35 anni fa …

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11 maggio, 2013 - 23:19

La mattina di giovedì 16 marzo sono a Barcola. Nella stanzetta che chiamiamo dei colloqui e dell’accoglienza sto parlando con la mamma e il papà di una giovane donna in quel momento ospite al Centro. La stanza si trova proprio all’ingresso, la prima sulla destra. Molti ospiti abituali quando arrivano aprono la porta per salutare. Quella mattina sono circa le nove e mezza quando: “Hanno rapito Aldo Moro – urla entrando Paolo Gallotti – le Brigate Rosse hanno rapito Aldo Moro. Cinque morti…”  Faccio un cenno bonario di assenso, conosco da due anni Paolo e il suo delirio. Gli dico: “Va bene, va bene Paolo, aspetta che finisco con questi signori e ne parliamo”. So che posso parlare e aggiungo: “Oggi abbiamo notizie fresche dal KGB…” Non mi permette di scherzare, oggi, e si arrabbia di brutto: “Ma va in mona, ma di cosa cazzo vuoi parlarmi, no go niente da dirte!” Che io ci creda o no, Aldo Moro è stato rapito.

Sabato 13 Maggio 1978 il Parlamento italiano approvò la legge che sarebbe diventata famosa col numero 180. La prima firmataria fu il ministro Tina Anselmi, democristiana, che aveva condotto con autorevolezza i lavori della commissione. Benché il Parlamento stesse vivendo momenti così drammatici, era riuscita a tenere aperta una discussione ampia e a garantire che nella legge trovassero posto gli elementi di cambiamento più avanzati in una cornice di grande respiro etico. La legge che avrebbe chiuso per sempre i manicomi dice nel titolo “Norme per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, quello che semplicemente è: restituzione di diritto, di cittadinanza, di dignità alle persone che hanno la ventura di avere una malattia mentale. Riconoscimento del diritto alla cura, alla salute, nel rispetto della dignità e della libertà della persona. Insomma il legislatore affermò “semplicemente” che l’articolo 32 della Costituzione valeva per tutti, anche per i matti. A maggior ragione per i matti.
La legge, nel decretare la fine dei manicomi, dei ricoveri coatti, spostò l’asse dell’assistenza psichiatrica verso il territorio, verso la costruzione di presidi psichiatrici territoriali extra ospedalieri, sempre più vicino ai luoghi, ai contesti, alle relazioni delle persone.

di Peppe Dell’Acqua
da Forum Salute Mentale

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Commenti

quella mattina del 16 marzo 1978, io invece, studente laureando in medicina (mi sarei laureato a novembre) da quattro anni frequentatore del OPP S.Maria della Pietà di Roma, ero da pochi minuti arrivato al Padiglione 90, già 'pediatrico' e di 'anatomia patologica',
Lì era stat confinata l'allora seconda, e ultima, cattedra di Psichiatria (Vella), esiliata dalla casa madre diretta da Reda e accolta dalla Direzione del Manicomio con un compromesso di mutuo accomodamento per cui avrebbe ospitato i 'casi' più resistenti (anche tra gli infermieri!) della popolazione lungodegente che avrebbero convissuto con giovani alla loro prima esperienza di ricovero psichiatrico reclutati invece dagli 'universitari'
Ero passato solo un'ora prima da via Fani con la mia 500 blu 'decapotabile' quando nell'assemblea quotidiana di promettenti assistenti in carriera, infermieri residuali, studenti 'interni' (io) e pazienti di lungo corso e precoce esordio, irruppe la notizia che proprio là dove ogni giorno passavo per andare in OPP e dove anche quel giorno ero ditrattamente transitato immerso nei miei pensieri (tanti) di allora, era stato rapito Aldo Moro e massacrata la sua scorta
Non potrò mai dimenticare la risata tragica che nel silenzio attonito e perfino incredulo dei più, si levò alta, sgangherata, rutilante, disperata, schiumeggiante, interminabile di un giovane 'ospite' con diagnosi (già allora mi riusciva impossibile formularle se non a proposito di 'colleghi' e 'funzionari') di 'schizofrenia ebefrenica
Per me quella fu e reta ancora oggi la verità imprescindibile di quel momento storico
Due mesi dopo la cosiddetta 180 passava al vaglio del Parlamento che l'avrebbe ratificata nell'autunno dello stesso anno, mentre io mi laureavo a pieni voti con laude con una tesi su 'significati del sintomo in psicopatologia'
Allora militante politico, prima studente, poi giovane medico, di un'utopia concreta di cambiamento possibile, quindi necessario, del mondo, ne avvertii (nemmeno Basaglia l'amava ) il potere insieme rivoluzionario e la debolezza compromissoria
Oggi ancora qui, a 35 anni di distanza, lotto quotidianamente perchè quei valori e quella permanente possibilità rivoluzionaria, mai definitivamente realizzata e infinite volte tradita sia memoria e promessa dentro e furi i Servizi, nei territori e nelle comunità
Ho subito sconfitte e umiliazioni per questo, ma la lotta non è mai finita e quella risata tragica mi è compagna in ogni istante a motivare le ragioni superstiti e ancora nuove di un impegno che ho con me, con la mia coscienza e con quel giovane mio coetaneo di allora e di tutti i tempi


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