Vedremo mai la fine degli ospedali psichiatrici giudiziari?

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25 marzo, 2015 - 13:13

Sarebbe dovuto essere il momento dei bilanci e delle riflessioni e non degli ennesimi annunci. Eppure per la terza volta la notizia si ripete: il prossimo 31 marzo chiuderanno gli ospedali psichiatrici giudiziari. Lo stesso si era detto una prima volta nel 2013 e poi una seconda nel 2014. La comprensibile sensazione di déjà vu è dovuta alle proroghe che hanno rimandato di due anni la fine di queste sei strutture ibride, un po’ carceri e un po’ manicomi, riuscite inspiegabilmente a sopravvivere fino a oggi alla legge Basaglia, alle sentenze della Corte Costituzionale, alla riforma della sanità penitenziaria, alle pesanti critiche del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e all’indignazione dell’ex presidente della Repubblica.

Ora sembra arrivato finalmente il tempo di lasciarsi alle spalle l’autentico orrore di «istituti indegni di un Paese appena civile» denunciato da Giorgio Napolitano nel discorso di fine anno del 2012. Cosa accadrà dal 1° aprile prossimo? Giovanna Del Giudice, psichiatra, presidente della Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo Franco Basaglia (www.confbasaglia.org) e competente del Comitato StopOpg (www.stopopg.it) ci aiuta a tracciare le luci e le ombre di una riforma attesa da tempo.

La vergogna dell’ergastolo bianco

Per prima cosa è necessario sapere chi viene destinato agli Opg in base al nostro codice penale. «Sono le persone che hanno commesso un reato, che sono state considerate, in base a una perizia psichiatrica, incapaci di intendere e di volere e che sono giudicate socialmente pericolose, ossia che possono reiterare lo stesso reato. A costoro la normativa che, è bene ricordarlo, risale al codice fascista Rocco del 1930, riserva un trattamento speciale: le persone sono giudicate per quello che sono, si ritiene che siano, non per quello che hanno fatto», spiega Giovanna Del Giudice.

Ci troviamo di fronte alla cosiddetta "regola del doppio binario": la giustizia prosegue per strade diverse a seconda delle condizione psichiche dell’imputato. E la differenza non è da poco: l’iter “speciale” destinato ai “non imputabili” non prevede alcun processo. E costoro, se riconosciuti pericolosi, sono inviati direttamente agli Opg indipendentemente dalla gravità del reato commesso, anche se hanno rubato venti euro alla nonna, per intenderci.

«In tale percorso - dice Del Giudice - stabilendosi uno stretto nesso causale tra malattia e reato si toglie alla persona la responsabilità delle proprie azioni. La malattia prevale sulla persona che non è più titolare di diritti, che i detenuti invece mantengono. Inoltre va ribadito che il concetto di pericolosità sociale, come la maggior parte dei giuristi e degli psichiatri riconoscono, manca di qualsiasi riscontro scientifico».

Ma le anomalie non finiscono qui. Negli Opg, a differenza delle carceri regolari, si sa quando si entra, ma non si sa quando si esce. E come tutte le eccezioni anche questa ha ricevuto un nome di battesimo: “ergastolo bianco”. La legge stabilisce il minimo della misura di sicurezza, ma non indica il massimo, proprio perché non è possibile indicare in anticipo quando l’individuo smetterà di essere pericoloso. Così vengono disposte perizie ogni sei mesi che possono dilatare all’infinito il tempo di reclusione.

Delle due peculiarità degli Opg, oggi resta in piedi solo la prima. La legge 81 del 2014, che abolisce gli ospedali psichiatrici giudiziari, ha infatti stabilito che il tempo massimo della misura di sicurezza assegnata a chi è incapace di intendere e volere non debba superare la pena massima prevista per il corrispondente reato.

«È un passo avanti, ma non basta», commenta Del Giudice. «Finché infatti il codice penale manterrà uno "statuto speciale” per le persone con disturbo mentale, già peraltro abolito dalla legge 180 che ha sancito il principio che tutti hanno diritto a ricevere uguali trattamenti, la rivoluzione sarà incompiuta. Una vera riforma dovrebbe invece prevedere il diritto a un processo anche per le persone con malattia mentale e il diritto a scontare la pena di una eventuale condanna nel carcere, ricevendo cure adeguate o, nel caso in cui la malattia, come qualsiasi altra malattia, fosse incompatibile con la detenzione, usufruendo di strutture alternative».

Il percorso verso la chiusura

Le mura degli Opg cominciano a sgretolarsi sotto i colpi di due sentenze della Corte Costituzionale (n. 253/2003 e n. 367/2004) che hanno dichiarato incostituzionale non prevedere misure alternative all’internamento, spingendo così i magistrati a individuare, quando possibile, un meno doloroso “piano b”.

Il primo accenno ufficiale alla necessità di liberarsi di quei sei istituti che rappresentano «il peggio del peggio dei manicomi e il peggio del peggio delle galere», come recita il protagonista del toccante film di Francesco Cordio Lo stato della follia, è inserito nella legge che segna il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale (Dpcm 1 aprile 2008). Tutti gli Opg, tranne quello di Barcellona Pozzo di Gotto, vengono allora affidati alle Regioni a cui spetta indicare strategie per il loro superamento.

Ma la grande scossa che prelude al crollo definitivo arriva nel 2010 con il video choc realizzato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul Servizio sanitario nazionale presieduta dall'allora senatore Ignazio Marino.

Questo reportage contribuisce in larga parte all’approvazione della legge 9/2012 per la chiusura degli Opg e della legge 81 del 2014 che introduce alcune modifiche alla precedente.

Dal 1° aprile prossimo gli Opg dovrebbero smettere di esistere, sostituiti dalle contestate Rems (Residenze esecuzione misura di sicurezza) che, come dice il nome, restano comunque strutture di sicurezza.

Cosa accadrà ora?

Restando in vigore il già citato “doppio binario” in effetti grandi novità non possiamo aspettarcele. Non si chiameranno Opg, ma qualcosa di simile dovrà pure essere previsto per coloro che posseggono il fatale tris di combinazioni: hanno commesso un reato, sono incapaci di intendere e volere, sono socialmente pericolosi.

La legge 9/12 e la successiva 81 del 2014, con cui vengono chiusi gli Opg, prevedono la realizzazione su tutto il territorio nazionale di strutture sanitarie residenziali, le Rems, appunto, guardate con sospetto dalle associazioni impegnate nelle campagne per il superamenti degli istituti psichiatrici giudiziari.

«Noi le abbiamo chiamate “mini-opg” perché si fondano sugli stessi principi, mantengono le stesse funzioni, sanciscono la stessa separatezza e segregazione degli Opg», sostiene Del Giudice.

In un primo tempo le Regioni avevano previsto la costituzione di 990 posti nelle Rems, ridotti, anche a seguito delle proteste delle associazioni riunite nella campagna StopOpg, alla metà: 450 posti. «Ma comunque troppi considerato che molti internati degli Opg risultano dimissibili e che i nuovi ingressi, nel rispetto delle sentenze della Corte Costituzionale e della legge 81/14, dovrebbero essere limitati il più possibile», dice Del Giudice.

Veniamo allora ai numeri. Le informazioni più recenti sono contenute nella Relazione al Parlamento dei ministri della Salute e della Giustizia del 2014. Qui si parla di circa 800 persone internate in Opg, più della metà dichiarate dimissibili. Il 40% delle persone non dimissibili vengono ritenute bisognose di cure cliniche, di queste il 16% è considerato socialmente pericoloso.

Per inquadrare il fenomeno in contesto più ampio è necessario riferirci a due dati eloquenti: nelle carceri italiane sono presenti 54 mila detenuti; nel ’78, ai tempi della legge Basaglia, i 76 manicomi ospitavano circa 80 mila persone. È un confronto obbligato per assegnare al problema le giuste dimensioni.

«È evidente che i 990 posti previsti in un primo tempo non hanno ragione d’essere. Considerando inoltre il fatto che negli ultimi anni i servizi territoriali si sono mostrati in grado di prendersi carico di sempre più persone provenienti dagli Opg. Infatti si è passati da 1.400 internati del 2011, ai mille del 2013 e agli 800 attuali. I Dipartimenti di salute mentale hanno individuato per tutti costoro un percorso terapeutico personalizzato che li ha reinseriti nel territorio. Se venissero rafforzati questi strumenti già esistenti si potrebbe fare ancora di più», prosegue Del Giudice.

I timori delle associazioni

La prudenza non è mai troppa. «Nonostante il Governo si sia impegnato a rispettare i tempi previsti, il timore che possa scattare un’ulteriore proroga non ci abbandona. Basti pensare che finora solo quattro Regioni si sono dichiarate pronte per la data indicata. Dal 1° marzo abbiamo quindi avviato uno sciopero della fame a staffetta per mantenere viva l’attenzione sul rispetto della scadenza». Ma a Giovanna Del Giudice, come agli altri componenti del Comitato StopOpg stanno a cuore altre due questioni: che le previste Rems transitorie non si trasformino in definitive e che si limiti l’ingresso in queste strutture rafforzando piuttosto la rete dei servizi territoriali di salute mentale. «Continueremo a impegnarci perché si tratti di istituti provvisori e si operi invece per garantire la presa in carico personalizzata dei soggetti autori di reato, in sinergia con la magistratura. Chiediamo inoltre la nomina di un Commissario governativo che vigili sulla corretta applicazione della legge 81/14, che limiti i nuovi ingressi nelle Rems e promuova la continuazione delle dimissioni».

tratto da healthdesk.it
a cura di Giovanna Dall'Ongaro

 
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