DI DIRITTO E DI ROVESCIO
Legge e Giustizia dalla parte dei più fragili
di Emilio Robotti

T.S.O. o il fiume carsico della violenza.

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21 agosto, 2015 - 21:41
di Emilio Robotti

C’è un filo sottile che lega il presente al passato della psichiatria; o forse è più corretto parlare di una tentazione, per sua natura irresistibile, come direbbe O. Wilde (posso resistere a tutto, tranne che alle tentazioni). Un filo che lega la follia e la devianza a vere o presunte esigenze di sicurezza pubblica, che anche dopo la scomparsa dell’istituzione manicomiale non è mai scomparso: come un fiume carsico, scompare sottoterra e poi riaffiora.
Ogni qualvolta accade (con frequenza statisticamente bassissima) che un “folle” commetta un atto violento, si riapre (non solo nei talk show televisivi o nelle conversazioni comuni) il dibattito sulla necessità di rinchiudere i pazienti che vengono, a priori e con nociva generalizzazione, definiti pericolosi. Se la vittima della violenza, con una frequenza statistica ancora inferiore, è un operatore dei servizi di Salute Mentale, allora - anche sulla spinta dell’emozione dei Colleghi della vittima, comprensibilmente colpiti dalla tragedia - il dibattito si sposta sulle misure di sicurezza da assumere a favore degli operatori della Salute Mentale. Così, per impedire atti di violenza dei folli, si chiedono procedure e congegni vari, dalla videosorveglianza a misure equivalenti a quelle antirapine nelle banche, da installare però negli ambulatori dei Servizi Territoriali di Salute Mentale.
Il manicomio, dal punto giuridico ed anche architettonico, l’edificio asilare che rinchiude folli, criminali e vagabondi, non esiste più. Sono altri oggi i pericoli percepiti dai politici “piazzisti”, come li ha definiti il Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, che parlano alla pancia ed al cuore nero della gente: oggi sono i migranti. Il manicomio non c'è più e non ci sono più le sue mura che rinchiudevano i folli ed i vagabondi, che potevano perire nel tentativo di uscire per non morirne; ora le mura materiali e simboliche tengono fuori i migranti, che troppo spesso muoiono, ogni giorno, nel tentativo di entrare, per non morire al di fuori di esse.
La stagione manicomiale è passata, e con essa le sue violenze. Ciò che è rimasto di quella violenza – al tempo, perfettamente legale – è, o dovrebbe essere, il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Giuridicamente il T.S.O. della L. 180 è, o dovrebbe essere, ben diverso dalle pratiche violente manicomiali e comunque dall’antico “ricovero coatto”. Innanzitutto, sappiamo che esso rispetta la riserva di Legge del 2° comma dell’art. 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”)
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (art. 32-35 L. 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale come modificata dalla L. 180/78) è dettagliato, prevede tempi limitati di ricovero, un meccanismo di convalida da parte del Sanitario ed anche un procedimento di opposizione alla misura coercitiva; la Legge indica  in quali reparti ospedalieri debba essere attuato, specifica che deve essere accompagnato da iniziative rivolte  ad assicurare il consenso e la partecipazione da  parte  di  chi  lo subisce; il ricovero coatto viene disciplinato accanto al ricovero volontario per impedire che esso nasconda un ricovero obbligatorio o divenga ricovero perpetuo; esso deve comunque essere attuato nel rispetto della  dignità  della persona e  dei  diritti  civili  e  politici,  compreso,  per  quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e  del  luogo  di cura.
Il T.S.O. in psichiatria rimane, o meglio dovrebbe rimanere, l’ultima spiaggia, l’extrema ratio, l’unica alternativa ad agiti etero od auto aggressivi gravi del paziente; a maggior ragione non dovrebbe esistere, o essere limitatissimo, l’uso dello strumento della contenzione meccanica o farmacologica.
Siamo di fronte (ricovero coatto e/o contenzione) in entrambi i casi a diritti fondamentali della persona, costituzionalmente tutelati (la libertà personale in senso stretto dell’art. 13 Cost., quella di non essere sottoposti a trattamenti sanitari non voluti dell’art. 32), soggetti a riserva di Giurisdizione o di Legge, che possono essere sacrificati, quando la Legge lo consente, solo mediante la ricerca di un delicatissimo equilibrio tra interessi contrari ed opposti in ogni singolo caso specifico.
Alcuni Autori (1) hanno osservato che l’introduzione della L. 180 e la sua rottura con il passato, ovvero la L. Giolitti di ottocentesca impostazione, avevano creato un clima tale tra gli operatori da far ritenere pressoché certa la scomparsa della contenzione in psichiatria, in quanto collegata alla normativa, alla cultura ed alla pratica “manicomiale” ormai cancellata per Legge.
L’abolizione del manicomio non avrebbe che potuto condurre all’emergere ed al rafforzarsi della “buona pratica psichiatrica”, per sua natura non manicomiale, e quindi alla scomparsa naturale della contenzione e del ricovero coatto, grazie alle garanzie della nuova Legge.
Ma le buone pratiche non nascono solamente dalle migliori intenzioni e dalla buona volontà, né possono sbocciare solo da buone leggi. Così la contenzione in psichiatria non è affatto scomparsa, anzi è ampiamente praticata sia in molti Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, sia in strutture residenziali non psichiatriche (2), senza essere regolata come in passato, ai tempi dell’istituzione manicomiale, da leggi specifiche. Si applica il diritto penale: il fatto di legare o comunque di privare della libertà una persona costituisce certamente un comportamento illecito, ma può essere scriminato  in presenza di circostanze che ad esempio configurino lo stato di necessità (art. 54 C.P.) o la legittima difesa (art. 52 C.P.) e quindi, come nel caso del T.S.O., l’esigenza di impedire comportamenti etero o auto aggressivi gravi.
Il T.S.O. e quindi il ricovero coatto, ha una sua normativa specifica, viene ancora ampiamente utilizzato. Però di T.S.O. si muore anche, come accaduto recentemente.
Si muore per l’incapacità - forse - dei Servizi Territoriali di dare risposte efficaci e continuative; si muore – forse - per una concezione burocratica della cura e del T.S.O. stesso che diventa una croce su un modulo, specie per i pazienti “noti agli uffici” come si dice nel gergo giudiziario; si muore forse - per fatalità, per superficialità si muore per una concezione del T.S.O. che, forse, in fondo in fondo, non è così lontana dal vecchio pensiero manicomiale dove non esisteva la persona, ma il folle.
Nella Legge del 1904 il malato di mente è considerato pericoloso per sé e gli altri, quindi è necessario il suo contenimento per garantire la pubblica sicurezza e la moralità pubblica e da ciò la necessità dell'internamento in manicomio: tutti i disturbi mentali sono considerati pericolosi, prevedendosi quindi l’obbligo del ricovero nei casi di pazzia.
La L. 180 rovescia completamente la situazione: prima la persona, la sua dignità, i suoi diritti: perché un folle deve avere meno diritti di un criminale? Il folle è prima una persona (sofferente), poi un paziente, infine, talvolta, come i sani, può essere pericoloso per sé e per gli altri.
Ma se il T.S.O. viene attuato da agenti di Pubblica Sicurezza, come può trattarsi di un intervento sanitario? Quale formazione sanitaria hanno ricevuto gli agenti della Polizia di Stato, i Carabinieri, gli agenti della Polizia Municipale, che sparano al paziente per impedirne la fuga, uccidendolo, come a Sant’Urbano il 29 luglio 2015, o lo sottopongono ad uno strangolamento mortale per fiaccarne la resistenza, come a Torino il 5 agosto 2015?
Quale rispetto della dignità della persona, o della sua stessa vita, può esserci in una gestione sempre più burocratica della procedura che regola il Trattamento Sanitario Obbligatorio?
Il T.S.O. dovrebbe essere, lo ripetiamo, l’estrema ratio. Probabilmente non si potrà mai fare a meno di dover ricorrere, in qualche occasione, ad un trattamento sanitario obbligatorio in Psichiatria, ma certo non c’è bisogno di strumenti che ne consentano un utilizzo ancora più ampliato.
Non c’è bisogno ad esempio di una proposta di Legge che aumenti il numero dei T.S.O. introducendolo specificamente per i pazienti affetti da Disturbi del Comportamento Alimentare (3), certificando in tal modo, tra l’altro, l’impotenza della pratica clinica.
Occorre invece, a decenni di distanza, riprendere il filo della Legge 180 partendo dalla libertà e dalla dignità del paziente e puntando realmente sulla professionalità e sulle buone pratiche, per evitare i T.S.O. e far sì che quando esso sia l’unica soluzione non diventi, come è stato nel caso di Mauro Guerra e Andrea Soldi, ed altri ancora prima di loro, un “mandato di cattura”: come lo ha efficacemente definito Peppe dell’Acqua in un commento alle ultime morti di T.S.O. (4)
 
(1)       Ad es. G. Dondaro “Il problema della legittimità giuridica dell’uso della forza fisica o della contenzione meccanica nei confronti del paziente psichiatrico aggressivo o a rischio suicidario” in Rivista Italiana di Medicina Legale – Fasc. 6/2011.
(2)       G. Dondaro, L. Ferrannini “Contenzione meccanica in psichiatria. Introduzione a focus” Rivista Italiana di Medicina Legale – Fasc. 1/2013.
(3)       Proposta di legge presentata dall’onorevole del Partito Democratico Sara Moretto, per l’introduzione “dell’articolo 34-bis della legge 23 dicembre 1978, n. 833, in materia di accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori per la cura di gravi disturbi del comportamento alimentare” (testo qui)
(4)       Peppe dell’Acqua “I malati psichiatrici non sono criminali da arrestare” Internazionale: ( qui)

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Commenti

Trovo molto opportuno, interessante e utile questo pensiero dell'Avv. Robotti. Si prende troppo sotto gamba la difficoltà operativa del TSO ma ancor più in oblio è la riflessione sulla sua opportunità.

Vi segnalo a questo proposito (allego il link) una petizione che ho avviato per chiedere il ritiro della proposta di Legge dell'Onorevole Sara Moretto, che - evidentemente senza un dibattito scientifico approfondito e senza conoscenze adeguate - chiede la modifica della L.180 e l'introduzione di una sorta di TSO specifico per l'anoressia: come se nel caso di anoressie a gravissima compromissione organica il TSO non fosse già contemplato dalla vigente normativa...
chiaramente una simile proposta non è destinata a diventare Legge, per fortuna (almeno ci auguriamo), ma il solo fatto che si crei un dibattito del genere dovrebbe indurci a pensare quanto poco si conosca nel concreto del TSO, oltre che della psichiatria e della psicopatologia in generale da parte della politica. Ipotizzare che in psichiatria possano esistere disturbi "specifici" (in questo caso l'anoressia) è confondere la psichiatria con la medicina (di cui essa pure fa parte ma differenziandosene al contempo in maniera drastica e non altrimenti assimilabile) in senso organico.

Proporre un TSO per patologie specifiche e NON per soggetti specifici è l'indizio di un errata comprensione della psicopatologia oltre che un errore nell'interpretazione del TSO.

Questo il link alla petizione: https://www.change.org/p/no-a-incremento-trattamenti-sanitari-obbligator...

Mi scuso per non avere visto il commento, se non in questo momento. Concordo con quanto Lei scrive a proposito del DDL sul Tso per i disturbi del Comportamento Alimentare e sull'inopportunità di tale approccio ancor prima della contrarietà allo specifico disegno di Legge, peraltro supportato da alcuni responsabili dei servizi territoriali.

Mi scuso per non avere visto il commento, se non in questo momento. Concordo con quanto Lei scrive a proposito del DDL sul Tso per i disturbi del Comportamento Alimentare e sull'inopportunità di tale approccio ancor prima della contrarietà allo specifico disegno di Legge, peraltro supportato da alcuni responsabili dei servizi territoriali.

E' violenza anche l'abbandono, la mancata presa in carico sulle 24 ore di ogni forma di disagio psichico, l'assenza di assistenza sociale e materiale...
Anzi questa è la peggiore perché dell'omicidio è il mandante, non l'esecutore materiale il vero colpevole, e della crisi è la violenza dell'abbandono per chiusura dei CSM e l'assenza di servizi sulle 24 ore (sanitari psicologici riabilitativi e sociali) ad esasperare quelle condizioni che producono l'emergenza.
Inseguire l'emergenza invece di prevenire il disagio è violenza.
Chiudere nei manicomi privati è violenza.
Lasciare che il giudice condanni ai domiciliari in Rems, ex Opg, o manicomi privati è violenza!

DIRITTO ALLA VITA
http://www.psychiatryonline.it/node/5781
tanto per farmi anche pubblicità!

Una precisazione essenziale è d'obbligo: gli agenti di Pubblica Sicurezza eseguono l'accompagnamento del malato al luogo di cura in esecuzione di una ordinanza del Sindaco. Trattandosi di accompagnamento non capisco quale formazione sanitaria ci debba essere, e comunque noi psichiatri non abbiamo mai avuto alcuna preparazione a come si accompagna in ospedale un paziente contro la sua volontà!
Dalle parole preconcette del collega emerge un odio viscerale o latente verso che è chiamato per lavoro a fare qualcosa di spiacevole. Ce lo dica lui come si fa ad accompagnare al ricovero un ex buttafuori o qualcuno che sa lottare e magari è armato.
Senza polemica, ma per costruire un clima positivo e condiviso.

vorreio sottolineare che nella pratica clinica corrente è MOLTO RARO che un paziente arrivi in Pronto Soccorso con l'ordinanza del Sincado "accanto" ovvero che il suo accompagnamento al ricovero avvenga in stretta osservanza della norma.
Ricordo che nell'anno di stutuzione della Legge Basaglia il Piemonte attuva RIGIDAMENTE il dettato e mi fu raccontato di un paziente di Castelletto d'Orba che si aggirava nell'inverno nudo per i campi distretamente sorvegliato da due Carabineri mentre si attendeva il rientro del Sinaco per la firma dell'Ordinanza senza la quale nulal veniva fatto.
Come ho già scritto nella pratica "normale" è invalso credo ovunque l'uso di "accontentarsi" della Proposta fatta o da un medico di un servizio o spesso dal Medico della Guardia medica per effettuare l'accompagnamento in Ospedale dove poi viene fatta (O MENO) la Convalida. In genere, almeno nell'esperienza ligure che conosco molto bene il paziente viene trasferito in reparto (SPDC) con proposta e convalida in cartella in attesa dell'Ordinanza Sindacale che arriva a ricovero in cordo.
Questo nel mondo reale. A me pare evidente che al di là delle sentenze e del buon senso occorrebbe da un lato chairire la norma in qunato è tecnicamente e clinicamente impossibile e pure MOLTO STUPIDO attuarla rigidamente ovvero aspettatre l'Ordinanza del Sindaco per agire dall'altro satbilire con certezza i compiti da assegnare nella procedura di ricovero obbligatorio.
Per fortuna nopn abbiamo solo ex legionari o ex pugili come pazienti ma certo è che il problema essite e andrebbe affrontato dalle istutuzioni in maniear organica e chiara a partire lo ribadisco dalal definizione del CHI FA COSA anche in termini di ageguata formazione proprio in vista delal sicurezza sia del paziente che degli operatori coinvolti

Il tema è piuttosto ampio, e senz'altro non va affrontato sulla base dell'episodio positivo o negativo più recente: questi possono essere solo degli spunti. Mi riprometto di ritornarci, spero sulla base di un dibattito ancor più approfondito su queste pagine.
Comunque, non posso che confermare che - a mio avviso - l'aspetto centrale della questione sia la dignità del paziente, peraltro pienamente riconosciuta dalla normativa attuale. La norma è certamente perfettibile, può essere che sia di difficile applicazione e magari proprio per questo disattesa nella pratica, come osserva giustamente Francesco Bollorino. Ma qualsiasi norma di garanzia presenta delle difficoltà applicative, non solo quella relativa al TSO perfezioniamo pure, ma qualche difficoltà rimarrà sempre; l'alternativa è lasciare tutto e soltanto alla responsabilità del medico, ma questo in passato (nemmeno troppo recente) non è stato sufficiente, e mi pare gli stessi medici oggi temano un ampliamento della propria responsabilità.
Mi paiono utili alcune sollecitazioni che mi sono venute dal Collega ed amico Andrea Trucchi, il quale dopo la lettura dell'articolo osservava:
Può essere efficacemente prevista da una norma (e in che modo?) la necessità che l'operatore sanitario chiamato ad intervenire per la esecuzione di un TSO sia tenuto ad instaurare una relazione col paziente che tenga conto dell'angoscia lacerante vissuta da quest'ultimo in quei momenti? In che modo operare una valutazione del suo operato?
E ancora: è sufficiente invocare cambiamenti solo normativi tali da far credere,una volta di più ai cittadini che dai diritti sbandierati più che dalla coscienza di un popolo dipenda la dignità della persona?.
(to be continued)

Caro Dottore, ho accennato a "buone pratiche" in psichiatria, ma si possono e debbono avere anche in ambito Pubblica Sicurezza: in alcune città come Milano, mi risulta che i TSO vengano ad esempio effettuati da un nucleo specializzato di agenti di Polizia municipale e non dai primi in turno in quel momento: non è forse sufficiente, ma è già qualcosa. In ogni caso, credo Lei concordi con me nel dire che effettuare l'arresto di un criminale è cosa ben diversa dall'effettuare un trattamento sanitario coatto, ricovero compreso. A mio parere, l'intervento degli agenti di pubblica sicurezza dovrebbe essere evitato per quanto possibile, anche se fisicamente presenti; comunque, questi dovrebbero sapere come agire insieme agli operatori sanitari per fare il TSO. Strangolare o sparare, come negli esempi che ho citato, non credo debba fare parte del bagaglio degli agenti di pubblica sicurezza, e tantomeno dei sanitari, che effettuano il TSO: casi simili possono e debbono essere oggetto del diritto penale, non dell'intervento sanitario psichiatrico.
Un operatore sanitario - Psichiatra in primis - dovrebbe cercare di gestire la situazione senza far intervenire le manette; un agente di Pubblica sicurezza dovrebbe sapersi porre in modo tale da non incrementare l'aggressività del paziente e permettere al clinico di fare il suo lavoro, intervenendo se, e solo se, assolutamente necessario.
In ogni caso, lo scopo del mio articolo è proprio quello di suscitare un dibattito, quindi La ringrazio per il suo intervento e La invito anzi ad approfondire la Sua critica.


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