Un ragazzo d'oro di Pupi Avati Recensione di Roberta Viglino

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1 novembre, 2014 - 21:26
Anno: 2014
Regista: Pupi Avati
Diversi di noi in alcuni momenti si sono trovati a contare i propri passi come il protagonista del film di Pupi Avati, Davide Bias (Riccardo Scamarcio) che cammina, numerando compulsivamente i propri passi. Lo spettatore che viene introdotto al film da una prima scena in bianco e nero in cui un uomo adulto e un bambino saltano tenendosi per mano, sorridendo e mostrando serenità, si trova subito dopo tra le vie di Milano a camminare con Davide Bias che conta i passi.
Non si capisce il senso di quel computo ossessivo, riconosciuto come tale anche dal protagonista. Lo si segue, mentre arriva presso un’agenzia letteraria, speranzoso di pubblicare i suoi racconti e di realizzare finalmente il sogno di diventare scrittore.
Gli scritti sono belli, così dice il direttore, ma inadatti, perché racconti e non romanzi. In più, il cognome Bias non è sconosciuto, ma viene associato a uno scrittore di filmetti di serie B, Achille, padre di Davide.
Pupi Avati ci fa compiere il primo passo di Davide Bias, il primo tratto nella sua mente: è inadatto.
Seguendo il film, l’incontro con la fidanzata (Cristiana Capotondi) e la disperazione di Davide, Pupi Avati mette subito in evidenza la sensazione del protagonista di vivere in una condizione fallimentare, deludente, perdente.
Davide si percepisce fallito, inadatto, perdente.
Disperato nell’affetto perché la fidanzata è ancora legata al suo ex, tanto che non riesce ad avere un rapporto completo con lui, frustato nel lavoro che non è quello dei suoi sogni, Davide prova rabbia e delusione. L’unica cosa che può fare è contare i passi che lo separano da altre ferite, altre occasioni di malumore e malessere. Prende dei farmaci e frequenta lo studio di una psichiatra per non peggiorare la propria condizione patologica.
In questa dimensione routinaria, un giorno di lavoro in cui si scontra anche con la competizione di altri agenti pubblicitari, riceve una telefonata dalla madre: il padre è morto.
Pupi Avati ci fa compiere un altro passo: il padre di Davide è un problema.
Non c’è tristezza, non c’è lutto in Davide, ma un senso di impreparazione e inadeguatezza in una vita cadenzata da frustrazione e impotenza.
Sostenuto dalla fidanzata, va a Roma per i funerali che vengono celebrati nella chiesa degli artisti, tra elogi e lodi. Voce fuori dal coro è solo la sua: suo padre ha fatto bene a morire perché lui aveva bisogno di liberarsi della sua presenza e i padri ingombranti come il suo dovrebbero fare così per il bene dei figli.
La rabbia di Davide viene fuori. Sembra una liberazione.
Un incontro con una donna, Ludovica (Sharon Stone), editrice e amante del padre fa sì che per Davide si apra il tempo della grande occasione. Il padre aveva iniziato a scrivere la propria autobiografia. La donna domanda a Davide se può recuperare i files dal computer.
Davide, allora, lascia l’agenzia pubblicitaria e lo studio della psichiatra per poter dedicarsi alla ricerca dei files.
Il pc è protetto da password. Pupi Avati dedica parecchio tempo alla ricerca della parola per accedere ai documenti del padre, in quello studio, spazio creativo.
È uno dei momenti più profondi e densi di significato psicoanalitico nel film: per crescere occorre scoprire la password del padre. Davide le prova tutte, cerca tra le date e i nomi cari, finché non scopre che la password è il nome dell’amante.
Entra nel pc. Legge il primo documento: la mano di mio figlio. Qui legge il racconto del salto a Villa Celimontana, insieme al padre. Quel salto riuscito perché c’era il padre, anche se l’asticella era troppo alta per lui. Quante asticelle troppo in alto nella vita di Davide, senza la presenza del padre!
È una dichiarazione di impotenza del padre. Il padre potente, considerato sempre come uomo godereccio e festaiolo, emerge per la prima volta come uomo simile a Davide e che confessa la sua inettitudine e fatica a tenere per mano il figlio che ama.
Questa dichiarazione spacca il cuore di Davide che decide di avventurarsi alla ricerca del vero padre, forse per separarsene definitivamente?
Nel frattempo la madre di Davide, viene a sapere che Achille Bias non è morto per incidente fortuito, ma perché si è suicidato. Questo evento fa sentire ancora di più il figlio vicino al padre. Agli avvocati della assicurazione Davide domanda se il padre prima di lanciarsi con la macchina dal burrone abbia gridato. Prima di morire si grida? Anche suo padre provava la sua angoscia dell’esistere?
Lo sguardo di Davide verso Achille ormai è cambiato.
Decide che vuole trovare definitivamente il testo del libro e scrivere e legge tutto d’un fiato la sceneggiatura del film che deve ancora uscire.
Piange. La rabbia si trasforma in amore.
Per Davide si apre la grande occasione. Potrebbe scrivere il suo bestseller. Ludovica lo incoraggia a cercare i files.
Davide abbandona i farmaci. Qui il regista apre diversi quesiti. Bisogna accettare la propria patologia per concedersi al genio creativo? Bisogna abbandonarsi alla follia?
Davide, ad ogni modo, sceglie. Decide di rischiare la follia.
Lascia i farmaci, scrive e conta i passi, prendendo compulsivamente le misure della casa in cui è cresciuto che ora non gli è più ostile.
Lo spettatore ora si attenderebbe di vedere Davide che cerca e ordina files nel computer del padre, invece si trova davanti uno scrittore che con la penna, in totale abbandono e trasandatezza, scrive su fogli bianchi.
Scrive del padre e scrive di sé.
Incontra periodicamente Ludovica per donarle pezzi di libro che racconta essere i files ritrovati.
Intanto partecipa alla prima del film scritto da Achille Bias. Tutti ridono, lui prova rabbia e vergogna per il padre. Alla fine interviene: Non è il padre un cattivo scrittore, ma il regista è stato infedele. Viene cacciato dalla sala. È lo sguardo di Davide o è la verità?
Il figlio però parla alla foto del padre a cui assomiglia sempre più, fiero di averlo difeso.
Finalmente è un figlio degno. Lotta per lui.
La mancanza dei farmaci rende sempre più vulnerabile Davide che perde facilmente il controllo, prima con Ludovica che trasforma da amante del padre in sua fidanzata, difendendola da ipotetici corteggiatori. Viene travolto da manie di persecuzione e allucinazioni che lo rendono rabbioso e aggressivo. Viene chiuso in una clinica psichiatrica.
Il libro è concluso e la vita di Davide è persa, come il suo sguardo, ormai spento e la sua coscienza sempre più alienata. Non parla, si muove lentamente, continua a contare i passi. Verso dove? Qual è ora l’orizzonte di Davide?
Una telefonata: è la madre. La sera ritirerà il premio Strega.
Donna assente con il padre, un po’ distaccata e poco passionale, è così anche con Davide. Durante il ritiro del premio non pronuncia parole in ricordo del figlio, ma solo un elogio del marito che è sempre stato non apprezzato e valorizzato in vita. Il riconoscimento del marito è l’unica sua ambizione.
Davide guarda la televisione senza fierezza, senza gioia. Ormai ha raggiunto la conquista della sua battaglia: fare emergere il padre impotente, fargli vincere un premio sempre negato.
L’impotenza di Davide, vissuta a causa del carattere narcisista del padre, viene superata in una potenza postuma del padre.
Lui però ora è nella clinica, tra persone folli, con la coscienza sedata.
Vengono a fargli visita Ludovica, prima, e la ex fidanzata, poi, ora incinta. Entrambe, contente del premio prestigioso, e forse consce del merito di Davide, vorrebbero farlo uscire dalla clinica. La ex fidanzata gli comunica anche la disponibilità del direttore dell’agenzia letteraria dell’inizio del film a fargli un contratto di edizione.
Davide tace e non manifesta desiderio.
Una domanda della ex: “Pensi che tuo padre avrebbe fatto lo stesso per te?”.
La risposta: “Insieme siamo invincibili”.
La fatica di vivere viene superata nella morte del padre. La frustrazione e la paura nel fare vincere il padre.
Davide ora sta meglio, potrebbe uscire, ma decide di rimanere in clinica. Questa volta ha scelto di mettere a bada il genio per non rischiare nuovamente la follia e per non rischiare la vita. Il padre non c’è più e non può aiutarlo se l’asticella è troppo in alto.
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