Conclusione e Bibliografia

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di Stefano Pini, Adolfo Bandettini di Poggio

Per quanto rapido ed incompleto, questo excursus ci consente di dire che l’insight, piuttosto che un’entità semplice, sembra essere un fenomeno complesso, multidimensionale e sostanzialmente autonomo. In effetti, un paziente può avere un buon insight in una dimensione (ad esempio, la coscienza di malattia) ma non in un’altra (ad esempio, la necessità di un trattamento) ed uno scarso insight può persistere nonostante il miglioramento del quadro clinico nel suo insieme; ed anche le correlazioni tra mancanza di insight ed altri aspetti del quadro clinico (come la maggiore gravità del quadro psicopatologico, la non compliance al trattamento, una prognosi meno favorevole, eccetera) non sono particolarmente strette.

L’insight può essere ancora oggi considerato un’entità elusiva, sfuggente, che gli strumenti di indagine di cui disponiamo non sono capaci di chiarire in maniera soddisfacente.

Se si pensa, tuttavia, che questo problema è stato affrontato con una certa sistematicità soltanto negli ultimi 10-15 anni, possiamo dire di essere su di una buona strada per una migliore comprensione dell’insight. Gli sviluppi futuri dovranno meglio definire le diverse dimensioni dell’insight (dalla consapevolezza della malattia alla percezione del bisogno di trattamento ed alla presa di coscienza psicologica dei cambiamenti di se stessi e del proprio ambiente) e ci dovranno fornire criteri operativi standardizzati per la valutazione diagnostica.

È auspicabile, infine, un maggiore approfondimento delle possibili correlazioni dell’insight con i meccanismi neuropsicologici per poter dare una risposta ai numerosi quesiti che ancora rimangono irrisolti.

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