Introduzione

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Nel capitolo 10, parlando della depressione, abbiamo fatto un breve cenno all’anedonia, un sintomo che, negli ultimi vent’anni, si è andato sempre più affermando come elemento importante nella discriminazione fra i vari tipi di depressione entrando fra i criteri diagnostici del DSM-III (ed edizioni successive). In realtà l’anedonia, come vedremo, non è un sintomo esclusivo della depressione, ma può essere presente anche in altri disturbi psichiatrici, tanto che, ad esempio, un cluster della SANS (Andreasen, 1982), la scala per la valutazione dei sintomi negativi della schizofrenia, è dedicato alla "anedonia-asocialità". Potremmo dire, anzi, che non pochi Autori, negli anni Sessanta/Settanta, hanno assegnato all’anedonia un ruolo centrale non solo nel quadro clinico della schizofrenia, ma addirittura nella sua eziopatogenesi: Rado (1962) la riteneva un difetto genetico che ostacolava lo sviluppo di una sana sessualità, riduceva il piacere per la vita, comprometteva la capacità di stabilire rapporti sociali validi, attenuava i sentimenti di gioia, di amore, di autostima, di affetto; Meehl (1973) ha integrato la teoria di Rado nella sua teoria della disfunzione neurologica della schizofrenia; Stein e Wise (1971) hanno messo al centro della loro teoria biochimica della schizofrenia l’anedonia che sarebbe la conseguenza di un danno del sistema di gratificazione provocato da un’eccessiva produzione, su base genetica, di 6idrossidopamina.

L’anedonia è definita come l’incapacità di provare piacere: certamente, la mancanza o la perdita totale della capacità edonica non è l’evenienza più comune, tuttavia il termine è ormai entrato nell’uso comune e viene impiegato anche quando la perdita o l’assenza è solo parziale. La perdita della capacità di rispondere al piacere può essere non soltanto un’esperienza pervasiva, che coinvolge tutte le fonti del piacere, ma può essere anche limitata, confinata in un solo ambito (o in un numero limitato di ambiti), come quello dell’appetito per il cibo o per il sesso, delle interazioni sociali o della stimolazione sensoriale o, comunque, di ciò che in precedenza era fonte di piacere.

In ambito psicopatologico può essere vista sia come tratto che come stato. Come tratto implica una stabile incapacità (o difficoltà) a provare piacere che può essere presente fin dall’infanzia e che, generalmente, è evidenziata dal soggetto stesso il quale si rende conto che gli altri trovano tutto più piacevole, più divertente, apprezzano di più i cosiddetti "piaceri della vita" (Meehl, 1962). L’anedonia come stato può essere definita, con Klein (1974), come "Una forte, pervasiva, non reattiva compromissione della capacità di provare piacere.

Questa inibizione fondamentale del meccanismo del piacere porta ad una profonda mancanza di interesse e di investimento nell’ambiente, spesso associata all’incapacità di provar piacere nel cibo, nel sesso e negli hobby". Secondo Klein, inoltre, il piacere si articolerebbe almeno su due livelli, quello appetitivo e quello consumatorio, il piacere della conquista e quello della consumazione.

Questo introduce, ed era inevitabile, il concetto di piacere, un concetto tutt’altro che semplice ed immediato nonostante che ciascuno di noi pensi di poterne dare una esauriente definizione (o, probabilmente, proprio perché ciascuno di noi pensa di poterne dare un’esauriente definizione!). Del resto è esperienza comune che ciò che è fonte di piacere per alcuni non lo è per altri e per altri ancora può essere fonte di dispiacere. Senza la pretesa di entrare in questo argomento così complesso (e che ci porterebbe comunque fuori tema), vorremmo consentirci una breve parentesi per ricordare il valore positivo, a livello bio-psico-sociale, del piacere. Solo oggi le scienze mediche, ingabbiate finora in un modello di vita incentrato sulla malattia, hanno incominciato a prendere in considerazione, su base scientifica, il piacere e sono in numero crescente le documentazioni degli effetti positivi del piacere che sembra agire sia in senso proattivo, favorendo la salute fisica e mentale e proteggendo contro l’ammalarsi, sia favorendo il processo di guarigione, sia, anche, proteggendo il soggetto nei confronti delle esperienze negative: è dimostrato che le esperienze piacevoli riducono gli ormoni dello stress ed aumentano la risposta immunitaria, che il concedersi moderate gratificazioni riduce il livello di stress ed altro ancora, e che tutto questo fornisce un contributo positivo al mantenimento di una buona salute generale.

Le attività piacevoli forniscono risorse che possono influire sullo stato psicologico modificandolo in senso positivo; è stato visto che la scelta delle attività o delle cose piacevoli risponde sostanzialmente a cinque possibili scopi: accrescere il piacere per opporsi (a) allo stress, (b) all’ansia o (c) alla depressione nelle situazioni sociali, (d) per stile abituale di vita e (e) per regolare il livello di vigilanza. Un ulteriore vantaggio del piacere, largamente sottovalutato, è che stimola la risposta immunitaria e protegge il soggetto da una serie di malattie anche gravi.

L’uomo, tuttavia, anche di fronte alla possibilità di concedersi dei piaceri, è frenato da considerazioni psicologiche, e soprattutto dalla preoccupazione e dalla colpa circa le conseguenze delle proprie azioni. La colpa, in condizioni normali, rappresenta un’importante forma di controllo sociale sul comportamento personale come, ad esempio, evitare che la gente prevarichi gli altri o commetta dei crimini (Gilbert, 1989). Secondo alcune ricerche, peraltro, poco meno della metà delle persone prova sentimenti di colpa in rapporto alle cose che provocano loro piacere, anche se vissute con moderazione e senza alcun pericolo per gli altri. Per queste persone avere sentimenti di colpa più o meno lievi e transitori o intensi e protratti, fa parte della loro vita quotidiana. L’eccesso di colpa è, generalmente, una sorta di stressor "interno", che il soggetto trasferisce da una situazione all’altra con effetti negativi sulla salute fisica e psichica e sulla cognitività:

  • la presenza di uno stressor interno che si trasferisce da una situazione all’altra implica una condizione di stress cronico, con aumento degli ormoni dello stress, e del cortisolo in particolare che, come sappiamo, riduce le difese immunitarie ed è implicato nella patogenesi di diverse malattie, da quelle cardiovascolari a quelle cerebrali (Sapolsky, 1996);
  • la colpa è da sempre considerata un elemento importante nella patologia psichiatrica in generale, ma soprattutto della depressione, della quale costituisce uno dei sintomi cardinali;
  • frequente è il rapporto tra colpa, depressione e disturbi delle condotte alimentari, rapporto nel quale la gratificazione rappresentata dall’abbuffata è immediatamente annullata dalla colpa per l’abbuffata stessa che porta alle condotte di eliminazione e/o alle restrizioni alimentari, alle quali il soggetto cerca di dare sollievo con l’abbuffata alimentando, così, il ciclo perverso (Bybee, 1996);
  • le idee di colpa tendono spesso ad invadere, fino a dominare, l’attività mentale riducendo le capacità di concentrazione, di attenzione e di memorizzazione (Reason e Mycielska, 1982).

Può non essere superfluo ricordare che la ricerca del piacere (e di ciò che è in grado di dar piacere) non può e non deve essere esasperata, assoluta, portata alle sue estreme conseguenze, poiché l’eccesso, anche nel caso del piacere, comporta non pochi rischi, proprio come nel caso opposto della colpa che, quando è eccessiva e/o inappropriata, può essere responsabile di stress, di depressione, di ansia.

L’anedonia può essere perciò inquadrata come una forma di appiattimento dello stato emotivo, una sorta di coartazione generale dell’espressività emotiva; oltre ad essere diversa dalla depressione (e molti pazienti, infatti, sottolineano di non provare sentimenti di tristezza, ma di aver perso la capacità di provar piacere per ciò che per loro, prima, era fonte di piacere), non è limitata all’ambito depressivo, ma la si può incontrare in altri ambiti psicopatologici fra cui, in particolare, nella schizofrenia.

Il piacere è un’esperienza strettamente e squisitamente personale, di tipo qualitativo, può riguardare aspetti diversi della vita, dalle interazioni sociali alle esperienze sensoriali, dagli interessi culturali a quelli dell’appetitività (cibo, sesso, eccetera), e la sua compromissione riguarda necessariamente i diversi settori contemporaneamente e nella stessa misura.

Tutto questo, evidentemente, rende difficile da definire in termini univoci e, soprattutto, da quantificare tanto il piacere quanto le sue compromissioni.

Nonostante queste difficoltà, alcuni Autori hanno cercato di mettere a punto strumenti per la valutazione di questo settore della psicopatologia.

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