporanea si intende quando i sintomi maniacali e depressivi si verificano contemporaneamente o si alternano molto rapidamente (entro pochi minuti)
  4. I sintomi maniacali e depressivi sono contemporaneamente presenti per almeno 24 ore

 

La mania disforica si può definire secondo diversi parametri, tutti volti a definire la coloritura disforica dell’episodio maniacale:

  • In base alla categoria: mania + depressione maggiore
  • In base alle dimensioni: mania + >2 sintomi depressivi
  • In base alla psicometria: mania + HAM-D >10
  • In base ai tratti: temperamento depressivo + mania

 

Gli stati misti depressivi sono episodi depressivi nell’ambito del disturbo bipolare di tipo I in cui si riscontra la presenza di sintomi quali agitazione, umore irritabile, eloquio accelerato, fuga di idee e spesso presenza di aspetti psicotici.

 

Gli stati misti depressivi sono poco studiati e vengono spesso trascurati dalla letteratura.

Questo dipende, in parte, dal fatto che sono più difficili da indagare ma, in parte, si può considerare come il risultato di un atteggiamento culturale della nostra società, depressocentrica e depressofobica.

Il concetto di salute e la qualità della vita si valutano in base ad un modello di tipo ipomaniacale secondo cui il soggetto che sta bene è colui che, dotato di buone capacità comunicative ed estroverso, lavora tanto, produce tanto, consuma tanto e muore presto; al contrario, la depressione ha tutta una serie di connotazioni negative.

Per cui, in una società di questo tipo, in cui è più immediatamente patologica la depressione che non l’eccitamento, vi è grande facilità a diagnosticare episodi depressivi e a vedere sintomatologia depressiva anche là dove i quadri clinici sono molto sfumati e aspecifici; agevola questa situazione la grande disponibilità di farmaci antidepressivi e la loro maneggevolezza rispetto ad altre classi di psicofarmaci, come ad esempio le benzodiazepine.

Pertanto gli stati misti depressivi vengono spesso inclusi nella depressione maggiore, ma in realtà quadri clinici come la depressione agitata o la depressione eccitata spesso accompagnata da sintomi psicotici sono stati misti veri e propri e come tali vanno considerati.

 

Le principali caratteristiche degli stati misti sono:

  • Predominanza femminile
  • Comorbilità con alcolismo e disturbi neuropsichiatrici
  • Uso di sostanze e di farmaci (benzodiazepine, antidepressivi, antipsicotici)
  • Episodi misti e depressivi pregressi più numerosi degli episodi maniacali
  • Anamnesi familiare più spesso depressiva che maniacale
  • Rischio di suicidio

 

C’è una comorbilità degli stati misti con disturbi neuropsichiatrici perché l’oscillazione armonica delle varie funzioni psichiche ed i diversi aspetti neurofisiologici del SNC per funzionare in maniera equilibrata e regolare è necessario che siano correlati ad un substrato anatomico che funzioni correttamente; la presenza di un tumore cerebrale, di un problema neuropsichiatrico, di una malattia vascolare cerebrale può turbare questo equilibrio.

Ed ecco perché gli anziani e i bambini hanno spesso presentazioni cliniche di tipo misto: il loro SNC non è ancora completamente maturo oppure non è più del tutto funzionante per ragioni fisiologiche.

 

Il rischio di suicidio è un altro aspetto importante che caratterizza gli stati misti.

Facendo riferimento al modello kraepeliniano, il suicidio si può considerare come un atto di volontà estrema ed estremamente determinato; pertanto chi commette un suicidio, pur presentando pensieri ed emotività negativa, è disinibito sul piano della volontà.

 

L’eziologia degli stati misti fa riferimento a molteplici aspetti:

  • Fattori genetici e familiari
  • Uso di sostanze (cannabinoidi, stimolanti, cocaina, alcool, sedativi)
  • Problemi neurologici (epilessia, emicrania, tumori cerebrali, trauma cranico, alterazioni non specifiche dell’EEG, ecc.)
  • Farmacoterapia (antidepressivi triciclici, benzodiazepine, ecc.)
  • Fatto di stress gravi e molteplici

 

La mania mista rispetto alla mania pura ha:

  • maggiore probabilità che si presenti con stato misto al primo episodio
  • maggiore durata dell’episodio di riferimento
  • numero minore di episodi affettivi precedenti
  • numero maggiore di episodi misti precedenti
  • minore temperamento ipertimico
  • minore temperamento depressivo
  • maggior numero di sintomi psicotici incongrui all’umore
  • maggiore rischio di suicidio
  • minore remissione interepisodica (sintomatologia residua)

 

Si ritiene che alcuni stati misti siano determinati dalla combinazione di un temperamento di una certa polarità con un episodio di polarità opposta.

 

Per quanto riguarda gli stati misti depressivi, le caratteristiche che li distinguono dalla depressione bipolare sono:

  • numero minore di episodi
  • minore decorso ciclico (assenza di ciclicità rapida)
  • minore probabilità che si presenti uno stato misto al primo episodio
  • numero maggiore di episodi misti precedenti
  • maggiore durata dell’episodio in corso
  • minore remissione interepisodica
  • numero maggiore di sintomi psicotici incongrui
  • maggiore agitazione, umore irritabile, eloquio accelerato e fuga delle idee

 

Importante, negli stati misti depressivi, è la diagnosi differenziale con altri disturbi psicotici.

Lo stato misto psicotico a connotazione depressiva con sintomi psicotici incongrui, con impulsività e discontrollo spesso è diagnosticato come episodio schizofrenico e l’intervento inappropriato con alcune classi di antipsicotici può far precipitare il quadro clinico in forme melanconiche con comportamenti suicidiari.

 

Naturalmente, anche in assenza di fasi maniacali, questi sono pazienti bipolari che hanno bisogno di una terapia stabilizzante.

L’idea che la diagnosi di disturbo bipolare si debba basare su 15 giorni di mania non ha alcun fondamento nella pratica clinica, sia perché spesso i pazienti dimenticano gli episodi maniacali di breve durata e sia perché vi sono pazienti che non hanno mai fasi maniacali pure, ma solo fasi miste psicotiche o fasi miste depressive.

 

C’è un rischio nell’impiego degli antidepressivi.

Non tutti i pazienti rispondo agli antidepressivi in modo positivo; alcuni pazienti in stato misto possono avere fasi di eccitamento importanti scatenate da tali farmaci, con agitazione, impulsività e rischio suicidiario.

C’è da dire che il rischio suicidiario scatenato dall’uso di antidepressivi è molto maggiore nei giovani, ma questo probabilmente non a causa degli antidepressivi stessi ma perché nei giovani sono più frequenti le forme miste.

 

Gli stati misti attenuati del disturbo bipolare II non sono considerati in nosografia.

Gli stati misti, considerati determinati dalla combinazione di mania e depressione, sono previsti solo nell’ambito del disturbo bipolare I; ma esistono, nella pratica clinica, pazienti con disturbo bipolare II in cui vi sono stati misti, stati misti attenuati, dove nell’ambito di un quadro depressivo sono presenti sintomi ipomaniacali come irritabilità, fuga di idee, pensieri che si accavallano, facilità alla distrazione, impulsività.

 

I sintomi depressivi possono mascherare un’ipomania.

Accade spesso che il paziente ipomaniacale abbia un sintomatologia con elementi ansiosi (per esempio durante l’ipomania gli attacchi di panico possono aumentare) e che, per questa componente disforica mista, venga diagnosticato come depresso.

L’ipomania pura, caratterizzata da iperattività, ipersintonia e iperadattamento, si riscontra eccezionalmente nella pratica clinica di tutti i giorni (ad esempio rari quadri clinici caratterizzati da rapidi ciclici, soprattutto presenti in pazienti donne); solitamente l’ipomania ha una coloritura disforica con elementi di impulsività e aggressività.

 

Per quanto riguarda i trattamenti degli stati misti, vi sono un paio di considerazioni da fare.

La scelta della terapia dovrebbe sempre fare riferimento alla medicina basata sull’evidenza, ma gli stati misti sono solitamente esclusi dagli studi di registrazione che prediligono campioni di pazienti con forme pure, ma che ben poco rispecchiano la realtà clinica, e le informazioni sulle diverse forme di stati misti sono molto eterogenee (per esempio vi sono maggiori conoscenze per quanto riguarda la mania mista, ma gli stati misti depressivi non sono quasi mai oggetto di studi).

 

Le implicazioni terapeutiche sono molteplici.

 

Gli stati misti hanno sì una minore risposta agli stabilizzatori dell’umore classici (per esempio alcune forme di mania mista sono resistenti al litio), ma si sono ottenuti buoni risultati con gli anticonvulsivanti (valproato sulla mania mista e carbamazepina sulla rapida ciclicità) e una combinazione di stabilizzatori dell’umore (ad esempio litio + valproato / lamotrigina / carbamazepina) può essere di beneficio al paziente, così come l’uso di antipsicotici atipici (olanzapina, quetiapina, clozapina: quelli a bassa potenza con un’azione più completa e meno selettiva sul recettore D2).

 

Il valproato rispetto al litio ha dato dei risultati migliori per la mania mista, soprattutto nelle forme acute. Tale farmaco ha poi il vantaggio di poter essere titolato molto rapidamente consentendo di raggiungere livelli di concentrazione plasmatica adeguati in 3 giorni, caso unico tra gli stabilizzatori.

 

La maggior parte degli stati misti depressivi sono resistenti agli antidepressivi (la maggior parte delle depressioni resistenti sono in realtà stati misti che non rispondono alla terapia antidepressiva) e l’interruzione degli antidepressivi potrebbe migliorare la sintomatologia depressiva mista.

 

Gli antidepressivi possono peggiorare il disturbo bipolare principalmente due modi: da un lato con l’induzione di viraggi acuti (mania, ipomania, stati misti) e dall’altro con una destabilizzazione a lungo termine (accelerazione dei cicli, cicli rapidi e stati misti cronici).

Combinando l’antidepressivo con lo stabilizzatore dell’umore si ottiene una certa protezione che però non è totale.

 

Altre strategie possono comprendere l’uso di ormoni tiroidei o la TEC.

 

In alcuni pazienti la TEC può essere trattamento di elezione; in acuto e per forme gravemente suicidiarie, là dove le terapie farmacologiche non sortiscono alcun effetto positivo, ma peggiorano il quadro clinico, può essere l’unica soluzione.

 

In conclusione si può dire che:

  • Gli stati misti sono una manifestazione centrale e caratteristica della malattia maniaco-depressiva e non una complicanza
  • Il modello aggiuntivo proposto del DSM-IV e dalla ICD-10 è inadeguato e fuorviante dal punto di vista diagnostico
  • I sintomi specifici non sono riconosciuti (perplessità emotiva ed instabilità, impulsività, aspetti psicotici, ecc.)
  • Non vi sono criteri per gli stati misti depressivi e per le forme attenuate, nonostante siano situazioni molto comuni nella pratica clinica, soprattutto quella di tipo ambulatoriale
  • Gli stati misti sono sotto diagnosticati
  • Gli stati misti si possono interpretare come il risultato dell’interazione fra variabili temperamentali, affettive, tossiche, neurologiche e psicologiche complesse
  • Gli stati misti sono spesso resistenti al trattamento
  • Stati misti possono essere indotti da alcool, droghe e trattamenti
  • Il valproato e alcuni antipsicotici atipici sembrano più efficaci del litio nel controllare la sintomatologia mista

 

 

C. Vampini — Il Disturbo Bipolare nell’anziano

 

Attualmente esistono pochissimi studi epidemiologici e clinici che abbiano focalizzato in modo metodologicamente corretto l’attenzione sul disturbo bipolare (DB) nell’anziano.

Infatti anche la migliore letteratura in materia si basa su casistiche molto esigue, con dati per lo più retrospettivi (ricavati prevalentemente dalle cartelle cliniche) e quasi esclusivamente riferiti alle forme maniacali.

Vi è inoltre incertezza sulla definizione di "esordio" in età senile e scarsa distinzione tra DB (di tipo I e II) e altri disturbi appartenenti allo spettro bipolare (ciclotimia).

 

Le evidenze più forti che si possono reperire in letteratura sono le seguenti:

  1. La prevalenza del DB declina con l’età
  2. L’abuso di sostanze è negli anziani con DB meno comune che nelle altre classi d’età
  3. Nei casi di mania late-onset vi è un maggior grado di compromissione neurologica
  4. È presente un tasso elevato di comorbilità medica
  5. Presentazione e decorso sono eterogenei, con diverse possibilità:
  • DB early-onset ricorrente o cronico in età senile
  • Mania late-onset dopo decorso unipolare ricorrente
  • Mania late-onset primaria
  • Mania late-onset secondaria

 

Gli studi di comunità hanno mostrato che vi è una progressiva riduzione della prevalenza della malattia dai 45 anni in poi.

Studi che si sono occupati di prevalenza in reparti psichiatrici, a livello ambulatoriale, in istituti per anziani o nell’ambito dell’emergenza psichiatrica hanno mostrato invece numeri molto più importanti. Negli anziani istituzionalizzati, ad esempio, sono emerse prevalenze che vanno dal 3 al 17%.

Da un'analisi condotta sugli ex combattenti americani (veterans) è emerso che in un campione di oltre 65000 persone con disturbi bipolari, quelle che hanno oltre 60 anni sono un quarto del totale.

I soggetti in cui il disturbo è insorto in età avanzata rappresentano il 6% di tutti i bipolari.

 

La comorbilità con malattie somatiche è molto diffusa. Rispetto ai pazienti unipolari, i bipolari presentano più frequentemente patologie respiratorie e metaboliche (ipotiroidismo e diabete); hanno inoltre un indice di massa corporea superiore.

 

Per quanto riguarda le forme di mania secondaria in età senile, non esistono studi che abbiano messo in luce dati di prevalenza precisi, ma dalla letteratura si possono trarre le seguenti conclusioni:

  • Una comorbilità neurologica è presente nel 70% dei casi. Le patologie più frequentemente riscontrate in questo ambito sono attacchi ischemici, epilessia, disturbi del movimento, sclerosi multipla, traumi cranici, infezioni, demenza frontotemporale e tumori
  • I farmaci più spesso in causa nelle forme di mania secondaria sono corticosteroidi, L-dopa, tiroxina, benzodiazepine, alcool e simpaticomimetici
  • Tra le altre cause figurano emodialisi, ipertiroidismo, stato postoperatorio, deficit di vitamina B12 e influenza

 

A livello diagnostico è molto importante distinguere una mania primaria da una mania secondaria a fattori organici, per le importanti implicazioni di tipo prognostico e terapeutico (rimozione, ove possibile, del fattore eziopatogenetico).

Gli aspetti clinico — anamnestici suggestivi di mania su base organica sono i seguenti:

  • Distraibilità, ridotta attenzione e concentrazione, come in demenza o delirium
  • Esordio in età senile
  • Lunga latenza tra il primo episodio depressivo e l’esordio di mania
  • Decorso cronico
  • Assenza di storia familiare per disturbi dell’umore
  • Scarsa risposta al litio o comparsa di neurotossicità a livelli bassi di litiemia

 

Altri studi sul paziente anziano bipolare hanno documentato:

  • Una maggior frequenza di stati misti e sintomi psicotici;
  • Un ridotto peso della familiarità per disturbi affettivi nelle forme late-onset: il carico genetico inferiore è probabilmente compensato dai fattori eziopatogenetici organici;
  • Frequenti situazioni di atrofia corticale e iperintensità sottocorticale. Valutazioni condotte mediante RMN hanno evidenziato una notevole presenza di iperintensità sia a livello dei nuclei della base, sia a livello parietale, nei soggetti a esordio tardivo. È difficile in questi casi stabilire se si tratta di alterazioni primarie o secondarie allo stile di vita e all’abuso di sostanze o di farmaci.

 

Il deficit cognitivo nel disturbo bipolare è presente non solo in fase premorbosa, ma anche in consanguinei di primo grado dei pazienti; è quindi un tratto che attraversa la malattia e si ritrova non solo nelle condizioni maniacali, ma anche nelle fasi di eutimia.

La gravità della disfunzione cognitiva sarà correlata al numero di episodi maniacali che il paziente presenterà nel corso della vita, al numero di ospedalizzazioni e alla durata stessa della malattia.

Il paziente bipolare anziano ha dunque globalmente un deficit cognitivo superiore ai coetanei sani, superiore ai depressi unipolari e inferiore solo ai soggetti affetti da schizofrenia.

Uno studio molto recente ha esaminato un follow-up di 29 anni di pazienti ricoverati per depressione e per DB, per valutare quanti hanno in seguito sviluppato una seconda diagnosi di demenza. È emerso che la presenza in anamnesi di numerosi episodi di disturbo bipolare con ricovero incrementa del 6% il rischio di demenza; le percentuali sono ancora più importanti (13%) nel caso della presenza di numerosi episodi depressivi. Entrambe le patologie dunque, anche se in misura diversa, rappresentano fattori di rischio per una successiva evoluzione in demenza.

Secondo alcuni Autori gli stabilizzatori dell’umore come litio e valproato, per i loro effetti anti-apoptotici, svolgono un’azione protettiva nei confronti dei disturbi cognitivi.

 

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico dei disturbi dell'umore in età senile, il disturbo bipolare è stato oggetto di un numero minore di studi clinici rispetto alla depressione unipolare.

 

Il litio nell’anziano deve essere utilizzato con attenzione, in particolare nei pazienti con comorbilità neurologica. Tale farmaco è tanto più indicato quanto più l’aspetto maniacale è presente nel disturbo. Si ha invece scarsa risposta al litio nei seguenti casi:

  • mania secondaria
  • presenza di comorbilità neurologica
  • assenza di familiarità per disturbi dell’umore
  • stati misti

L’aspetto della tollerabilità è particolarmente importante: tutte le funzioni cognitive possono peggiorare nel trattamento con litio: ciò avviene tanto più frequentemente quanto più il paziente è compromesso sul piano neurologico e somatico generale.

Negli anziani bisogna utilizzare dosi ridotte rispetto agli adulti giovani e, a parità di dosaggi, si ottengono livelli plasmatici più elevati (per modificazioni cinetiche e/o interazioni con diuretici, FANS, ACE-inibitori).

Di seguito sono elencati i principali effetti indesiderati che possono comparire negli anziani in terapia con litio:

  • peggioramento delle funzioni cognitive
  • tremore, confusione, atassia, acatisia, delirium
  • disfunzione renale
  • ridotta tolleranza glucidica
  • ipotiroidismo
  • edema periferico
  • disturbi della conduzione, aritmie

Talvolta può accadere che i suddetti effetti indesiderati insorgano improvvisamente dopo molti anni di buona tollerabilità. Tale evenienza può verificarsi per cambiamenti fisiologici, patologici o iatrogeni intercorrenti e impone un’attenta valutazione del decorso del trattamento.

 

Il valproato nel soggetto anziano è efficace. Tale farmaco deve essere utilizzato a dosaggi leggermente inferiori rispetto a quelli degli adulti giovani, perché in età senile si possono verificare alcune modificazioni di tipo farmacocinetico — aumento della quota libera per la riduzione dell’albuminemia — che possono portare problemi di tollerabilità e comparsa di effetti indesiderati.

I predittori di risposta al valproato nel soggetto anziano sono i seguenti:




    • Mania mista
    • Non risposta/intolleranza al litio
    • Mania late-onset
    • Mania secondaria a patologie mediche o neurologiche

 

Nelle manie ad esordio tardivo e nelle manie con importante componente organica il valproato è dunque il farmaco di scelta, perché ha minore potenziale neurotossico rispetto al litio e perché protegge dalla possibile insorgenza di condizioni comiziali.

 

Un studio RCT che ha valutato l’impiego del valproato nella demenza ha messo in luce una netta riduzione degli aspetti maniacali e di agitazione rispetto al placebo.

I possibili effetti indesiderati negli anziani in terapia con valproato sono i seguenti:

  • Sintomi gastrointestinali
  • Sedazione, tremore, atassia: tali effetti neurologici potrebbero essere legati ad un aumento della frazione libera, a un troppo rapido aumento delle dosi, o alla comparsa di iperammoniemia
  • Incremento SGOT-SGPT
  • Trombocitopenia reversibile (PLT<100.000)

 

La carbamazepina negli anziani con DB non è stata molto studiata. Tale farmaco può essere considerato un’alternativa al valproato nei casi di mania "disforica" o secondaria; presenta però una maneggevolezza molto inferiore e può portare tutta una serie di pesanti effetti collaterali, di seguito elencati, che richiedono un accurato monitoraggio clinico, ematochimico ed elettrocardiografico:vertigini, sedazione, atassia, diplopia, nistagmo, visione offuscata

  • impairment cognitivo
  • aritmie (effetto chinidino-simile)
  • SIADH
  • Discrasie ematiche: anemia aplastica, agranulocitosi
  • Rash cutanei
  • Induzione isoenzimi P-450

 

I nuovi antipsicotici, molto impiegati nella popolazione generale per la loro efficacia, nell’anziano non sono praticamente stati studiati. Il loro impiego in età senile per motivi di tollerabilità deve avvenire a dosi inferiori rispetto agli adulti giovani. Tutti gli antipsicotici atipici, infatti, possono avere un effetto alfa-litico e quindi causare ipotensione ortostatica, che richiede adeguato monitoraggio; inoltre possono determinare acatisia e disturbi extrapiramidali.

In linea generale la farmacoterapia in ambito psicogeriatrico richiede, in misura maggiore rispetto ai trattamenti di soggetti giovani, un’attenta considerazione dei possibili problemi di tollerabilità, una corretta anamnesi psicofarmacologica, nonché una valutazione degli aspetti di comorbilità somatica e neurologica.

 

 

A. Tortorella — Disturbo Bipolare e malattie fisiche

 

Obiettivi del corso:

 

    • Aumentare la consapevolezza che la prevalenza dei disturbi cardiometabolici è maggiore nei pazienti con disturbo bipolare rispetto alla popolazione generale
    • Accertare che molti fattori di rischio presenti nei pazienti con disturbo bipolare sono modificabili
    • Il trattamento farmacologico influisce sull'aumento di peso nel disturbo bipolare, ma il rischio di aumento ponderale varia tra i diversi farmaci antipsicotici
    • Riconoscere l'importanza del monitoraggio e dell'intervento nel ridurre il rischio cardiometabolico di un individuo

 

Si può notare che i pazienti affetti da disturbo bipolare sono sempre più a rischio di morbidità e mortalità medica; sia per fattori cardiometabolici e legati allo stile di vita, che per eventi avversi correlati ai medicinali ( come aumento ponderale, sui lipidi e maggior rischio metabolico).

 

Problemi cardiometabolici nella popolazione generale e nei pazienti affetti da disturbo bipolare:

 

Comparando i problemi cardiometabolici nella popolazione generale e nei pazienti affetti da disturbo bipolare si evince che negli ultimi anni il tasso di mortalità dovuto a malattie cardiovascolari nella popolazione generale è diminuito, mentre si assiste ad una riduzione dell'aspettativa di vita per i malati mentali gravi (per esempio disturbo bipolare, schizofrenia e depressione).

Le malattie cadiovascolari rappresentano una causa primaria di morte nelle persone affette da malattie mentali.

 

Fattori di rischio cardiovascolare e malattia mentale:

 

Fattori di rischio non modificabili

Fattori di rischi modificabili

sesso

obesità

anamnesi famigliare

fumo

anamnesi personale

iperglicemia

età

ipertensione

etnia

dislipidemia

 

 

Sindrome metabolica: definizione

 

La sindrome metabolica viene definita con >3 dei seguenti criteri NCEP ATP III:

 

Obesità centrale

uomini>102 cm

donne>88 cm

Pressione del sangue

>130/85 mmhg

Trigliceridi

>1,69 mmol/L

Colesterolo HDL

uomini<1,03 mmol/L

donne<1,29 mmol/L

Glicemia a digiuno

>6,1 mmol/L

 

La prevalenza della sindrome metabolica e delle anomalie del glucosio è elevata nei pazienti affetti da disturbo bipolare.

Analizzando il database nazionale si nota che tra i soggetti affetti da schizofrenia o disturbo bipolare si riscontrano i più elevati tassi di malattie cardiache ischemiche, ictus, ipertensione e diabete rispetto al resto della popolazione; questo può essere in parte spiegato dalla presenza di numerosi fattori di rischio per malattie cardiovascolari nei pazienti affetti da disturbo bipolare. Il rischio relativo per malattie cardiovascolari risulta essere fino a due volte maggiore nei pazienti con malattie bipolari.

 

Aumento di peso nel disturbo bipolare: trattamenti farmacologici come fattore associato

L'incremento ponderale nei pazienti con disturbo bipolare è in parte associato al trattamento farmacologico; in uno pilota è stato riscontrato con litio e valproato un aumento medio di peso del 5%, mentre con olanzapina, risperidone e quetiapina un aumento del 7%.

Oltre ai trattamenti farmacologici vi sono altri fattori di rischio di aumento ponderale e obesità nei pazienti con disturbo bipolare; come ad esempio la frequente comorbidità con disturbi dell'alimentazione incontrollata, il numero di episodi depressivi, l'eccessivo consumo di carboidrati e lo scarso esercizio fisico.

 

Screening e monitoraggio dei parametri metabolici in pazienti con disturbo bipolare:

 

Cosa fare nell'assistenza dei pazienti affetti da disturbo bipolare?

  • E' necessario offrire una guida per il monitoraggio dei pazienti affetti da disturbo bipolare in modo tale da prevenire le malattie cardiovascolari
  • Vanno definite Linee Guida congiuntesulla prevenzione delle malattie cardiovascolari nella pratica clinica
  • Va migliorata la formazione e il coinvolgimento dei medici che forniscono assistenza primaria, degli endocrinologi e dei cardiologi al fine di incrementare la consapevolezza dei rischi di malattie cardiovascolari nei soggetti affetti da malattie mentali

 

E' importante valutare i fattori di rischio nei singoli pazienti, dare adeguati consigli sullo stile di vita e monitorare periodicamente alcuni parametri come:

    • Peso (IMC)
    • Circonferenza vita
    • Pressione arteriosa
    • Glucosio a digiuno
    • Profilo lipidico a digiuno

 

Altri punti fondamentali per la gestione del rischio cardiovascolare nel paziente bipolare sono:

  • Agire sui fattori di rischio comportamentali
  • Smettere di fumare
  • Alimentazione più sana
  • Aumento dell'attività fisica

Conclusioni:

    • Le persone affette da disturbo bipolare sono ad alto rischio di morbidità e mortalità, in particolare in relazione alle malattie cardiovascolari
    • I fattori di rischio modificabili prevalgono in pazienti con disturbi mentali maggiori
    • I farmaci, in particolare gli antipsicotici, sono associati a vari livelli di rischio di aumento di peso, dislipidemia, iperglicemia
    • I medici possono modoficare in modo vantaggioso il rischio per il paziente mediante il monitoraggio e gli interventi, come il ricorso a farmaci con un più basso potenziale dio effetti avversi

 

M. Vaggi — Depressione Bipolare

 

Obiettivi del corso:

    • Apprezzare la prevalenza della depressione bipolare e la frequenza con cui viene erroneamente diagnosticata
    • Essere in grado di identificare gli indizi clinici della bipolarità e caratterizzare con precisione i pazienti con depressione bipolare
    • Essere in grado di mettere in atto la strategia terapeutica più efficace per i pazienti con depressione bipolare

 

Prevalenza della depressione bipolare:

 

Circa il 20% dei pazienti che presenta episodi depressivi ha un disturbo bipolare ( BD). Si può notare che in Italia , negli ambulatori privati, il 49% dei pazienti che si presenta con disturbo depressivo maggiore ha un BD; mentre in Francia il 40% dei pazienti con disturbo depressivo maggiore ha un BD.

 

Spesso viene fatta una diagnosi affrettata di depressione unipolare e occorrono anni di sintomatologia per fare una corretta diagnosi.

 

Gli indizi clinici di bipolarità in pazienti con depressione "unipolare" sono:

  • Maggiore anamnesi famigliare di depressione e bipolarità
  • Insorgenza in età precoce (<25 anni) e alti tassi di episodi
  • Meno di una settimana dall'insorgenza dei sintomi all'episodio
  • Durata dei sintomi superiore in percentuale
  • Labilità affettiva, irritabilità, sonno disturbato, umore elevato
  • Beneficio incompleto/transitorio degli antidepressivi

 

Nella valutazione si deve considerare il fatto che i pazienti con sintomatologia depressiva spesso non riferiscono spontaneamente la presenza di sintomi ipomaniacali; è bene quindi informarsi su questi sintomi in tutti i pazienti con ansia o depressione, in particolare nei casi di insorgenza precoce o in pazienti con depressione/ansia persistente.

 

 

Caratterizzazione della depressione bipolare:

 

Nel programma di potenziamento sistematico del trattamento del disturbo bipolare NIMH (Goldberg J et al. Am J Psychiatry 2008), il 69% dei soggetti ha evidenziato almeno un sintomo maniacale.

I sintomi prevalenti durante un episodio di depressione bipolare sono: facilità alla distrazione, pensieri che si accavallano, rapidità nell'eloquio e aumento dell'attività.

Nella valutazione della depressione bipolare con la scala BISS (scala dei sintomi dell 'inventario bipolare) le voci che hanno ottenuto il punteggio più alto sono: tristezza, scarsità di energia, perdita di interesse, ritiro sociale, riduzione degli impulsi sessuali per la fase depressiva e facilità alla distrazione, agitazione, pensieri che si accavallano, labilità affettiva per la fase maniacale.

 

Trattamento della depressione bipolare:

    • Antidepressivi
    • Trattamento a breve termine: litio, valproato, lamotrigina, olanzapina-fluoxetina, quetiapina
    • Trattamento di mantenimento: litio, valproato, lamotrigina

 

Trattamento con aggiunta di antidepressivi del BD correlato alla mania dovuta al trattamento:

 

In questa sperimentazione di 10 settimane condotta su 176 adulti (Frey M et al. Am J Psychiatry 2008) circa il 26% dei pazienti trattati con antidepressivi durante la depressione bipolare ha evidenziato mania/ipomania derivante dal trattamento. I sintomi maniacali minimi di base coesistenti con depressione bipolare erano associati a mania/ipomania derivante dal trattamento antidepressivo; inoltre un attento esame dei sintomi maniacali/ipomaniacali deve essere garantito prima di inziare un trattamento aggiuntivo in caso di depressione bipolare.

 

Conclusioni:

    • La depressione bipolare all'inizio viene spesso diagnosticata come depressione unipolare
    • La maggior parte del tempo moltissimi dei pazienti bipolari necessitano di attenzione medica per i sintomi depressivi
    • I sintomi maniacali/ipomaniacali sono frequenti nella maggioranza dei pazienti con depressione bipolare
    • Talvolta gli antidepressivi peggiorano la malattia e non si sono mai dimostrati superiori rispetto agli stabilizzatori dell'umore negli studi randomizzati
    • Dati recenti indicano benefici del valproato in pazienti con depressione bipolare, sia allo stato acuto sia nella profilassi.

 

 

Report a cura di Paola Magioncalda, Andrea Presta, Linda Vassallo

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