Lezione 14 L’interpretazione dei sogni - 7

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Settimo capitolo
In questo “delicato” capitolo Freud affronta un tema ancor oggi di difficile approccio. Ancor oggi le teorie proposte dai neurofisiologi e dagli psico-fisiologi a proposito dei sogni non riescono a riscuotere lo stesso consenso che hanno invece le argomentazioni sulla cognitivitá e sull’apprendimento: vengono infatti nominati l’amigdala, la sostanza nigra, il putamen, il pallido, i circuiti cortico-mammillari, ecc. Manca però il materiale soggettivo di cui cercare la base biologica, perché il sogno non è un “materiale”: il sogno è una rielaborazione, non può esser colto nel momento in cui avviene, ma solo nel suo successivo racconto. Il sogno varia da quello superficialissimo, che è quasi un pensiero, a quello più frammentario, fatto in un sonno più profondo, fino al sonno non-REM in cui il sogno non c’è più.



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Freud sviluppa la sua teoria: “i neuroni che fanno passare e quelli che non fanno passare”, in cui espone il concetto che il sogno corrisponde ad un’allucinazione. In quest’allucinazione, lo stimolo parte dall’esterno, entra dentro, passa attraverso i neuroni che non fanno barriera, viene bloccato dai neuroni che fanno barriera, e ritorna indietro elaborato; il sogno parte dall’interno e l’immagine procede verso l’esterno, come una sorta di “corsa palindromica” lungo la sensorialità degli organi di senso, che invece di andare da fuori a dentro va da dentro a fuori.
Tra gli esempi inseriti nel corso di questo volume, ve n’è uno dove ho dovuto aggiungere più tardi un brano del contenuto onirico. Si tratta del sogno di viaggio che si vendica di due scortesi compagni, sogno che ho lasciato quasi senza interpretazione per il suo contenuto, in parte grossolanamente osceno. Il brano omesso è questo: Dico di un libro di Schiller: “It is from…” ma mi correggo, notando io stesso l’errore: “It is by…”, dopodiché l’uomo fa notare alla sorella: “Ma l’ha detto giusto” [vedi a pag. 417].
L’autocorrezione nel sogno, che è sembrata così prodigiosa a qualche studioso, non merita affatto che ce ne occupiamo (…)
A volte noi facciamo degli errori e il sogno li corregge.
La scoperta dei mediatori colinergici è avvenuta proprio in un sogno. In un primo esperimento il cuore di una rana, a contatto con la muscarina, si ferma, proprio come succede se, nel cuore della rana in vivo, stimolo il nervo vago con tale farmaco. “Forse allora il vago immette la muscarina e fa fermare il cuore”. Sono stati estratti i liquidi dal preparato vago-cuore, e messi in un preparato cuore-senza vago. Il cuore non si ferma. A questo punto avviene un sogno, di un passaggio dal caldo al freddo. A seguito di questo fu tentato un esperimento tale da poter mantenere il cuore levando il vago, mettendo in questo preparato un altro cuore, questo si ferma. Questo perché la muscarina è una sostanza termostabile e l’acetilcolina, che era la sostanza giusta, è termolabile. Quindi trasportandola la denaturo, se invece faccio l’esperimento lasciandola nello stesso ambiente, le sue caratteristiche non si alterano. È stata così scoperta l’acetilcolina. Il sogno del passaggio dal caldo al freddo ha suggerito l’esperimento, come a dire “attenzione perché facendo un passaggio di questo tipo c’è una sostanza che si denatura”.
(…) A diciannove anni, mi recai per la prima volta in Inghilterra e per tutto un giorno errai sulla spiaggia del Mare d’Irlanda. Naturalmente mi dedicai alla raccolta degli animali marini che la marea aveva lasciato dietro di sé e mi stavo appunto occupando di una stella marina (il sogno incomincia con Holthurn-Holothurien [oloturie]), quando una piccola e graziosa fanciulla si avvicinò e mi chiese: “Is it a starfish? It is alive?”. Risposi: “Yes, he is alive”, ma poi mi vergognai della scorrettezza e ripetei la frase in modo esatto. Ora, al posto dell’errore linguistico commesso allora, il sogno ne pone un altro, in cui i tedeschi incorrono con altrettanta facilità. “Il libro di Schiller” non va tradotto con from…, ma con by... Che il lavoro onirico abbia compiuto questa sostituzione perché from, attraverso l’identità di suono con l’aggettivo tedesco fromm [pio] rende possibile una grandiosa condensazione, non ci colpisce più, dopo tutto quel che abbiamo visto sulle intenzioni del lavoro onirico e sulla mancanza di scrupoli nella scelta dei mezzi. Ma che cosa significa l’innocente ricordo della spiaggia marina nel contesto del sogno? Esso indica, con un esempio il più innocente possibile, che uso una parola indicante il genere al posto sbagliato…
He invece di it, specificazione di genere, questo è il punto. Se risponde “he is alive” alla ragazzina che gli pone la domanda, compare il sesso: sì, è viva, risponde alla stimolazione sessuale.
… che dunque applico il sesso (he) là dove non va applicato. È senza dubbio una chiave per la soluzione del sogno.
L’ errore from/by, che i tedeschi fanno frequentemente, richiama alla mente la ragazzina che gli fa la domanda sulla stella marina, a cui lui risponde dando un senso sessuale alla risposta, l’errore contiene un significato sessuale imbarazzante.
Chi poi sappia la derivazione del titolo del libro ‘Matter and Motion’ [vedi p. 416]: Molière nel “Malade imaginaire”: “La matière est-elle laudable?” [nell’antica terminologia medica, sta per “sono sane le feci?”] — a motion of the bowles [un movimento degli intestini], riuscirà facilmente a completare quello che manca.
Posso del resto provare con una demostratio ad oculos che l’oblio del sogno è in gran parte opera di resistenza. Un paziente racconta di aver fatto un sogno ma di averlo completamente dimenticato; è quindi come se non fosse avvenuto. Continuiamo il lavoro, incontro una resistenza, spiego qualcosa all’ammalato, lo aiuto persuadendolo e sollecitandolo a riconciliarsi con qualche pensiero spiacevole e appena mi riesce esclama: “Ora so di nuovo che cosa ho sognato”. La stessa resistenza che quel giorno lo ha disturbato nel lavoro, gli ha fatto anche dimenticare il sogno. Facendogli superare questa resistenza, ho richiamato alla memoria il sogno. [O.S.F., Vol. 3, pag. 474, 475]
Vediamo ora questa parte, in cui è presentato il concetto di “preconscio”: Freud ha capito che c’è, in noi, una dimensione inconscia che non arriva alla coscienza, ed una che vi arriva. Se un elemento è inconscio, non può proprio emergere a livello cosciente, mentre col preconscio è possibile un passaggio. Riporto un mio sogno. Tanti anni fa mi trovavo a pranzo con un grosso personaggio della psichiatria, insieme al professore Cassano. Ad un certo punto questo personaggio che parlava con noi, mettendoci la mano a uno sulla coscia sinistra e all’altro sulla coscia destra, disse: “questi due ragazzi quand’è che li mettete in cattedra?”. Io feci un sogno pochi giorni dopo, in cui una persona vestita con una livrea del ‘700 si rotolava per terra, dove era tutto bagnato. Questo sogno venne da me intitolato “il ridicolo premio Nobel”. Il complimento ricevuto al pranzo aveva stimolato in me l’associazione che feci di essere vestito alla stregua del ‘700; il pranzo infatti si era svolto a Liegi. Al pensiero di questo grande complimento veniva collegato un tizio che rideva a crepapelle: infatti c’era il bagnato per terra, era uno che si era fatto pipì addosso dal ridere e si rotolava. In questo sogno l’inconscio mi diceva: “attento a non osare troppo, perché ne deriva un disturbo della minzione, il ‘farsi pipì addosso’”. Ecco un esempio banale di un commento fatto, commento che nasconde un aspetto di megalomania che dovette essere elaborato per paura. Il significato era “volere andare in cattedra”: non c’era bisogno dell’inconscio in tutto questo.
Quale fosse invece la realtà più profonda, lo si può intuire sulla base della teoria: il bisogno di essere cooptato omosessualmente dal padre allo scopo di sostituirlo. Questo concetto non poteva stare nella coscienza. Non ci stava tutto quello che poteva portare a quel gesto, fondamentale, che era proprio del sogno: il contatto della mano sulla coscia, questo era il punto intransitabile. Questo transito non è avvenuto subito, quando è avvenuto il sogno, ma almeno 25 anni dopo, quando me lo sono interpretato.
Ciò che di nuovo ci ha insegnato l’analisi delle formazioni psicopatologiche - e già del loro primo anello, il sogno - consiste nel fatto che l’inconscio - dunque lo psichico - si presenta come funzione di due sistemi separati e come tale esiste già nella vita psichica normale.
L’inconscio, dunque lo psichico: bastava un simile concetto per fare bocciare Freud da qualsiasi facoltà di psicologia. Allora la psicologia si fondava sul concetto di psiche e coscienza. La psiche era coscienza, e quello che non era coscienza potevano essere cellule, molecole, ma nulla che riguardasse lo psichico. Dire ‘inconscio, dunque psichico’ era quasi un’eresia sia sul piano scientifico, sia sul piano religioso di allora. Un secolo prima una simile affermazione lo avrebbe portato al rogo: ritenere che c’era qualcosa di sotto, era affermare la presenza del maligno.
Vi sono due tipi di inconscio, che negli psicologi non troviamo ancora distinti. Entrambi costituiscono un inconscio nel senso psicologico; ma nel nostro senso, uno - quello che chiamiamo Inc - è per di più incapace di giungere alla coscienza [bewusstunfähig], mentre l’altro viene da noi chiamato Prec, perché i suoi eccitamenti, pur mantenendo, è vero, certe regole – forse soltanto superando una nuova censura, ma senza tener conto del sistema Inc – possono giungere alla coscienza. Il fatto che gli eccitamenti, per giungere alla coscienza, debbano passare attraverso una successione invariabile, una processione di istanze, che ci è stata svelata dal loro mutamento dovuti alla censura, ci è servito per stabilire un paragone di ordine spaziale.
Freud sta facendo un paragone spaziale, cioè, l’eccitamento, per arrivare alla coscienza, deve passare attraverso una serie di barriere, che sono la censura.
Abbiamo descritto i rapporti dei due sistemi tra loro e con la coscienza, dicendo che il sistema Prec sta come uno schermo tra il sistema Inc e la coscienza; che il sistema Prec non solo sbarra l’accesso alla coscienza, ma governa anche l’accesso alla motilità volontaria e dispone dell’emissione di un’energia d’investimento mobile, una parte della quale ci è nota come attenzione.
Da qui derivano la percezione reale, il movimento, la lucidità e l’attenzione. Questo Prec è a metà strada tra una parte e l’altra.
Dobbiamo tenerci lontani anche dalla distinzione fra coscienza superiore e coscienza inferiore, che tanto favore ha incontrato nella letteratura più recente sulle psiconevrosi, poiché proprio essa accentua l’equivalenza tra psichico e conscio.
Janet parla di coscienza superiore ed inferiore, di automatismo.
Che parte rimane nella nostra esposizione alla coscienza, che un tempo era onnipotente e ricopriva tutto il resto?
Niente altro che quella di un organo di senso per la percezione di qualità psichiche. Secondo il concetto fondamentale del nostro tentativo di schema, non possiamo concepire la percezione cosciente che come attività propria di un sistema particolare, per la quale è opportuna la definizione abbreviata C. Immaginiamo che questo sistema sia simile, nei suoi caratteri meccanici, ai sistemi percettivi P, quindi: eccitabile da parte di qualità psichiche e incapace di conservare la traccia dei mutamenti, cioè senza memoria. L’apparato psichico che, con l’organo di senso dei sistemi P, è rivolto al mondo esterno, è esso stesso mondo esterno per l’organo di senso della C, la cui giustificazione teleologica consiste appunto in tale rapporto.
La percezione è rivolta verso l’esterno, il sistema psichico e il sistema cosciente sono rivolti verso l’esterno.
Ci viene qui incontro ancora una volta il principio della processione di istanze che sembra dominare la struttura dell’apparato.
Processione di istanze: lo stimolo in ingresso viene fermato, lasciato fuori; è un concetto che può essere visto come uno scambio ferroviario o un sistema di chiuse.
Il complesso degli eccitamenti affluisce all’organo di senso della C da due parti: dal sistema P, il cui eccitamento, condizionato da qualità, subisce probabilmente una nuova elaborazione fino a diventare sensazione cosciente, e dall’interno dell’apparato stesso, i cui processi, di ordine quantitativo, sono sentiti, appena siano giunti a certe trasformazioni, come serie qualitative di piacere e dispiacere. [Ibidem, pag. 559, 560]
La percezione che viene da fuori, che affluisce alla coscienza, prima di diventare sensazione o sensorialità propria, nella realtà subisce una modificazione. L’occhio produce il cambiamento, trasforma le lunghezze d’onda in forme e colori. In più, quello che viene da dentro, va a sua volta a cambiare l’elemento sensoriale, a creare questa “via di mezzo”.
Sembra quasi che, a proposito di piacere e dispiacere, Freud parli delle endorfine, di cui ovviamente ancora non poteva sapere nulla: dentro ci sono procedimenti quantitativi a cui viene attribuita, ad un certo livello, la qualità. Piacere e dolore, la stimolazione di un tipo di sostanze piuttosto che di un’altra, il piacere e il dolore legati alla quantità che poi diventa qualità, diventano percezione di cose a cui questo complesso funzionamento di apparato dà alla fine un senso, un senso nostro personale che vive soltanto in ragione della nostra stessa esistenza.


 

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