REMS CASTIGLIONE DELLE STIVIERE: gli antenati di una organizzazione per diagnosi

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23 novembre, 2015 - 00:20

Come risulta dal sito dell’Azienda ospedaliera  “Carlo Poma”, l’ambito di operatività prioritario  delle REMS (area OPG) di Castiglione delle Stiviere è incentrato, oltre che su obblighi di sorveglianza e custodia, su modalità integrate di trattamento tipiche di una struttura a prevalente lungodegenzialità con approccio riabilitativo psichiatrico e rieducazionale (attività clinica - psichiatrica), fornisce elementi utili di giudizio inerenti la condizione di pericolosità sociale derivante da malattia mentale (attività psichiatrico-forense e criminologica).

In applicazione della DGR n. X/3274 del 16/03/2015 alla struttura di Castiglione delle Stiviere sono state attribuite, in via transitoria,  8 strutture definite REMS Provvisorie per favorire il completamento del processo di riassegnazione dei pazienti alle REMS di pertinenza territoriale. Successivamente saranno attivate 6 REMS che gestiranno 120 posti letto.

La Direzione Medica, in accordo con Regione Lombardia,  (Direzione Generale Salute – UO Programmazione e governo dei servizi sanitari – Struttura politiche sanitarie territoriali e salute mentale) ha presentato un progetto costituito da 8 REMS Provvisorie  differenziate per funzioni e intensità di cura e precisamente:
- REMS Osservazione e valutazione
REMS Psicosi – disturbi di personalità cluster A (1^ unità)
REMS Psicosi – disturbi di personalità cluster A (2^ unità)
REMS Disturbi di personalità cluster B
REMS Long term patient care - disturbi organici e ritardi mentali
REMS Disturbi da abuso
REMS Area femminile alta intensità assistenziale
REMS Area femminile media intensità assistenziale
 
In epoca manicomiale ha sempre avuto una sua rilevanza  la questione di quale organizzazione ottimale dell’assistenza psichiatrica dopo la fase dell’osservazione, se per gruppi diagnostici o per i comportamenti delle persone degenti. Ne è documento quanto sostenuto da Silvio Brambilla[1], direttore della casa di cura privata “Ville Turro” di Milano  nel suo intervento sul tema Organizzazione di un reparto psichiatrico aperto[2] al Symposium organizzato nel settembre 1960 dal prof. Leonardo Ancona dell’Università Cattolica di Milano. Nel 1960 si era cominciato a discutere seriamente in Italia del come riformare l’assistenza psichiatrica manicomiale e questa era la proposta di Brambilla maturata sulla base della sua esperienza.

Egli, dopo aver esaltato “il senso, il valore e il contenuto della legge del 1904 e del regolamento che provvedono alla assistenza del malato mentale”,  affermava che “grazie alle moderne terapie ed ai nuovi concetti psicoterapici”  non aveva più senso la distinzione fra ospedale aperto e ospedale chiuso perché “l’ospedale psichiatrico deve essere nell’insieme tutto aperto ed avere soltanto alcuni reparti chiusi cui debbono accedere gli ammalati unicamente secondo un criterio clinico” e auspicava una “migliore e più umana vita negli ospedali psichiatrici, creando più sereni e più intensi scambi tra ospedale e mondo esterno “.

Un primo passo da compiere era quello di “creare reparti o ospedali anche amministrativamente specializzati per l’assistenza delle singole forme mentali: per esempio delle forme senili, degli epilettici, dei frenastenici minori o adulti educabili, o comunque adattabili a una ergoterapia di tipo anche industriale, degli alcoolisti (in colonie specializzate il cui accesso nei casi plurirecidivanti dovrebbe essere regolato dal magistrato), per i psicopatici antisociali da assistere e riabilitare mediante apposite psicoterapie ecc.

Questo  per ovvi motivi di organizzazione della terapia e dell’assistenza dei suddetti malati”. E proseguiva:
“Organizzare dunque un reparto psichiatrico aperto vuole dire per prima cosa distinguere e suddividere: perché ogni singolo reparto vuole una sua assistenza specializzata che sarà ben diversa, per esempio, da quella dei senili e da quella degli psicopatici antisociali, a cominciare dalla figura del medico preposto, degli assistenti e infine del personale che deve essere scelto con criteri psicologici di particolare adattabilità. È inteso che il criterio di distinzione delle singole unità terapeutiche non è solo quello nosografico ma deve rispondere anche a un criterio di uniformità di comportamento esteriore, di livello sociale e di grado di cultura, di cronicità o meno della forma, di possibilità o meno di rapporto col rimanente della società e col lavoro”. (…) Facilmente immaginabili sono i criteri organizzativi applicabili nella condotta dei singoli reparti aperti a seconda dei soggetti ospitati. Non è che un problema di iniziativa, di estro, di disponibilità di mezzi: dal lavoro agli svaghi singoli o collettivi, alle sortite organizzate (viaggi, spettacoli pubblici ecc.)”.

Ma, raccomandava, nel reparto aperto dovevano poter entrare e sostare “ persone estranee, normali e cioè parenti, amici, accompagnatori” “con enorme vantaggio per la terapia d’ambiente”, non ultimo quello di vincere l’ostilità e i preconcetti” (del pubblico). E concludeva:
“Naturalmente ciò è possibile nei reparti aperti e tranquilli: ma non è escluso che si possano fare esperimenti del genere anche per i malati mentali gravi e nei reparti chiusi. Nessuna terapia di lavoro, nessuna occupazione imposta più o meno attivamente, nessuna opera distensiva o ricreativa può forse superare in valore terapeutico quel senso di vivo, di vivace, di cordiale, di distensivo che viene portato dal di fuori tramite i parenti o gli amici, naturalmente ben guidati ed assistiti e previamente selezionati. (…) Se c’è una vera padrona di casa, una hostess nel senso letterale della parola che sappia intelligentemente guidare la sua équipe di infermieri, che sappia unire una perfetta educazione, «grazia» nella persona e nei tratti, un perfetto stile, un naturale senso materno e molta bontà, essa può rappresentare veramente lo strumento più efficace nella terapia di ambiente: e tutto questo sia detto con buona pace di tutte le scuole psicologo terapiche e di tutti i corsi di specializzazione aziendale”.

Le vicende dell’assistenza psichiatrica italiana, come noto, presero un’altra strada. Dopo il 1978, con la scelta della chiusura dei manicomi pubblici e dell’apertura di servizi di psichiatria comunità, fu in particolare il prof. Cassano di Pisa a contestare l’assetto dei  Dipartimenti di salute mentale italiani, accusati di essere “generici”, poco qualificati  scientificamente, poco “specializzati”  e aggiornati sulla clinica, “ignoranti” e quindi poco attrezzati a trattare con efficacia le diverse patologie psichiatriche.
 
Luigi Benevelli
 
Mantova, 18 novembre 2015



[1] Silvio Brambilla, psichiatra della scuola milanese di Carlo Besta, membro del gruppo attivo attorno a Luisa Gianferrari (1890-1977) che aveva fondato nel 1940 il Centro studi di genetica umana ed eugenetica di Milano, rese con chiarezza le finalità e il senso della ricerca e della “psichiatria coloniale” nell’Impero fascista nel suo articolo Rilievi psicopatologici nelle   popolazioni dell' Impero. Pensiero  arcaico-primitivo  e  malattia mentale,  pubblicato in « Archivio di antropologia criminale, psichiatria e medicina legale », 1941. Era intervenuto ancora sui Problemi di psichiatria di razza  nel numero della «Rivista di Biologia» in onore del prof. Osvaldo Polimanti , fisiologo, preside della Facoltà di medicina di Perugia e pro rettore della stessa università.
[2] In L. Ancona, Dinamismi mentali normali e patologici, Atti Symposium sui rapporti fra psicologia e psichiatria, Passo della Mendola, 1 1-15 settembre 1960, Milano, 1962, pp. 302-305.
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