BUONA VITA
Sostenibile e Insostenibile, tra Psiche, Polis e altre Mutazioni
di Luigi D'Elia

Ho incontrato lo psi in tuta al mercato che passeggiava. Riflessioni futuristiche sugli Psicologi di prossimità.

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3 maggio, 2014 - 16:29
di Luigi D'Elia
Due anni fa ho finalmente trasferito il mio studio a un minuto a piedi da casa. Bella comodità, direte voi, ma non è questa la notizia, bensì che in questo trasloco ho immaginato uno sviluppo virtuoso, seppure su tempi lunghi, della mia professione di psicologo nell’ambito privato, ma mantenendo, come mio solito, una mentalità radicalmente sociale. Vediamo secondo quali principali coordinate e con quali nuove suggestioni e riflessioni sia sul versante “interno” della formazione, sia sul versante della proposta di servizi.

1.Lavorare in équipe
Non concepisco altro modo di lavorare seriamente e non ideologicamente come professionisti del mentale che non sia integralmente e strutturalmente attraverso il lavoro di un gruppo pensante, solidale e organizzato. Non mi soffermo ulteriormente su questo postulato, anche teorico, essendomene occupato ampiamente altrove (per chi volesse approfondire). Sul piano strettamente operativo le riunioni di co-visione (co-visione, non super-visione!) sulle situazioni cliniche e non, si alternano con le riunioni più organizzative dove le competenze del gruppo si mettono a disposizione di tutti in un’ottica di trasversalità e orizzontalità e dove le competenze cliniche e psicoterapeutiche s’incrociano con le competenze più tecniche (psicodiagnosi, ad es.), o competenze professionali più abilitanti come il web marketing, la comunicazione, la progettazione sociale, etc.
 
Nella fattispecie preferisco di gran lunga lavorare con colleghi giovani e talentuosi piuttosto che con colleghi esperti ma indaffaratissimi e demotivati. Lo scambio è più fitto e più fruttuoso da entrambe le parti. Quando dico talentuosi, intendo non solo preparati e “vocati” alla professione, ma anche appassionati, svegli, agili, attivi, qualità a dire il vero non proprio diffusissime tra gli psicologi secondo la mia decennale esperienza di tutor.
 
2.Lavorare per il quartiere
In una metropoli come Roma la psicologia di prossimità significa lavorare in quartieri di decine di migliaia di persone, ciascuno con una propria storia e una propria evoluzione urbanistica e socio-antropologica. Naturalmente lavorare prevalentemente per il quartiere è un obiettivo a lungo termine che al momento nessuno studio può permettersi il lusso di coltivare e quindi si lavora su tutta Roma e anche oltre, ma dobbiamo registrare che dopo soli due anni di permanenza (e grazie al lungimirante uso del web) cominciano ad arrivare soprattutto clienti provenienti dal quartiere, in questo caso il Pigneto (quartiere particolarmente mobile e vivace).

Cominciano a porsi questioni di setting non indifferenti, che per uno psicologo particolarmente “infarinato” come me, avvezzo al lavoro di frontiera come quello delle comunità terapeutiche non rappresentano alcun imbarazzo, ma che non voglio assolutamente sottovalutare. Mi capita cioè sempre più spesso di incontrare i miei pazienti al mercato, alla kermesse di quartiere, durante i miei tour podistici, talvolta anche durante l’aperitivo al locale trendy, e di salutarli con cordialità e qualche volta di trattenermi a fare due chiacchiere. Sarà un caso, o forse no, ma spesso sono vestito in maniera improponibile: in bermuda, ciabatte e maglietta strappata, in tuta da ginnastica, o solo come mi trovo. Una volta ho aperto il portone di casa mentre stavo per buttare l’immondizia e mi è comparsa proprio lì davanti, fuori per strada, la famiglia di un mio paziente. Ho salutato la compagna, ho accarezzato la testolina della bimba mentre con l’altra mano tenevo la busta dell’immondizia. Non è proprio edificante! Ma con la naturalezza con cui s’è svolto quell’incontro penso che la dimensione privata (e provata!) dello psicologo in quel caso non abbia affatto squalificato il mio lavoro. Conosco colleghi che piuttosto si sarebbero inceneriti anziché trovarsi in quella situazione. Pazienza, meno concorrenza sulla psicologia di prossimità. Ma il dibattito è aperto e sono gradite opinioni a proposito.

3.Diversificare l’offerta di servizio
La targa del mio studio è già alla terza versione in due anni: la prima era piuttosto austera, scritte nere, schematica: Dr. Luigi D’Elia, Studio di Psicoterapia, riceve su appuntamento, telefono…; la seconda aveva già il nome dell’attuale studio (Psicologi Pigneto), era in plexiglass con scritte rosso bordeaux, più l’elenco dei nomi dei dottori e relativi numeri telefonici). Ora la terza targa corrisponde di più all’evoluzione del gruppo degli ultimi due anni e recita più o meno questo:


 
Psicologi Pigneto
I tuoi psicologi di quartiere
Servizi alla persona, alla famiglia, alla comunità.
Centro specializzato per la diagnosi e trattamento della dislessia e dei disturbi specifici di apprendimento.
Ascolto, sostegno, consulenza, psicoterapia.
Per bambini, adolescenti, adulti, coppie, famiglie, scuole.
 
 
Siamo al momento un gruppo di 5 con 4 gruppoanalisti, che conta una espertissima in DSA, ed ultimamente anche una collega neolaureata che oltre ad essere una brava psicologa scolastica, organizza ripetizioni e doposcuola professionale. Inoltre organizziamo cicli di incontri tematici su argomenti specifici (questo è l’ultimo) non necessariamente legati a tematiche cliniche, e contiamo di proseguire sugli interessi socialmente sensibili.
Collaboriamo con altri studi e colleghi, specie con psichiatra, neuropsichiatra ed eventuali altre professionalità che dovessero risultare utili al singolo utente.

Insomma, da quanto si evince dall’ultima targa, concepiamo i servizi dello psicologo di prossimità come servizi intanto geograficamente localizzati, poi come servizi estesi non necessariamente personalizzati, e poi principalmente come servizi di salute psicologica di cui la psicoterapia è uno tra gli altri, certamente quello socialmente più atteso (almeno in Italia), ma è evidente che ci muoviamo verso un paradigma anche della comunicazione già molto differente.

Per parafrasare un noto libro di Racamier, aspiriamo ad essere “psicologi senza divano” in grado di incontrare le persone, nel senso di andare loro incontro, e di farci trovare dove esse intendono farlo. Che non vuol dire necessariamente farsi trovare in farmacia e al centro commerciale, ma nel proprio studio purché abbia le porte aperte sulla strada.

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Commenti

Concordo con l'amico Luigi D'Elia!
E penso che l'abbandono nelle AASSLL di questo modo di lavorare, che fu del "pubblico" agl'inizi, abbia concorso non poco alla obsolescenza attuale del "pubblico", almeno qui in Emilia.
Il mio contributo .- su questo stesso sito - http://www.psychiatryonline.it/node/4877 penso nasca dallo stesso tipo di pre\occupazioni.
Dino Angelini


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