I DIRITTI DEI SOFFERENTI PSICHICI
Come possiamo organizzare leggi, istituzioni, associazioni e SSN per garantire l'emancipazione
di Manlio Converti

DIRITTO al VITTO

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19 agosto, 2013 - 06:30
di Manlio Converti
Come è notorio, ma in quantità molto minore rispetto alle attese della vulgata razzista, alcuni sofferenti psichici perdono la capacità di autoregolarsi, come tutti gli ammalati di ogni patologia cronica, anche se non ci  sono studi per capire se in modo superiore o minore.
Sicuramente essendo la vita media di un paziente con grave patologia psichiatrica maggiore di quello con una grave patologia medica, che condurrebbe altrimenti a morte, le ricadute economiche delle progressive invalidità sono gigantesche in termini economici.
Lo stato italiano ha risolto il problema negando tra gli altri il conseguente diritto al vitto.
 
Fortunatamente la maggior parte dei pazienti cronici resi incapaci nella loro abilità di cucinare e fare la spesa hanno una famiglia che li aiuta e che loro provvede. Qualcuno, in quota minore, per le difficoltà economiche relative, ha un o una badante anche per la finalità della preparazione regolare del vitto, generalmente pagata da familiari stessi, per cui si ricade in genere nel precedente meccanismo.
Non ci sono statistiche neanche per sapere se sono di più gli uomini o le donne ad essere incapaci a provvedere alla cucina, ma il ruolo di genere, che è un altro stigma sociale, di solito fa pesare questa incapacità in modo diverso sui due, caricando di sensi di colpa o di conflittualità enormi le signore, giustificando invece i maschi. Le conseguenze di questa diversa visione del ruolo di genere produce il peggioramento delle condizioni delle sofferenti psichiche e l’aumento in alcuni casi delle conflittualità familiari.
 
Il vitto viene regolarmente consegnato ai sofferenti di patologie invalidanti dall’Assistenza Sociale dei Comuni, con relativa spesa suddivisa in proporzione alle capacità economiche di ogni paziente e dei fondi pubblici. Siccome gli e le assistenti sociali dei Comuni si rifiutano generalmente di andare a casa dei pazienti psichici e non se ne assumono il carico se non quando ci siano minori ed in questo caso nel verso di sottrarli alla patria potestà invece che di supporto al nucleo familiare dei sofferenti psichici, che, come già esplorato, possono avere anche una famiglia con prole, nessuno provvede loro il vitto necessario.
 
Alcune Asl, con modalità non univoche in tutto il territorio nazionale, ma neanche secondo alcuna regolamentazione regionale, forniscono talvolta un servizio di vitto con alcune specifiche modalità e diverse implicazioni. Il luogo della consegna del vitto può essere il Centro di Salute Mentale o un Centro Diurno. In entrambi i casi la finalità può essere in realtà quella di gestire il rapporto con il paziente, mantenendo con lui un rapporto maggiore per garantire l’accesso alle cure farmacologiche, all’osservazione longitudinale oppure al’integrazione nelle attività di riabilitazione.
 
Siccome il vitto rappresenta comunque una spesa da appaltare ufficialmente, generalmente considerata accessoria, se non fuori dei cosiddetti LEA, soprattutto in termini di riduzione della spesa in epoca di crisi, viene anche gestita in modo da essere limitata come campione totale o del tutto eliminata appena possibile. Un altro problema è l’accesso continuo al Centro Diurno o al Centro di Salute Mentale. Laddove esistano, entrambi sono in genere localizzati in Italia in luoghi periferici di Comuni e Quartieri, con difficoltà più o meno grandi a seconda della rete dei mezzi pubblici esistente, come analizzeremo nel capitolo sul Diritto alla Mobilità. La frequenza di un luogo pubblico due, tre volte al giorno implica tra l’altro tutta una serie di abilità sociali non sempre presenti in alcuni sofferenti psichici e la gestione da parte degli operatori del Centro della complessità delle interazioni umane. Evidentemente i Centri Diurni sono quelli più utili a tal fine, avendo la strutturazione del personale predisposta in tale senso, mentre nei Centri di Salute Mentale, la necessità di operare con altri scopi la relazione con l’utenza rischia di rendere inesistente questo rapporto quando non di generare conflitti tra personale e pazienti. I detrattori di tali pratiche, quanti cioè considerano il sofferente psichico solo un  contenitore di psicofarmaci e non un portatore di diritti e bisogni, arrivano a contare quanti effettivamente accedono a tale servizio ed hanno coniato il termine “privilegiati” per aumentare il senso di repulsione nei confronti della relazione con l’utenza diversa da quella ambulatoriale e dal ricovero.
 
In entrambi i casi non è mai possibile che per la ASL consegnare a domicilio il vitto, ma non si capisce perché questo non possa essere fatto mai dai Comuni, laddove il budget lo consenta e in uguale concorrenza con tutti gli altri cittadini che abbisognano tale servizio a domicilio. Il diritto al vitto oggi è  negato per la mancata assunzione di responsabilità sociale ed istituzionale nei confronti dei sofferenti psichici ed è ridotta, laddove predisposta da una gestione ASL più attenta ai bisogni ed alla complessità del proprio ruolo, ad uno strumento sicuramente utile e a volte indispensabile di relazione medico-paziente.
 
Si deve alla rovescia parlare anche dei sofferenti psichici che hanno la capacità di cucinare per sé stessi e per la propria famiglia, acquisita o d’origine, con un discreto orgoglio anche in età avanzata. Ci sono anche tra quanti seguono il Centro Diurno, laddove concesso dall’organizzazione sanitaria, quelli che mettono a disposizione le proprie abilità culinarie almeno una volta alla settimana per preparare il vitto per l’intera comunità dei residenti e semiresidenti, con grande soddisfazione di tutti, siccome in quantità e qualità in questi casi i pasti risultano molto migliori di quelli ospedalieri messi a disposizione dalla ASL.  Sembra ci sia anche un discreto vantaggio economico, a fronte della realizzazione di una cucina vera e propria in ogni Centro Diurno.
L’aspetto relazionale della preparazione comune di pasti, per la propria famiglia o per il Centro Diurno, riveste ovviamente un ruolo terapeutico immenso, dando uno scopo a vite gravate da tali patologie, ma anche la socialità del momento del pasto gratifica tutti, anche gli utenti o i parenti che ne beneficiano, in modo altamente significativo.
Ci sono infine esperienze di cooperative sociali, anche autonome dal sistema ASL, se non in aperto conflitto con esse come “Arte, Musica e Caffè” a Napoli a corso Vittorio Emanuele 400, che sono capaci di gestire servizi di ristorazione tipo tavola calda e catering con tutti gli standard imposti in termini di legge e con enorme soddisfazione di chi partecipa a questi progetti, che garantiscono allo stesso tempo anche il Diritto al Lavoro dei sofferenti psichici.

 
 
 

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