Omofobia: la paura del coinvolgimento

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30 settembre, 2014 - 19:35

Un elemento che complica un'analisi approfondita dell'omofobia è la rapida diffusione di un atteggiamento "politicamente corretto". Quest’atteggiamento se da una parte smorza l'aggressività esplicita nei confronti dell'omosessualità e promuove su un piano culturale più superficiale una tolleranza che consente una sua espressione più libera, dall'altra parte tende a mascherare il carattere più nascosto e insidioso della tendenza omofoba.
Un amico mi diceva recentemente che non si possono più fare battute sugli omosessuali non perché sono state superate dai tempi ma perché non è corretto farle. La scorrettezza fa parte dell'umorismo che ha tra le sue funzioni quella di socializzare l'aggressività sia perché lo allontana dal campo dell'offesa pura, sublimandola, sia perché tende a creare una comune cultura di appagamento sublimato tra aggressore e aggredito. La preclusione convenzionale di temi dell'umorismo rivolti contro specifici gruppi sociali argina l'aggressività da una parte ma le apre la porta da un'altra parte in forme prevalentemente inconsce più difficilmente riconoscibili.
Partirei dunque da una battuta.
Un figlio dice al padre: "Papà sono gay".
Il padre gli chiede: "Hai una macchina?
Il figlio risponde: "No"
Il padre insiste: "Hai un appartamento dove vivere?
- "No"
- "Ti consideri bello, affascinante?"
-     "Non più di tanto".
-     "Ti consideri fine ed elegante?"
-     "Mi piacerebbe ma  certo..."
-     " Ti puoi permettere una vacanza a Saint Moritz?".
-     " No papà".
- "Allora non sei gay, sei frocio"
Quando ero un ragazzino mi aveva colpito, e a dire il vero anche addolorato (in quel divertimento piuttosto sadico che ti si ritorce da qualche parte contro), questa battuta: "Povero, brutto e frocio".
All'epoca questa battuta terribile descriveva una realtà di fatto: tre condizioni di un'impossibilità di socializzazione erotica. Non sei bello per intrigare, ricco per pagare e appartieni a una minoranza di clandestini d'amore senza tetto.
Va da sé, e qui entro nel vivo del mio discorso che la battuta fosse apotropaica: scacciava via la propria paura di essere reietti sul piano dell'amore corrisposto, proiettandola su un ricettacolo sociale adatto allo scopo. Questa paura di non poter essere amati teniamola d'occhio: ha molto a che fare con l'omofobia.
Una pretesa evidente nel discorso dell'omofobo è quella di tracciare una linea di distinzione netta tra lui e gli omosessuali. Non si definirebbe mai fobico e il suo atteggiamento di evitamento lo spiega con il rigetto legittimo dei comportamenti "fastidiosi" degli omosessuali (ci sono anche modi molto fini di definirli: alcuni psicoanalisti hanno eccelso in questo).
   Se l'omosessuale fosse davvero estraneo all'omofobo la paura nei suoi confronti potrebbe essere giustificata solo in termini di pericolo esterno. Ora vedere due uomini o due donne che si baciano non è esattamente un pericolo esterno, né si può certo descrivere l'omosessuale come un leone affamato, una vipera impaurita o una macchina impazzita che sta per venirci addosso. È, inoltre, facilmente osservabile che chi protesta per la sfacciataggine degli omosessuali, li spia con interesse inconfessabile come certe donne sessuofobe di una certa età spiano le manifestazioni sessuali del corpo altrui.
Credo che la migliore definizione dell'omosessuale, visto in una prospettiva di rigetto, è quella di marziano. I marziani non sono veramente esistenti (non li abbiamo mai percepiti) ma potrebbero esistere, in altre parole sono una proiezione della nostra soggettività nel mondo esterno. Sono desideri, emozioni e parti di sé scomode proiettate nel mondo esterno. La qualità di "marziano" ha, tuttavia, un aspetto in più del semplice ricettacolo della proiezione: tende a tornare dentro di noi, a confondersi con noi. In circostanze che sospendono la nostra vigilanza sulla distinzione tra la realtà interiore e quella esteriore, l'estraneo torna a essere familiare. In altre parole il marziano omosessuale è perturbante. Ignorarlo, isolarlo, disprezzarlo, aggredirlo sono le modalità con cui secondo una linea di ostilità progressiva si cerca di ricreare una demarcazione forte tra sé e l'omosessualità annullando la destabilizzazione che essa determina su un apparato psichico strutturato per respingerla. 
   Freud ha ridato vigore al mito della bisessualità originaria collocandola, secondo una prospettiva scientifica, nel campo dell'ontogenesi psichica: si nasce maschi e femmine, omosessuali e eterosessuali. Si diventa uomini o donne, eterosessuali o omosessuali per rimozione di una delle due inclinazioni. La rimozione non è mai assoluta: resta sempre attiva dentro di noi una quota significativa dell'inclinazione rimossa (prevalentemente, ma non esclusivamente, sotto forma di sublimazione) e gioca un ruolo irrinunciabile, fondamentale. Se la rimozione è eccessiva si crea un eccesso di estraneità verso una componente naturale della propria sessualità e il ritorno inevitabile del rimosso (ciò che è represso tende sempre a riemergere per necessità intrinseca dell'apparato psichico) è perturbante a causa del drammatico ricongiungimento con una familiarità fortemente rigettata (drammatico a causa  dell'effetto congiunto della distanza estrema che viene annullata e l'accadere improvviso dell'annullamento).
    Fin qui con Freud. Si può aggiungere, restando nel solco del suo pensiero, che non esiste mai un rigetto eccessivo del maschile ma in entrambi i sessi del femminile. Invece può esserci non solo un rigetto eccessivo dell'omosessualità (per scoraggiamento del cosiddetto Edipo negativo - l'amore per il genitore dello stesso sesso) ma anche un rigetto eccessivo dell'eterosessualità (per scoraggiamento dell'Edipo positivo -l'amore per il genitore del sesso opposto[1]). Quindi accanto all'omofobia degli eterosessuali[2] bisogna ammettere una certa eterofobia degli omosessuali, entrambe ugualmente responsabili di grandi difficoltà per il raggiungimento di una vita erotica soddisfacente.
   Qui si impone alla nostra attenzione un dato: l'eterofobia nell'omosessuale non raggiunge mai il livelli di rigetto che l'omofobia raggiunge nell'eterosessuale. Non solo nella violenza fisica o verbale ma anche nel campo dell'umorismo: non si conoscono battute grevi degli omosessuali contro gli eterosessuali (il che testimonia una direzione unilaterale dell'aggressività manifesta). Questo lo si spiega con carattere più normativo e di conseguenza più rigido delle relazioni eterosessuali e in questo modo la questione si amplia perché si deve tener conto della minor omofobia delle donne eterosessuali connessa alla minor normatività della sessualità femminile.
   La dimensione normativa della sessualità contrasta una compiuta dialettica d'incontro tra gli opposti: tra la sessualità maschile e quella femminile e tra l'omosessualità e l'eterosessualità. La sessualità normativa assegna il primato alla sessualità maschile di tipo eterosessuale in modo da limitare il coinvolgimento e irrigidire i confini tra gli amanti. Dal punto di vista della norma -la prevalenza delle convenzioni funzionali all'ordine sociale sull'incontro erotico fondato sul desiderio- l'apertura dei confini e il coinvolgimento erotico profondo sono le grandi forze destabilizzatrici.     
   Andando per gradi direi che la posizione subordinata della femminilità e dell'omosessualità nella regolazione normativa della sessualità ha il suo centro di gravità nella definizione dei confini tra gli amanti. Ciò ci porta alla capacità femminile di alloggiare nella diluizione dei confini.
    Il desiderio femminile si sviluppa dove i confini tra sé e l'altro sfumano in un territorio di prossimità/affinità nel punto in cui il narcisismo si apre all'incontro con l'altro. Questa apertura è a rischio melanconico perché il venir meno dell'altro può far crollare lo spazio di attesa dell'incontro. Il fondamento del desiderio femminile[3] è un narcisismo che si dischiude alla vita dal dentro creando uno spazio di coinvolgimento profondo[4] che se fallisce si rinchiude malinconicamente in se stesso restando, al tempo stesso beante, dolorante. Attesa che sanguina e trova nel dolore la strada per persistere: il senso di mancanza.
  I confini non coincidono con la differenza[5]: richiedono contemporaneamente l'affinità e la diversità, la prossimità e la lontananza. Esprimono dunque la differenziazione tra due entità insieme simili e diverse e rendono possibile lo scambio tra di loro. Nel campo erotico lo scambio non è possibile senza l'esposizione, lo sbilanciamento di sé che costituiscono la possibilità stessa del desiderio, lo sporgere, rischiando di cadere, senza valutazioni, calcoli e garanzie preventive nella direzione dell'altro. Proprio perché esposizione, il desiderio nel suo sbocciare dal suo nucleo narcisistico cerca l'affinità e la prossimità e lascia sullo sfondo la differenza e la lontananza. Apre i confini, diluendoli senza dissolverli[6], e costruisce con l'altro un legame di omofilia. Il legame omofilo con l'oggetto del desiderio non è una condizione statica di prossimità che resta chiusa in sé stessa: nella misura in cui rende possibile il desiderio/sbilanciamento di sé è anche sotto l'effetto della sua spinta. La sua funzione non è quella del contenimento ma della rampa di lancio: getta, attraverso l'apertura dei confini, il soggetto desiderante in luogo eccentrico rispetto al suo centro di gravità in cui patisce l'attrazione fatale della differenza dell'altro. Quest’attrazione, l'essenza di ciò che chiamiamo eterofilia, che è impensabile in presenza di confini definiti, crea un coinvolgimento intenso che può diventare sconvolgimento di sé che è il presupposto della profondità del godimento. La capacità di godere profondamente del gioco erotico dipende dall'ampiezza dell'oscillazione necessariamente destabilizzante tra la perdita e il ritrovamento dei confini (che è una condizione necessaria dell'essere vivi).   
   La dimensione eterofila è vulnerabile perché la presa sull'altro che consente il ritrovamento dei confini della propria identità non è mai scontata. La differenza dell'oggetto desiderato può ferire mortalmente la differenza (il nucleo più privato dell'identità) del soggetto desiderante. La diluizione omofilica dei confini -che presume la loro esistenza e permanenza, il loro sfumare/sparire e riapparire- può diventare la condizione della loro dissoluzione/violazione. Questo conferma drammatica della paura di non poter essere veramente amati, è il motivo per cui l'omofilia, lo sbilanciamento/coinvolgimento che nasce dalla prossimità, è oggetto di riserva. Più le relazioni di scambio s’indeboliscono, e quindi più la presenza, reciprocità dell'altro è incerta, più l'omofilia, vissuta come fragilità, è attaccata, rigettata dentro di sé e proiettata fuori. Il rigetto dell'omofilia, crea un atteggiamento omofobo che sfocia in un narcisismo autoreferenziale che colma la beanza melanconica e fa sparire lo spazio dell'attesa/mancanza. Chiamerei questo tipo di narcisismo "sedimento melmoso" perché è fatto di linfa stagnante, materia immobile che dà l'impressione della fluidità ma risucchia la vita. Nessuno di noi ne è pienamente avulso. Quando si afferma perentoriamente e diventa inerzia è narcisismo di morte.
    L'omofobia è associata a un'eterofilia monolitica che dobbiamo distinguere dall'eterofobia cioè dal permanere nella prossimità creando un confine con la differenza. L'eterofobia prende forma tutte le volte che l'attrazione per la differenza è problematica ma non è ancora avvertita come mortale fragilità. Corrisponde alla forma di xenofobia meno grave: il pregiudizio di fondo verso tutto quello che contraddice questo o quello altro nostro senso di appartenenza (e trova la sua espressione più curiosa nel narcisismo delle piccole differenze)[7].
  L'eterofilia monolitica, invece, abolisce il gioco della perdita e del ritrovamento dei confini. A essere più precisi abolisce il senso stesso dei confini[8]: ama la differenza dissociandola dall'affinità, ama la distanza separandola dalla prossimità, ama l'estraneità depurandola della familiarità. Ne sono un esempio rappresentativo coloro che propongono la netta separazione delle etnie come unico modo per rispettare la loro diversità: gli ebrei in Palestina dicevano i nazisti, gli arabi nei loro paesi dice Le Pen, gli extracomunitari a casa loro dice la lega. Se l'eterofilia monolitica, un ossimoro che definisce un'impasse psichica disastrosa, diventasse la legge della nostra civiltà l'esito sarebbe la creazione di realtà autoreferenziali e non comunicanti ci si riflettono immobili in una  simmetrica estraneità.
    Nell'omosessualità (soprattutto in quella femminile ma anche in quella maschile) c'è una minore definizione iniziale dei confini rispetto al l'eterosessualità che favorisce la loro diluizione e una maggiore anarchia e libertà nell'incontro amoroso. Questo favorisce l'omofilia e facilita l'incontro erotico tra le differenze che a causa della bisessualità iniziale e delle identificazioni crociate tra i sessi non si identificano certo con la differenza tra l'uomo e la donna, nonostante la sua centralità. Ciò non rende il godimento omosessuale più profondo perché così come gli omosessuali possono reperire la differenza di cui è portatrice l'eterosessualità (e l'ampiezza del movimento erotico che ne consegue) attraverso il gioco delle identificazioni, anche gli eterosessuali possono reperire la diluizione dei confini di cui è maggiormente portatrice l'omosessualità allo stesso modo. In definitiva il godimento erotico è un gioco tra omofilia (prossimità, affinità) e eterofilia (differenza) a cui entrambe omosessualità e eterosessualità hanno accesso diretto o indiretto.
   In conclusione per comprendere l'atteggiamento omofobico, che in modo caratteristico è prevalentemente maschile e si rivolge prevalentemente contro gli omosessuali maschi, bisogna partire dal fatto che sia nell'uomo sia nella donna  l'omofilia è femminile (il distendersi del desiderio che si espande in profondità e scioglie il corpo)[9]. La costituzione più rigida dell'organizzazione sessuale e della definizione dei ruoli nei maschi eterosessuali li rende più prontamente vulnerabili e  reattivi al pericolo di una dissoluzione dei confini rispetto alle donne e ai maschi omosessuali. La loro omofobia può seguire due destini diversi a seconda della gravità dell'effetto destabilizzante che ha su di loro l'apertura femminile all'oggetto desiderato. Nel caso più grave in cui si sentono esposti a una vera e propria dissoluzione della loro identità virile vedono nella donna il riflesso della loro ripudiata femminilità e l'aggrediscono in lei. Nel caso in cui la loro paura riguarda un  danno della loro potenza virile (paura di castrazione) proiettano la loro omofilia negli omosessuali maschi e l'attaccano in loro. Nei casi al confine i due tipi di reazione omofobica coesistono e si alimentano tra di loro.
 
La tendenza prevalente è di confondere il pregiudizio sociale nei confronti dell'omosessualità con l'omofobia. Non sono per niente la stessa cosa.  Il pregiudizio ha le sue radici nel fatto che l'omosessualità contraddice le norme sociali sulla sessualità che conformano il desiderio erotico al predominio della sessualità maschile eterosessuale che tende a conservare i confini tra gli amanti. Questo predominio garantisce la stabilità/conservazione della società contro la sua trasformazione/destabilizzazione perché usa la forte strutturazione della sessualità maschile, che esalta, per limitare il coinvolgimento profondo (nella donna e di riflesso nell'uomo). La coppia erotica maschio dominante-donna dominata (che consente anche ampi margini di contrattazione ma non è mai messa in discussione) è espressione di un'impostazione della società che privilegia l'ordine e la continuità contro il cambiamento e impone che la soddisfazione erotica non superi una certa soglia di intensità, dando per ineliminabile una certa quota di frigidità nella donna come nell'uomo. La norma sostiene un'omofilia eterofoba: l'omofilia frena il suo slancio verso l'eterofilia e promuove un coinvolgimento che tende a sostare nella prossimità smorzando l'apertura verso la differenza. Ciò riduce l'ampiezza di oscillazione del corpo erotico tra erezione/tensione e distensione/scioglimento orgasmico e fa prevalere la scarica sulla persistenza del piacere, secondo modalità tipiche di un'eterosessualità maschile centrata su sé stessa.
        L'omofobia vera e propria che ha come suo bersaglio vero la qualità omofilica del desiderio femminile va ben al di là del rigetto di una forma della sessualità: è il sintomo di una grave malattia psicosociale che mira alle sue fondamenta la relazione di desiderio con l'altro. Mentre il pregiudizio mette in discussione la libertà dell'espressione sessuale, l'omofobia -in cui un eterofilia monolitica rende i confini invalicabili e annulla il coinvolgimento, trasformando la sessualità in sequenze di eccitazione e di scarica- indica un processo che tende ad annullare la possibilità stessa di una vera espressione della sessualità e rende insensata la libertà.
    
 
 
 
 
 



[1]    Sia l'Edipo negativo sia l'Edipo positivo richiedono che l'investimento erotico di uno dei due genitori (dello stesso o dell'opposto sesso) venga incoraggiato dall'altro genitore.
[2]     La repressione della componente omosessuale naturale dell'eterosessualità (che non è "omosessualità latente" che per il fatto che la componente omosessuale è sospesa, resta allo stato di potenzialità) segue strade diverse nell'uomo e nella donna.
        Nell'uomo si verifica in presenza di queste condizioni:
    -Padre che scoraggia il suo investimento erotico perché è sostanzialmente assente (soprattutto nel campo del desiderio). Inoltre, la sua assenza autorizza la sua percezione come figura ostile e avara nei sentimenti. Il suo investimento erotico è di conseguenza percepito come pericolo di sottomissione, feminilizzazione (castrazione).
         - Madre che da una parte ostacola l'investimento del padre e dall'altra frustra eccessivamente il desiderio del figlio che causa un eccesso di rigetto nei suoi confronti e quindi un pericolo di isolamento in un modo di soli maschi.
          Nella donna la repressione dell'omosessualità segue questa strada:
         - La madre invade i confini erotici della figlia dissuadendola dal suo investimento erotico.
        - Il padre non investe eroticamente la madre e non sostiene né legittima il primo fondamentale investimento erotico della figlia
     In entrambi i sessi il non adeguato investimento erotico del genitore dello stesso sesso non sfocia tanto in un'omofobia aperta sul piano sociale quanto piuttosto in una privata inibizione della (etero)sessualità. La debolezza dell'investimento omosessuale non consente l'identificazione erotica con l'altro sesso che orienta la relazione con esso (sentire cosa vuole la donna per l'uomo, sentire cosa vuole l'uomo per la donna). Inoltre, viene meno la possibilità di un investimento narcisistico adeguato del proprio sesso e del proprio corpo. Ne soffre la consapevolezza del significato e del  valore del proprio corpo desiderante e l'incontro è lasciato all'insindacabile volontà e capriccio dell'oggetto desiderato.
    
[3]     Nella donna e nell'uomo
[4]      Nella donna questo spazio è più profondo.
[5]      La differenza tra sé e l'altro si manifesta con e senza confini (è un dato di partenza). l bambino nel narcisismo primario fluttua in assenza di confini tra sé e l'altro, senza riconoscere la sua presenza (ma pre-sentendola).  Tra fluttuare tra sé e l'altro e partecipare a una relazione differenziata il fattore discriminante non è la differenza ma i confini. Tra la prima condizione e l'altra c'è l'identificazione isterica: la fluttuazione tra le due condizioni non tra sé e l'altro.
[6]     Nel soggetto in formazione questo è il movimento che porta alla costituzione dei confini, che successivamente devono diluirsi tutte le volte che il desiderio riprende il suo movimento. 
[7]      Ne fanno parte la diffidenza verso gli abitanti di città rivali, i cittadini di altri paesi, i sostenitori di squadre sportive o di partiti diversi dal nostro, appartenenti ad altre religioni, persone di interessi culturali diversi, gli appartenenti all'altro sesso ecc. 
[8]      I confini che sono fatti per essere attraversati anche sotto forma di guerra: questo è evidente nell'amore come anche nell'amore impossibile che soggiace a ogni guerra vera.
[9]     L'omofobia è realizzata in senso maschile (l'erigersi del desiderio che compatta il corpo).
        Probabilmente il grado massimo di omofilia è  nell'omoerotismo femminile presente sia nell'omosessualità femminile sia,  come componente omosessuale, nell'eterosessualità femminile.    

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