Mente ad arte
Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

Cinema del delirio e delirio nel cinema

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17 aprile, 2015 - 13:01
di Matteo Balestrieri

  Delirio significa uscire (de-) dal solco (-lira), ovverossia de-viare o uscire dal seminato. L’esperienza delirante rappresenta uno stato di coscienza, dove la realtà viene interpretata (con estrema convinzione) in un modo che non è condivisibile dalla maggior parte delle persone, ovverossia non appartiene al “senso comune”.  La definizione di delirio implica quindi un confronto con uno stato di esperienza comune che rappresenta il contrappeso della bilancia che ci permette di misurare l’esperienza del delirio stesso.

  Nel cinema la presenza di deliri è piuttosto frequente, ma non dobbiamo correre il rischio di considerarla presente anche là dove non c’è. Nella settima arte la realtà viene rappresentata secondo alcuni codici convenzionali che definiscono i generi cinematografici (film di avventura, noir, drammatico, erotico, thriller e molti altri). Alcuni di questi generi propongono immagini e storie che sono programmaticamente non reali, ciò che succede ad esempio con i generi di fantascienza (visioni di un immaginario futuro possibile) o fantasy (realtà immaginarie non legate a regole fisiche o a esami di realtà stringenti), se non anche fiabesco (come nei cartoon). Tali generi possono essere definiti come deliranti? In senso stretto forse sì, ma nessuno potrebbe ragionevolmente definirli così, perché si tratta in ogni caso di opere artistiche che richiedono solo di essere accettate come tali, proprio come un qualsiasi dipinto o pezzo musicale. Manca in questi casi il confronto con un’altra realtà “comunemente condivisa”.

  Fatta questa premessa, si può osservare che il gioco del cinema permette sia di rappresentare oggettivamente dall’esterno l’esperienza delirante di uno psicotico che di riprodurne dall’interno le distorsioni mentali così da generare uno stato di perturbazione nello spettatore.
  Tra i protagonisti che esemplificano la prima esperienza vi sono – tra gli altri – Humphrey Bogart di L’ammutinamento del Caine (1954), Jack Nicholson di Shining (1980), François Cluzet di Inferno (1984), Kim Rossi Stuart di Senza pelle (1994) e Piano, solo (2007), Russell Crowe di A Beautiful Mind (2001), Geoffrey Rush di Shine (1996), Ralph Fiennes di Spider (2002) e Jamie Foxx di Il solista (2009). In questi casi il delirio è definito dal confronto dell’esperienza di realtà del malato con quella degli altri protagonisti della vicenda.

  Uno stato di perturbazione più profondo nello spettatore può essere ottenuto attraverso la rappresentazione alternata o giustapposta degli accadimenti così come sono vissuti dal protagonista e come sono effettivamente. Si può ricordare a questo proposito la famosa trilogia di Roman Polanski (Repulsion del 1965, Rosemary’s baby del 1968, L’inquilino del terzo piano del 1976), ma anche Carrie lo sguardo di Satana (1976) di De Palma, La conversazione (1974) di Coppola, Duel (1971) di Spielberg, El (1952) di Buñuel. In Shutter Island (2010) di Scorsese siamo indotti a credere alla storia diegetica per poi accorgerci che la vera storia è un’altra. Analogamente, in Fight Club (1999) il protagonista vive in una dimensione reale parzialmente distorta da uno stato cronico di insonnia, ma poi ci viene rivelato che il suo compagno del cuore è solo frutto di una sua proiezione di istinti aggressivi. Simile è il plot di Secret Window (2004) di David Koepp.


  Ancora, vi sono film in cui è presente, accanto alla distorsione cognitiva del delirio, una dispercezione della realtà, che viene rappresentata visivamente in modo alterato. Alcuni di questi esempi ci vengono dal cinema di Cronenberg (Videodrome del 1983, La Mosca del 1986, Inseparabili del 1988, Il pasto nudo del 1991, solo per citarne alcuni), ma da ricordare vi sono anche alcune scene di trasformazione corporea in Matrix (1999) dei Wachowski. La distorsione può essere dovuta a uno stato alterato della mente, ma più frequentemente è frutto di esperimenti di trasformazione attuati tramite meccanismi o sostanze. Il delirio si sviluppa in parallelo all’esperienza allucinatoria, che assume significati minacciosi rispetto alla propria identità o incolumità.

  Le rappresentazioni dei sogni non possono essere classificate tra quelli caratterizzate da deliri, anche se il sogno è in un certo senso un’esperienza delirante perché produce sensazioni, percezioni e pensieri divergenti dalla realtà. Ma dal sogno si esce e si entra ogni notte e sappiamo che è uno stato fisiologico presente nel sonno REM assolutamente necessario al nostro equilibrio mentale. A volte però anche l’esperienza del sogno attraverso il cinema assume una valenza delirante. Nel film Inception (2010) il plot è costituito da immagini di sogni indotti nei protagonisti. L’aspetto delirante sta nel fatto che gli stessi protagonisti navigano volontariamente all’interno dei loro sogni, condividendoli e muovendosi secondo le regole della vita reale. Sono dentro e fuori dal sogno, in un confronto tra realtà esterna e prodotto mentale che dà la misura del delirio. Allorquando la città di Parigi si ribalta su se stessa e i protagonisti vivono in un mondo che ha un sotto e un sopra equivalenti, sappiamo che questa non è una visione né del futuro né una pura fantasia, ma è un mondo deviante che i protagonisti stanno vivendo.


  Vi sono infine film che mettono in scena le conseguenze di sperimentazioni mentali fantasiose, ma che rimandano a concetti di tipo psicopatologico: è il caso di The Truman Show (1998) di Peter Weir ed Essere John Malkovich (1999) di Spike Jonze. Nel primo film il protagonista vive in un mondo fittizio dove tutti recitano tranne lui stesso. Egli è forzato a credere che la realtà circostante sia vera, ma inizia a sospettare (similmente a quanto accade in una percezione delirante) che questo non corrisponda alla realtà. In Essere John Malkovich la sfida posta allo spettatore è quella di far credere che sia possibile entrare con un tunnel nella testa dell’attore John Malkovich e che egli stesso possa farlo, col risultato di moltiplicare all’infinito homunculi replicanti di se stesso in un gioco infinito di rimandi. Film realizzati per descrivere gli effetti di trasformazioni di stati mentali sono pure La rosa purpurea del Cairo (1985) di Woody Allen e Vero come la finzione (2006) di Marc Forster. In tutti questi film è presente in elevato grado l’elemento ironico e divertente, ciò che rende la narrazione piacevole e piuttosto rilassata.

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