Lezione 20 Un bambino viene picchiato

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Nell’opera “Un bambino viene picchiato”, Freud si domanda: perché l’aspetto sado-masochista fa parte della sessualità al punto che quasi non se ne può fare a meno? Perché vediamo l’impositività sadica ovunque, anche negli animali?
Un bambino viene picchiato è l’opera prima del 1919
Freud parte dall’osservazione della fantasia del bambino picchiato, un’immagine che compare assai di frequente in analisi. Ad essa vengono associate sensazioni voluttuose, quasi sempre accompagnate da un soddisfacimento masturbatorio; fantasia all’inizio in accordo con la volontà, che col tempo assume la caratteristica della coazione.
Affrontare il problema del sadomasochismo non è facile. Il termine deriva da De Sade, il quale passò metà della sua vita in prigione, scrivendo di questo argomento. Queste fantasie sessuali erano molto diffuse nell’ambiente aristocratico del tempo.



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Il masochismo fu descritto da Leopold von Sacher-Masoch, ma la trattazione completa venne fatta da psichiatri (Von Kraft Ebing, ed Evelock Ellis).
C’era tutta una letteratura su tale argomento, ma era considerata narrativa pornografica. Freud è molto prudente, e comincia dai bambini, dalle fantasie infantili. Si tratta di uno studio clinico il cui scopo è definire l’origine delle perversioni, in particolare del masochismo. All’inizio c’è qualche cenno su quanto riferiscono i pazienti di questa fantasia, in cui il ricordo è molto incerto. Tale immagine presenta caratteristiche piuttosto vaghe perché, quando il paziente la ricorda, oppone una resistenza, accompagnata da vergogna e senso di colpa. La prima comparsa di essa viene fatta risalire al quinto o sesto anno di vita, e viene ridestata probabilmente da esperienze scolastiche personali o dall’aver assistito alla scena di qualche bambino che veniva picchiato dal maestro, o da letture come “La capanna dello zio Tom”.
Quando questa fantasia ricompariva, la reazione che suscitava portava alla repulsione, fin quasi alla intollerabilità, anche se mai i bambini ne venivano danneggiati.
Freud si chiede che relazione ci sia fra la fantasia e le reali punizioni subite nell’educazione, perché, nei casi clinici che presenta, il paziente non racconta particolari episodi traumatici. Egli si chiede perché queste esperienze da bambini abbiano avuto effetti così intensi. Facendo riferimento alla costituzione congenita, cerca di capire le caratteristiche della fantasia. Si chiede chi è il bambino che viene picchiato, se c’è una relazione tra il sesso del bambino picchiato e il sesso del paziente che fantastica, chi è che picchia, se è un bambino o un adulto, e qual è il tipo di piacere connesso alla fantasia. Essa viene considerata come un tratto primario di perversione del bambino, che può essere sottoposto a rimozione o a formazione reattiva, o che determinerà una fissazione e, quindi, la perversione sessuale adulta. Se viene fissata non è detto che ci sia necessariamente un identificabile evento drammatico, possono essere state cause vaghe, non identificabili e anche cause banali.
Dei sei casi analizzati, tre sono di nevrosi ossessiva, uno è d’isteria, ed uno è di psicoastenia. Nella prima parte Freud analizza casi femminili e suddivide la formazione della fantasia in tre fasi: nella prima la fantasia non viene definita propriamente sadica, ma descritta come: “Mio padre picchia il bambino”; ciò viene spiegato come “Mio padre ama me e picchia il bambino da me odiato”.
Qui Freud compie due operazioni:
Una è un’operazione di grande prudenza; se viene in cura una signora e dice che ha tanti ricordi infantili che il padre la picchiava e picchiava i fratellini, e insiste su questi ricordi, immediatamente uno psicoanalista pensa: qui c’è un’istanza sadomasochista attuale che costei non vuole rivelare, e la riferisce all’infanzia. Freud sa benissimo tutto questo, ma accetta quanto gli viene detto per poter discutere il problema, così come farebbe l’analista di oggi. Egli non parla del sadomasochismo attuale, ma del bambino che ha delle fantasie sadomasochiste. In qualche modo le de-erotizza un po’, rendendo il contesto più accettabile alla classe borghese di pazienti e lettori.
Freud vive in un’epoca di sadomasochismo estremo. È un mondo in cui tutti i soldati tedeschi che avevano astenia o febbre o depressione nelle trincee, ricevevano l’applicazione di correnti faradiche ad alto voltaggio che davano dolori intensi; e questo era ritenuto un trattamento efficace dai medici militari. Freud parla di quest’argomento con una finezza che è in contrasto con tale mondo crudamente sadomasochistico. Quando il sadomasochismo non è più legato ad una vera e propria attività sessuale, sorge il problema: fino a che punto esso rimane erotico? È a basso livello quando c’è l’omicidio brutale: non prova godimento chi ammazza una donna per la strada. Chi si riempie di esplosivo e si fa saltare per aria è un masochista che ha perduto completamente l’elemento erotizzante. Se l’erotizzazione si perde, il sadismo diventa cattiveria e brutalità. Essendoci questo rischio, tutte le relazioni sadomasochiste si basano su un’immensa fiducia di base.

La prima fase della fantasia è, si diceva, “mio padre picchia il bambino da me odiato”, la seconda fase diventa masochistica “io vengo picchiata da mio padre” e nella terza fase la bambina diventa spettatrice “assisto alla scena di un adulto (il maestro, mio padre) che picchia un bambino, che poi diventa tanti bambini”. A questa fase viene associato il soddisfacimento masturbatorio. Qui Freud prende lo spunto per spiegare come nasce la fantasia, e cita la comparsa di altri bambini, e quindi di fratellini, per affermare che la prima parte della fantasia nasce da un sentimento di odio e gelosia.
Non si creda che Freud stia dicendo qualcosa di completamente nuovo. Nell’ambito della psichiatria è effettivamente qualcosa di nuovo, come anche in quello della psicologia. Freud, tuttavia, opera nell’epoca in cui Musil scrisse “L’uomo senza qualità”, il cui personaggio centrale è un assassino di donne; vi erano poi Proust ed una copiosa letteratura. È l’epoca in cui avviene la scoperta di queste realtà. Freud s’inserisce, quindi, nella corrente culturale del tempo. Anche la pittura di allora s’incentra su questi temi, come, per esempio, alcuni quadri di Klimt ed Eson Schiele.
La fantasia nasce dalla gelosia nei confronti del fratellino e dai desideri incestuosi nei confronti del padre, che poi saranno sottoposta a rimozione. Emerge, da questi, il senso di colpa e si passa alla seconda fase, quella della fantasia che diventa masochista. Quella d’essere picchiati è una fantasia dettata non solo dal senso di colpa, ma anche dalla regressione alla fase sadico-anale.
Ciò si collega alla “scena primaria”, che è vissuta come oscura: cosa fanno i genitori? Si picchiano, l’uno picchia l’altro? Non è chiaro al bambino: è una condizione percettivamente poco netta nell’infanzia.
Nella terza fase la fantasia è quella di essere spettatore del padre o del maestro che picchia il bambino o i bambini Allora i maestri avevano le verghe, percuotevano spesso i bambini. Dietro tutto questo c’era l’aspetto perverso: voyeuristico nei bambini che guardavano il maestro che picchiava; sadico in quest’ultimo che ne traeva una soddisfazione, di tipo sessuale chiaramente. Nella tradizione letteraria inglese si ritrova tutto questo. All’epoca vittoriana appartiene “Alice nel paese delle meraviglie”: Carol era, oltre che un matematico di prim’ordine, anche un fotografo (perverso) che fotografava bambine nude. Gli scrittori non consegnano i loro scritti alla società per farne delle regole, ma li compongono per la gente che li legga e nel loro intimo li elabori.
A questa terza fase è associato il soddisfacimento, perché vi è mantenuto l’investimento libidico della fase precedente. In pratica la rimozione della fantasia incestuosa determina, in un’organizzazione genitale comunque fragile, una regressione allo stadio sadico-anale: quindi il sadismo, grazie al senso di colpa, diventa masochismo. Per Freud il concetto di “costituzionale” non è quello dei giorni nostri: si tratta di una fragilità, di un errore di costituzione. Freud è alla continua ricerca di eventuali cause che possano avere determinato, nel progetto evolutivo del complesso edipico, questa organizzazione costituzionale fragile.
Si vede la difficoltà che egli, uomo del suo tempo, ha di liberarsi da una concezione di “norma sessuale”, ossia da una concezione canonica.
Il senso di colpa di cui parla viene collegato ad un’istanza che è molto simile al SuperIo, ma qui ancora non lo nomina come tale. Essa appartiene a quelle istanze che nel delirio riescono a distaccarsi dall’Io.
La perversione viene messa in rapporto con il complesso edipico, che si trascina dietro il carico libidico e quindi il senso di colpa. Definisce queste come cicatrici del processo evolutivo del complesso edipico.
Sottolinea poi, alla fine, il fatto che nel racconto delle bambine vengono picchiati solo i maschi. Considerazione in realtà erronea, legata forse ad un certo, diremmo oggi, “maschilismo”.
Freud passa poi ad analizzare il materiale derivato da pazienti maschi, nei quali la fantasia è quella di essere picchiati dalla madre. Tale fantasia può anche rimanere cosciente, può essere una fantasia senza alterazioni dell’attività sessuale, o, in masochisti autentici, può essere legata a masturbazione o ad attività genitale; oppure la perversione può essere legata a ossessioni. Nelle fantasie dei maschi, il soggetto mantiene sempre un atteggiamento femmineo, e viene sempre punito da femmine.
La fantasia primaria è “vengo amato da mio padre e quindi vengo picchiato da mia madre”.
Freud comincia a sistematizzare la sua teoria. Il suo schema è questo: attaccamento al padre = la madre picchia; attaccamento alla madre = il padre picchia. Da qui nasce il maschilismo e, in generale, il conflitto fra i sessi. È uno schema fondamentalmente vero, che non tiene però conto di tutte le complesse evoluzioni.
Nelle bambine il sadismo originale viene trasformato in masochismo. Poi la bambina rimane spettatrice di una scena di percosse fantasticandosi maschio: sono sempre i bambini maschi ad essere picchiati. Nei bambini la fantasia è legata a desideri incestuosi per il padre, e quindi all’edipo rovesciato: all’inizio picchia il padre e poi la madre; il bambino picchiato è sempre il bambino stesso. La rimozione determina l’esclusione dell’omosessualità ma la permanenza dell’atteggiamento femmineo. Questi dati clinici vengono poi utilizzati da Freud per confutare le teorie che collegano la rimozione con il carattere sessuale. La prima teoria viene attribuita a Fliess, secondo cui in ogni individuo ci sarebbe una lotta tra caratteri sessuali dominanti e soccombenti, e proprio questa lotta sarebbe il motivo della rimozione. In seguito Freud giunge ad accettare l’idea che esista in ciascuno una fondamentale bisessualità, e che una parte di essa sia al servizio dell’istinto di morte.
Tratta questo tema nel 1936, anno in cui scrive una sua opera teorica, “Analisi terminabile e interminabile”. Nel capitolo VI, dopo aver ricordato Empedocle di Agrigento (fondatore di una forma di medicina che contrastava quella ippocratica), dice che in realtà l’uomo rinuncia ad una grande parte delle sue possibilità di piacere: l’uomo avrebbe la possibilità, essendo bisessuale, di godere del proprio sesso e del sesso opposto. Accantona metà delle sue possibilità di correlazioni, in funzione dell’istinto di morte.
Freud accetterà del tutto solo anni dopo, rispetto al periodo di cui stiamo parlando, il concetto di bisessualità. Per ora fa fatica ad accoglierlo. Che anche negli eterosessuali vi sia un’istanza omosessuale è, a quei tempi, difficile da riconoscere.
La seconda teoria era quella di Adler, secondo cui in entrambi in sessi ci sarebbe uno sforzo a non rimanere nella linea femminile, considerata inferiore, e tuttii tenderebbero alla linea maschile. Questa teoria è basata sul concetto di predominanza. Adler aveva l’idea che questo grande desiderio di prevalere fosse l’aspetto fondamentale della psiche umana. La teoria adleriana fu ben accetta, soprattutto da parte di Americani e Tedeschi, per quegli aspetti che riguardavano il prevalere economico e quello razziale. Secondo questa teoria l’elemento rimovente sarebbe sempre un moto pulsionale maschile e il rimosso un elemento pulsionale femminile. Freud non accetta questa teoria, sostenendo che ciò che viene rimosso, e quindi gran parte dell’inconscio, in realtà non può essere sempre sessualizzato, poiché esso comprende tutto ciò che, nel processo di sviluppo, dovrebbe essere abbandonato in quanto inconciliabile, inutilizzabile con ciò che appare alla coscienza.
Qui emerge l’idea dell’istinto di morte. Freud si domanda: perché si tende a ripetere l’esperienza che già si sa essere stata negativa? Ad esempio: perché l’innamorato deluso è sempre un multi-innamorato deluso? Perché l’uomo fa la guerra pur sapendo che alla fine tutto quello che si voleva ottenere non esisterà più? Perché questa coazione a ripetere? È interessante la lettura di “Perché la guerra?”, una lunga lettera di Einstein a Freud e una sua altrettanto lunga risposta ad Einstein, che era un suo grande ammiratore. In questa lettera Einstein scrive che secondo lui non ci saranno più guerre, perché la gente si accorgerà che esse sono soltanto negative. Freud risponde di non essere d’accordo: le guerre sono inevitabili.
Quando parla di istinto di morte, Freud non crede che si debba necessariamente morire: tutti moriamo prima o poi, ma non è detto che la morte sia poi così sicura: se c’è un istinto, vuol dire che qualcosa può non accadere, e l’istinto spinge verso quel qualcosa. Lo stesso si può dire per l’attività sessuale: la si pratica solo perché c’è l’istinto che spinge a praticarla. È interessante notare che oggi i biologi tendono a sostenere qualcosa di simile, inerente al funzionamento del DNA.
In conclusione Freud sostiene che ciò che è rimosso non viene necessariamente sessualizzato, ma le pulsioni sessuali riescono in qualche modo a influenzare la rimozione, riuscendo a perdurare e a farsi rappresentare in qualche modo da sostituti che sono poi i sintomi; collega la sessualità infantile ai sintomi nevrotici, il nucleo centrale delle nevrosi.
Cos’è la perversione? Il negativo delle nevrosi. Nella perversione, se si ha l’istanza, per esempio la spinta sadica, si ha la pulsione diretta. Se si ha la nevrosi, la stessa pulsione diretta si trasforma, ad esempio in paura dei coltelli, paura delle punte. Dove prevale la pulsione c’è la perversione, dove prevale la difesa c’è la nevrosi.
Freud si fa promotore del primato della perversione, perché la nevrosi è la difesa. Socialmente è sì importante, ma sul piano concettuale è una difesa, una degradazione. Le pazienti, in ultima analisi, pensano: “io vengo picchiata, però non io vengo picchiata ma il mio fratellino, quindi è la parte fratellino di me che viene picchiata e io me la godo perché il mio papà picchia il fratellino che è in me e ama la sorellina che è in me”, oppure, nei maschi: “io vengo picchiato perché la mamma che mi picchia è la parte femminile che mi avvicina al padre”. Il risultato è che l’unico modo per essere amato è essere picchiato, perché se io vengo amato rischio che sia amato il fratellino al mio posto. Se io rovescio la situazione, mi faccio attore del processo, io picchio.
Freud sentiva che c’è qualcosa d’altro, che ci sono pulsioni particolari, legami insoddisfatti. Egli osserva la coazione a ripetere, e si accorge che le nevrosi di guerra non sono vere e proprie nevrosi, sono forme particolari: sono il ripetersi di esperienze traumatiche che potrebbero essere allontanate, e da questa intuizione arriva all’opera successiva, “Al di là del principio del piacere”, titolo che, stranamente, egli non s’accorge d’aver ripreso da Nietzsche. Come è stato possibile che Freud non se ne fosse reso conto? Non poteva che essere una cancellazione. Freud era un lettore molto attento di tutti i filosofi, e fra essi Nietzsche era l’unico che dicesse, sulle pulsioni, le stesse cose che diceva lui.



 

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