LE MANI IN PASTA
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di Rolando Ciofi

Scuole private di formazione in psicoterapia - la resa dei conti

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24 giugno, 2015 - 20:57
di Rolando Ciofi
A completamento della mia "trilogia d'estate" sulla professione, dopo avere parlato di strategie e di aggiornamento permanente, ecco oggi un pezzo sulle scuole di specializzazione in psicoterapia. Non poteva mancare.

Dopo un quarto di secolo di politica del "cerchiobottismo" da parte delle scuole private di specializzazione in piscoterapia riconosciute ai sensi della legge 56/89 (art 3) siamo oggi a tirare le somme.

Somme tristi, poiché il mercato, senza drammi e senza provvedimenti ad hoc, ne eliminerà, nel prossimo decennio poco meno del 90% rispetto a quelle attualmente esistenti. Peccato, andrà perduta (forse, se non interverrà una repentina svolta nella politica professionale che tali Enti conducono) una parte consistente del patrimonio culturale e scientifico della nostra comunità. D'altra parte come non essere d'accordo con il vecchio adagio "chi è causa del suo mal pianga se stesso"?

Chiedo a chi sia interessato all'argomento, e si sia incuriosito, di seguire questa mia breve riflessione (naturalmente personale, naturalmente fallace, naturalmente contestabile... ma spero tale da stimolare qualche piccolo dibattito).
 
 
Poche le premesse che riassumo per punti:



1. la legge 56/89 (ma soprattutto l'interpretazione della stessa ad opera del Consiglio di Stato) ha consentito il riconoscimento di oltre 300 Istituti privati di formazione in psicoterapia capaci di una offerta formativa di circa 30.000 posti, stima prudente, corrispondenti a circa 7500 specialisti/anno. Offerta assolutamente sovradimensionata e non corrispondente all'effettiva domanda (assai inferiore). Conseguenza ovvia ed attuale la fatica di molte scuole a sostentarsi e dunque, in molti casi, uno scadimento della qualità formativa. Questo il quadro odierno che, come base di partenza già non appare lusinghiero.



2. molte scuole riconosciute di formazione in psicoterapia, vuoi per fronteggiare una domanda proveniente da laureati e diplomati non in possesso del titolo di psicologo, vuoi per motivi inerenti la loro sopravvivenza economica, vuoi per motivi ideologici, hanno attivato, a latere dei loro corsi di formazione riconosciuti dallo Stato, corsi di Counseling. Ma dopo aver formato Counselor non si sono impegnate per sostenere tale figura professionale (che nel frattempo si è dotata di autonome strutture associative). Per molti anni, ed in parte ancora oggi, l'ambiguità delle scuole è stata "Ti formo ma non ti riconosco". Brutta, bruttissima faccenda. Un po' come quei genitori che, per i motivi più disparati, si "vergognano" dei loro figli. Cosa potranno attendersi da tale prole?



3. a un livello "alto" della politica professionale le scuole private di psicoterapia hanno trovato una buona intesa con il mondo accademico della psicologia (primo interesse comune, piuttosto opaco, tenere aperto il mercato, no ai numeri chiusi. Secondo interesse comune, più dicibile e nobile, l'interesse per la ricerca e in taluni casi anche per la qualità della formazione). Inoltre, sempre sullo stesso piano "alto" della politica professionale le scuole, disponendo di un discreto numero di voti sul tavolo elettorale-ordinistico hanno pensato bene di proporre ai "baroni" della professione, ai leader del pubblico impiego, una sorta di patto di non belligeranza. Tutti d'accordo insomma sul fatto che "la legge (56/89) non si tocca". Patto che ha retto sino a quando il vento del cambiamento non ha cominciato a soffiare forte e nella casa ordinistica si è fatta strada l'unica idea in grado di arginarlo, la sanitarizzazione (che significa entrare in un mondo di regole e norme stringenti e dal punto di vista "baronale" protettive)



4.infine il suicidio per miopia. Nulla da eccepire sulla sanitarizzazione della professione "Perchè no? più prestigio per tutti". Solo chi concepisce la politica come piccolo affare "per campare" poteva cadere in un "trappolone" così evidente. Oppure, ma io sono maligno, solo chi già dall'inizio aveva chiaro che sarebbe stato tra quel 10% di predestinati a sopravvivere poteva avere interesse a "seguire l'onda". Del resto il "trappolone" ha catturato tutti (con l'unica eccezione dei soliti rompiscatole del MoPI) e all'AUPI che lo ha pensato, organizzato, sponsorizzato, fatto accettare dall'intera comunità, non si possono che fare, assumendo il suo punto di vista, i complimenti.



Bene, queste le premesse, molto critiche lo ammetto, ma in linea con quanto da me sostenuto da anni. Chiedo però ai miei molti amici dirigenti di scuole di formazione di contestarmi pubblicamente, se ritengano. Non sarebbe male se su questi temi si aprisse con gli allievi, con gli ex allievi, con il mondo del counseling, con lo stesso Ordine professionale, un dibattito franco.



Ma andiamo avanti nel ragionamento: quali saranno le conseguenze della definitiva sanitarizzazione della professione?



Due le principali:



1. Numeri programmati (nelle Università, nelle specializzazioni)

2. Blindatura dell'Ordine (anche una riforma che andasse verso l'abolizione degli Ordini professionali dovrebbe fermarsi o comunque rallentare di fronte alle professioni legali e sanitarie che godono di particolare tutela costituzionale)



Certo, ci saranno poi anche risvolti positivi o comunque non drammatici (per gli specializzandi sarà - forse - prevedibile un compenso a carico dello Stato, tutto il sistema del procedimento disciplinare andrà rivisto e sarà maggiormente autonomo rispetto all'Ordine, nel pubblico impiego il ruolo dello psicologo sarà, almeno in teoria, in tutto e per tutto assimilato a quello del medico, l'aggiornamento permanente, ECM, sarà obbligatorio, come del resto già è, ma senza ulteriori equivoci, per tutti gli iscritti all'Ordine, etc..)

Ma torniamo alle scuole di specializzazione. Numeri programmati significherà per loro che dovranno confrontarsi con l'Università (che ha le proprie scuole di specializzazione) e quando anche qualche scuola privata potesse vincere il "braccio di ferro" che si instaurerà quante potranno mai essere tali scuole? Dire il 10% di quelle esistenti è già fare una stima ampiamente generosa.

Prima di tutto voglio dire con franchezza di non essere favorevole al numero programmato degli accessi alle facoltà di psicologia (e neppure alle scuole di specializzazione) così come non sono favorevole a nessun ostacolo che limiti eccessivamente l'accesso alla professione. Il mio punto di vista è che l'Università debba offrire formazione a tutti coloro che la chiedono (e sono favorevole al 3+2 che amplia questa possibilità) e che analogamente così dovrebbe essere per le scuole di specializzazione. E che compito delle istituzioni che governano la professione debba essere quello di offrire opportunità professionali in una logica accreditatoria (che detto in parole povere significa: va avanti e fa carriera chi costantemente, attraverso meccanismi ostensibili, dimostra di valere, gli altri restano formati, a qualcosa servirà loro, ma rimangono indietro nelle possibilità di carriera).
 
 
Ma ciò che penso io non fa però testo ed è del tutto ininfluente rispetto al principio di realtà. Ed il principio di realtà ci dice con chiarezza che la sanitarizzazione porterà con sé numeri (più o meno) programmati (sui quali certo ci saranno polemiche ma questa è la strada che la comunità professionale ha voluto disegnare).

E quindi le scuole che non siano più che eccellenti e bene "ammanigliate" cosa dovranno fare? Dovranno chiudere? E' il loro ineluttabile destino?

Non è detto. Propongo ai miei lettori interessati all'argomento tre diverse riflessioni.

La prima riguarda il mondo del counseling. La sanitarizzazione della professione di psicologo, è facile prevederlo, avrà come conseguenza collaterale lo sviluppo esponenziale del counseling nel nostro paese. Perchè? La faccio semplice (anche se non lo è). Qualcuno ricorda la griglia di Bion? Si tratta di una specie di vaglio, quanto più la sua trama è sottile accadrà che poche parti selezionate cadranno da una parte e moltissime altre non passando, si accumuleranno dall'altra (mi perdonino i Bioniani doc per la semplificazione). Il mondo "psy" è enorme e non comprimibile, ne fanno parte ad esempio su un versante molto specialistico, anche gli psichiatri... ma quanti altri operatori "psy" esistono per ogni psichiatra? E quanto tempo è passato da quando gli psichiatri pretendevano, anche con azioni legali, di rappresentare tutto questo mondo? La mia tesi insomma è che appiattendo la psicologia sulla medicina si amplieranno gli spazi ove la psicologia non ha nulla a che fare con la medicina. Ma non per questo sparirà. Ne riparleremo tra una decina di anni... e constateremo che per ogni psicologo (sanitario) ci saranno almeno dieci counselor. La pretesa di medicalizzare la relazione di aiuto affidandola ad una categoria in gestione esclusiva oltre che antistorica mi pare francamente irrealistica.

OK. Finito il "predicozzo" ideologico veniamo a qualcosa di più concreto. Qualora le scuole condividessero il fatto che siamo di fronte all'affermarsi dell'era del counseling sbaglierebbero alla grande se pensassero di poter cavalcare l'onda con facilità. Le associazioni professionali di counseling non vedono con simpatia, e hanno ragione, le scuole di specializzazione in psicoterapia. I motivi sono evidenti, la politica di tali scuole da sempre è stata ambigua nei loro confronti, li hanno formati e poi non sostenuti. Giustamente i counselor preferiscono organizzarsi con propri Enti formativi.

Ma un margine, ancora può esserci. Le scuole di psicoterapia possiedono comunque una strumentazione culturale scientifica e metodologica tuttora utile al mondo del counseling, che è ancora giovane e non ha per il momento strutture consolidate. L'Ordine Nazionale degli Psicologi ha ben compreso questo rischio di viraggio delle scuole e ha tentato di arginarlo attraverso l'incattivimento dell'art 21 del codice deontologico, arma peraltro spuntata, inutilizzata ed inutilizzabile... Chi volesse andare a fondo arriverebbe a conclusioni simili a quelle già raggiunte dalla Corte Suprema di Cassazione su temi analoghi... ovvero l'art 21 cozza con principi costituzionali e dunque non è realisticamente applicabile.

Bene. Le scuole dunque posso osare. Ma non basta, come non basta il patrimonio scientifico culturale che possono mettere a disposizione. Occorre una politica coerente con l'approccio a questa visione, una scelta di campo, chi vorrà giocarsi la carta della sanitarizzazione sceglierà inevitabilmente un tipo di politica filoordinistica, chi invece vorrà entrare nel nuovo filone che sta per aprirsi dovrà mostrare un impegno a tutto tondo a favore delle professioni di aiuto non sanitarie. Così facendo le scuole che si avviino con trasparenza in questa direzione potranno riuscire, questa la mia opinione, ad inserirsi in due importanti segmenti:

1. La formazione di counselor non psicologi (secondo i parametri stabiliti dalle varie associazioni professionali di counseling)

2. La formazione di counselor psicologi (secondo gli stessi parametri stabiliti dalle varie associazioni professionali di counseling)

Mentre la logica che informa il punto 1 è intuitiva e non necessita di essere spiegata, quella relativa al punto 2 non lo è altrettanto. Perchè mai uno psicologo iscritto all'Ordine (sanitario) degli psicologi che può tranquillamente esercitare la professione (non regolamentata) di counselor senza nessuna formazione ulteriore rispetto a quella universitaria dovrebbe iscriversi ad una scuola in formazione in counseling?

Per rispondere occorre immaginare un quadro nel quale la formazione in psicoterapia diventerà cosa per pochi eletti (simile e parallela alla attuale specializzazione in psichiatria). Se ben si comprende questo mutamento di scenario che ci attende si comprenderà allora che delle due l'una:

- o l'Ordine Nazionale si dedicherà a favorire la formazione in counseling dei propri iscritti  dando agli stessi un qualche "status" aggiuntivo rispetto alla laurea (e in questo caso le scuole lavoreranno all'interno di un eventuale progetto pensato dall'Ordine)

- o l'Ordine Nazionale lascerà i propri iscritti non psicoterapeuti abbandonati a se stessi e dunque questi avranno bisogno di punti di riferimento che troveranno nelle associazioni professionali di counseling (ed in questo caso le scuole, quelle che sapranno uscire dal "cerchiobottismo" potranno lavorare in collaborazione con tali associazioni)



Siccome la mia fiducia (ma posso naturalmente sbagliarmi) sulla capacità dell'Ordine Nazionale degli Psicologi di disegnare strategie formative articolate per i propri iscritti è pressoché pari a zero, va da sè che se dirigessi una scuola guarderei con maggiore interesse all'associazionismo professionale legato al counseling. Tanto più che, in presenza di una professione sanitarizzata è anche possibile ipotizzare che il numero degli psicologi che si iscriveranno all'Ordine tenderà a diminuire (pensiamo ad esempio a tutti i colleghi che si occupano di psicologia del lavoro o del marketing), mentre tenderà ad aumentare il numero di laureati in psicologia che si iscriveranno alle scuole di counseling.

La seconda riflessione riguarda l'aggiornamento permanente cui sia i counselor che gli psicologi sono tenuti. I primi con loro regole, i secondi attraverso il sistema ECM.

Ora è chiaro che la maggior parte dell'aggiornamento permanente (che coinvolgerà nel nostro settore circa 100.000 addetti) sarà gestito dai grandi provider, quelli che possono disporre, Ordine professionale in primis ma anche provider privati di grandi dimensioni, di risorse adeguate per attivare corsi, residenziali e FAD, di elevata qualità offrendoli a costo zero (come nel caso dell'Ordine) o a costi comunque molto contenuti.

Ma è altrettanto ovvio che rimarrà sempre uno spazio per aggiornamenti di "nicchia", in certo senso condotti artigianalmente, di elevata qualità e specificità. Vogliamo immaginare che questo piccolo segmento possa rappresentare un 20% del totale? Bene stiamo comunque parlando di 20.000 soggetti ai quali proporre, annualmente, circa 50 ore di formazione. Ecco dunque una seconda possibile riconversione.

L'ultima riflessione riguarda le specializzazioni della psicologia diverse dalla psicoterapia. E' un campo tutto da esplorare e ancora non normato dalla legge. Ma pare indubbio il fatto che sarà comunque interesse della psicologia professionale dotarsi di serie specializzazioni in psicologia giuridica, in psicologia dello sport, in pa scolastica, in psicologia geriatrica etc...
Chiudo con un pensiero di sintesi. Una sorta di riepilogo. A mio avviso chi ha diretto e organizzato la politica professionale delle scuole di specializzazione ha pensato, a suo tempo, di cavalcare da una parte l'onda dei riconoscimenti ministeriali e, dall'altra parte, l'onda dell'affermarsi del counseling. Per poter tenere "i piedi in due staffe" ha necessariamente dovuto giocare sull'ambiguità. Da una parte avere buoni rapporti con l'Ordine Nazionale, dall'altra parte lucrare sulle esigenze formative del nuovo mondo dei counselor. Per un po' di tempo è andata bene, o ragionevolmente bene... i mugugni c'erano da entrambe le parti ma non troppo preoccupanti.

A un certo punto però da una parte l'AUPI ha giocato la sua carta, la sanitarizzazione della professione.... e le scuole non hanno capito di cosa si trattasse. Anche i counselor hanno giocato la loro carta, la professionalizzazione attraverso la costituzione di associazioni di categoria credibili, e ancora una volta le scuole non hanno capito di cosa si trattasse.

Oggi, a causa di tali errori di valutazione, la maggior parte delle scuole rischia di scomparire. Ma ancora non è detto. Hanno risorse ed energie utilizzabili. E' finalmente il momento per loro di rendersi conto della situazione e di cambiare linea.
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Commenti

Rolando Ciofi ci offre una utile disamina dello stato di fatto e del percorso sin qui compiuto.. evidenziandone la miopia di fondo. Sottoscrivo.. Per quanto riguarda il richiamo (non evitabile..?) ad una "politica coerente con l'approccio a questa visione, una scelta di campo, chi vorrà giocarsi la carta della sanitarizzazione sceglierà inevitabilmente un tipo di politica filoordinistica, chi invece vorrà entrare nel nuovo filone che sta per aprirsi dovrà mostrare un impegno a tutto tondo a favore delle professioni di aiuto non sanitarie" ... osservo con rammarico che qui sembra configurarsi una ennesima polarizzazione. Dinamica che purtroppo sembra caratterizzare questo nostro Tempo, in cui appare oltremodo difficile disporre di una gamma ampia di posizioni 'frequentabili', quasi che la libertà di scelta e quindi anche la libertà di scegliere dove situarsi non possa prevedere che un ON / OFF...

Giusta osservazione Simonetta... Anche io penso come te. Ho voluto pero' estremizzare con l'intento di mettere nitidamente in luce i termini della questione... per tentare di contribuire al superamento delle troppe ambiguita'. Sul piano della fattualita' sono invece un poco piu' ottimista rispetto a te. Sono convinto che anche in questa epoca radicale le sfumature continuino ad esistere....

ed io credo che occorra combattere perchè le sfumature possano continuare a mantenere la loro - sfumata - identità..!

Da psicoterapeuta libera professionista che si trova di fronte alle difficoltà pressanti della "libertà professionale" posso solo dire che vedo uno scenario sempre più irto di ostacoli. L'Ordine degli Psicologi della mia regione e non solo non vede di buon occhio la formazione dei counselor. Tutto ciò e apertamente ritenuto un business e basta. Certamente, di fronte alle ipotesi di futuro o dentro/o fuori, forse conviene davvero "ambire" anche al titolo di cui sopra? Scherzo ma non troppo. Penso.

No certo, un conto sono i giovani colleghi che devono formarsi che solo in piccolissima parte potranno specializzarsi in psicoterapia (a causa dei "numeri chiusi" che inevitabilmente verranno messi) e che dunque dovranno scegliere altre strade per la loro crescita professionale. Altra questione sono i colleghi già formati e che lavorano come liberi professionisti. Per questi ultimi non cambierà nulla rispetto ad oggi se non il fatto di dovere accumulare 50 crediti ECM ogni anno....


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