THE LOOK OF SILENCE, GRAN PREMIO DELLA GIURIA A VENEZIA71 di Francesco Bollorino

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15 settembre, 2014 - 18:45
Anno: 2014
Regista: Joshua Oppenheimer
Joshua Oppenheimer è un giovane video-giornalista americano che, come molti videomaker ha scelto il sudest asiatico, come luogo di vita e di lavoro.
Di lui avevo visto lo scorso anno negli States in un delizioso cinemino d’essai di Los Angeles il documentario THE ACT OF KILLING di cui ho poi parlato sulla rivista, che definire un capolavoro mi pare riduttivo per cui, con interesse e curiosità, mi sono recato, avendolo purtroppo perso a Venezia durante la mia recente presenza al Lido, a vedere il suo nuovo film, THE LOOK OF SILENCE, presentato e premiato da un commosso Tim Roth col Gran Premio della Giuria alla 71° Mostra del Cinema.
Il genere documentario sta prendendo, grazie a Dio, sempre più piede presso le Mostre del Cinema e una presenza massiccia di tale tipologia di film non è più appannaggio di festival come il TRIBECA, pure Venezia ha iniziato a proporli nelle sue selezioni specie quest’anno dopo la vittoria l’anno scorso dell’italiano SANTO GRA e non credo sia un caso che fossero presenti diversi titoli italiani su tutti il bellissimo BELLUSCONE di Franco Maresco vincitore del Premio della Sezione ORIZZONTI.

Amo moltissimo i documentari ed è un vero peccato che in Italia girino così poco nelle sale cinematografiche relegandone la visione in impossibili, spesso, orari televisivi.
In America non è così: durante il mio soggiorno estivo negli States ho potuto  vedere dei bellissimi documentari che temo non arriveranno mai qui, un titolo su tutti: WEB JUNKIES sull’internet addiction di molti giovani cinesi per i videogiochi on line e sul centro di cure che li assiste tra tecniche psicoterapiche avanzate e regolamenti paramilitari da riformatorio.

Il cinema di Joshua Oppenheimer è davvero particolare: usando un termine un po’ desueto ma che bene lo inquadra potremmo parlare di “cinema verità” dove le storie vere realizzate con persone comuni che non recitano ma “vivono le esperienze filmate” diventano una sorta di fiction, dove la mano autoriale del giovane regista americano si coglie e si apprezza nella sua pienezza.
Oppenheimer vive da molti anni in Indonesia e il suo spirito da reporter lo ha portato non senza rischi ad occuparsi della carneficina perpetrata in quelle isole sulla fine degli anni sessanta ad opera di bande criminali in stretta connessione con la giunta militare che nel 1965 aveva, con a capo il Generale Suharto, rovesciato il presidente Sukarno al potere da 15 anni, ai danni di affiliati o presunti tali del Partito Comunista.
Si tratta di una vera mattanza che portò alla soppressione di oltre un milione di persone di cui poco o nulla si sa e poco o nulla si parla in Occidente anche perché, anche dopo la destituzione su Suharto nel 1998, il potere è rimasto in pratica nelle stesse mani e gli artefici di tali scempi tuttora vivono liberi temuti e spesso riveriti negli stessi luoghi dove commisero gli eccidi. E il potere ha relazioni fuori dal suo territorio specie se “benedetto” da cospicui interessi delle multinazionali…
Nel  documentario dello scorso anno THE ART OF KILLING Joshua, avendo incontrato nelle sue ricerche una banda di killer disposti a raccontare la storia delle uccisioni  sceneggiandola davanti alla videocamera, affrontava il tema della mancanza del senso di colpa e della brutalità di quelle stragi dal punto di vista dei carnefici. Nel video proposto sotto il regista parla della sua esperienza nella realizzazione del documentario:

Il risultato è un capolavoro che picchia duro allo stomaco e alla coscienza che spero sinceramente, sulle ali del premio prestigioso attribuito quest’anno al regista a Venezia, venga finalmente proposto in Italia.
Il film di quest’anno THE LOOK OF SILENCE, pur nella sua complementarità rispetto al precedente, sceglie una prospettiva diversa, quella delle vittime e una cifra stilistica altrettanto diversa: dove là regnava un vitalismo macabro qui l’atmosfera si fa più rarefatta, silenziosa come dice il titolo.
Al centro troviamo la figura di un ottico (non posso pensare sia un caso) che va a ricercare nel suo villaggio i responsabili della uccisione cruentissima del fratello maggiore.
Anche qui osserviamo la totale mancanza di sensi di colpa e la terribile passività della società di fronte a questi crimini impuniti. In mezzo lo sguardo silenzioso del protagonista che cerca, in una sorta di investigazione privata,  un segno di pentimento senza mai trovarlo, cercando una verità mai detta e forse indicibile e una assunzione di responsabilità e non la affermazione tanto simile alla “banalità del male” di aver agito per obbedire a degli ordini.
Vi è rassegnazione disperata negli occhi del protagonista, nei suoi silenzi mentre guarda le immagini delle ricostruzioni degli eccidi da parte dei carnefici (con una similitudine verso il film precedente), vi sono silenzi anche da parte degli assassini molto indicativi come è indicativa la protervia del capo delle bande criminali ora deputato  che non tace ma minaccia nuove stragi se non sarà rispettato il patto dell’oblio su quanto accaduto.
LOOK OF SILENCE (forse inferiore al documentario dello scorso anno, agli occhi di chi come me ha avuto la fortuna di vederli entrambi, ma con una dolentissima forza di denuncia civile che passa attraverso gli occhi del protagonista) è un bellissimo esempio di cinema militante realizzato in un ambiente ostile e tuttora pericoloso (non è un caso che gran parte della troupe sia indicata nei titoli di coda col termine ANONYMOUS per proteggerne l’identità da eventuali rappresaglie del potere), è uno straordinario spaccato di una realtà che non conosciamo perché nessuno prima di Oppenheimer ce l’aveva raccontata e in questo è il trionfo del cinema come strumento ANCHE di conoscenza non solo dei sentimenti umani come avviene nelle fiction ma pure di fatti rappresentati con uno struggente dolore senza il conforto di una soluzione positiva.
Il cinema è visione e sguardo sul mondo al tempo stesso e forse l’invito che ci viene da quest’opera bellissima è di mettersi gli occhiali e guadare la realtà fino in fondo senza negarla.
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