GALASSIA FREUD
Materiali sulla psicoanalisi apparsi sui media
di Luca Ribolini

Agosto 2016 I - Visioni e violenza

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21 agosto, 2016 - 09:13
di Luca Ribolini

PER FERMARE LA VIOLENZA SULLE DONNE BISOGNA EDUCARE GLI UOMINI

di Christian Raimo, internazionale.it, 1 agosto 2016
Gli uomini picchiano le donne, spesso le pestano a sangue, alle volte le uccidono. Ogni tanto c’è un caso che sembra più disumano e per questo più esemplare: uno che tenta di bruciare viva la fidanzata che l’ha lasciato, un altro che ammazza insieme alla compagna i figli piccoli. A ondate sui giornali si riparla di femminicidio, o di allarme femminicidio; per il resto del tempo il conto delle morti continua regolare: negli ultimi mesi un tizio a Modena ha strangolato la sua ex e poi ha nascosto il cadavere nel frigorifero in cantina, a Novara un altro ha accoltellato a morte la moglie in strada, a Pavia un infermiere ha sparato alla moglie e alla figlia dodicenne. Quasi sempre gli uomini non accettavano la fine della relazione. Lo stigma astratto su questi uomini violenti è speculare all’incapacità di ragionare sulle motivazioni dei loro gesti e di agire di conseguenza. Negli anni recenti non sono mancate campagne sociali e addirittura una legge ad hoc sul femminicidio, ma il risultato è che nel dibattito pubblico si è verificato spesso un semplice rovesciamento: dalla minimizzazione si è passati a fasi alterne all’emergenza. La violenza degli uomini prima era invisibile, poi è mostrificata: una riflessione laica su come intervenire efficacemente è sempre laterale, una politica d’intervento sociale sui maschi violenti è difficile da programmare.
Eppure, per fortuna, qualcosa si è mosso in questi ultimi anni. Sul sito della rivista inGenere si trova un elenco – indicativo, anche se non aggiornato – dei centri che in Italia si occupano di maschi maltrattanti: tre anni fa erano una quindicina, oggi sono più di trenta, sparsi a macchia di leopardo ma con significative differenze (a sud di Roma non c’è praticamente nulla). Il ruolo di questi centri è cruciale. Giorgia Serughetti lo scrive chiaramente in un articolo con molti riferimenti intitolato Smettere si può:
“La recidiva degli autori di violenza è straordinariamente alta: più di otto uomini su dieci rischiano di tornare a commettere gli stessi reati, se non interviene nel mezzo qualcosa o qualcuno. Ovvero se non sono presi in carico da un servizio o un centro d’ascolto per uomini maltrattanti”.
Segue qui:
http://www.internazionale.it/opinione/christian-raimo/2016/08/01/femminicidio-violenza-donne-educare-uomini

ANCORA MALTRATTAMENTI INFANTILI. A giudicare dalla frequenza di questi episodi, dobbiamo pensare a quanta fragilità emotiva vi sia negli adulti che sono preposti ai processi educativi

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 3 agosto 2016
A Milano l’ennesimo caso di maltrattamento infantile in un asilo nido dove il sito riporta «…uno staff educativo altamente qualificato ed esclusivamente dedicato alla cura dei bambini…» Accade ancora. Purtroppo. Il maltrattamento si realizza e si sviluppa con troppa frequenza. Si esprime proprio quando il compito di accudimento e di cura richiederebbe particolare attenzione, professionale amorevolezza, ma soprattutto autentico rispetto del bambino e dei suoi diritti. E allora la prima cosa che ci accade di pensare è che quegli operatori che falliscono il loro mandato, quegli insegnanti che si rivelano incapaci di fare il difficile mestiere dell’educatore, li giudichiamo impreparati. Con le maestre siamo ancora più severi, perché nell’immaginario collettivo le femmine ce le figuriamo per natura dotate di competenze educative.
Segue qui:
http://www.ladigetto.it/permalink/56572.html

SALOMÉ, AUTOBIOGRAFIA SENZA AMORE E SENZA DIO, FRA NIETZSCHE E FREUD

di Gennaro Malgieri, blitzquotidiano.it, 3 agosto 2016
Salomé, una donna “fatale” che ha attraversato come una folgore la cultura europea tra la seconda metà dell’Ottocento ed i primi trent’anni del Novecento. Lou Salomé (1861-1937), musa ispiratrice, seduttrice vorace, intellettuale raffinata, ammaliatrice di uomini e donne ha legato il suo nome, la sua vita, la sua storia e le sue esperienze intellettuali a coloro che, per ragioni diverse, entrarono in contatto con lei, l’amarono, la odiarono, la desiderarono, si lasciarono soggiogare della sua bellezza e dalla sua raffinata intelligenza.
Friedrich Nietzsche, primo fra tutti, è più di tutti, amato/detestato, cercato/ripudiato, blandito/allontanato. Ammirato, comunque, platealmente ed inconsciamente. Ma l’inappagato amore tra i due restò e resta un enigma che neppure Freud, altro nume soggiogato dalla bella ed ammaliatrice russa-tedesca, riuscì a decifrare. E poi tanti altri, tra amore carnale e spirituale, si contesero brandelli della sua anima, del suo corpo e del suo pensiero, da Paul Rée a Friedrich Carl Andreas, il solo legittimo marito, a Rainer Maria Rilke con il quale il furore dei sensi ebbe la sua più piena esplosione, a molti altri “minori” che le diedero affetto sensuale ed intellettuale cui lei corrispose talvolta con generosità, talaltro con cinismo.
Ma è innegabile, comunque la sia voglia leggere, che la vicenda umana di Lou fu strepitosa, vitalissima, annichilente per coloro i quali se invaghirono pur sapendo di non essere corrisposti. Negli uomini cercò il segreto della loro intelligenza, come peraltro nelle molte donne che le furono amiche, ma in qualcuno in particolare tentò, forse senza riuscirci a appieno, di penetrare i recessi più inaccessibili del loro spirito. Il rapporto con Nietzsche fu di questa specie. E lo si comprende centellinando le pagine della sua autobiografia che Castelvecchi ha meritoriamente rimandato in libreria, dopo decenni dalla prima edizione italiana.
Segue qui:
http://www.blitzquotidiano.it/libri/libro-del-giorno/salome-autobiografia-senza-amore-e-senza-dio-fra-nietzsche-e-freud-2521370/

DIO AMA LE DONNE. Le donne sorridono alla vita, alla morte, perfino al nulla. Basta osservare un filmino porno

di Umberto Silva, ilfoglio.it, 3 agosto 2016
Il Papa cammina per Auschwitz cercando Dio. Si ha l’impressione che non lo trovi, né lì né altrove, e per quanto s’inginocchi e preghi, Dio non gli appare. Alle sue spalle guardie del corpo con occhiali neri sono pronte a proteggere Sua Santità dai diavoli sempre in agguato, ma nemmeno loro sanno dove sia Dio. Che stia nei cieli ormai pare cosa un po’ sorpassata, che stia nei cuori va bene ma i cuori di chi, e a che pro? Papa Francesco naturalmente lo sa ma non lo dice, allora lo dico io: Dio sta dove c’è una donna. Ho conosciuto uomini intelligenti, simpatici e generosi, però c’è sempre la punta di un qualcosa di stonato che emerge in un certo momento della conversazione, a riprova che anche i migliori possono irrigidirsi in un briciolo di superbia. Nessuno è perfetto, d’accordo, ma guai pensare di esserlo.
Neppure le donne sono perfette, grazie al cielo, eppure in qualche modo lo sono, perché fin da subito in mille graziosissimi modi mostrano la propria imperfezione e umilmente accettano d’essere nate, e questo è un segno di grandezza di contro la miseria della maschia arroganza. Tra le donne può esservi di tutto, anche la ferocia e il calcolo, nonché una sublime stronzaggine, ma c’è sempre un qualcosa che le assolve: l’essere donne, per l’appunto. In ciascuna di loro c’è un desiderio che le avvicina a Dio, quel sorridere paziente e tuttavia mai rassegnato all’arroganza del maschio, quell’intenderne la colpa senza colpevolizzarla ma cercando con grazia di portarla su più simpatici binari. Un sorriso anche per sé, sempre pronte a lasciare il mondo, senza rancore. L’accettazione che hanno della morte, il lavorare fino all’ultimo per i mariti e i figli, si chiama amore, e Dio è amore.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/08/03/dio-ama-le-donne___1-vr-145390-rubriche_c336.htm

 

NATALIA GINZBURG, LA LUCE DAL POZZO OSCURO. «Un’assenza. Racconti, memorie, cronache 1933-1988» una raccolta della scrittrice italiana a cura di Domenico Scarpa che ha scelto di titolarla come il primo dei racconti autoriali datato luglio 1933

di Graziella Pulce, ilmanifesto.info, 3 agosto 2016
Datato «luglio 1933», Un’assenza è per dichiarazione autoriale il primo racconto portato a compimento dalla diciassettenne Natalia Ginzburg dopo vari tentativi. Ed è questo il titolo che il curatore Domenico Scarpa ha dato al volume Un’assenza. Racconti, memorie, cronache 1933-1988 (Einaudi, pp. 366, euro 18) nel quale vengono riuniti una quarantina di pezzi, per la maggior parte sparsi e mai raccolti prima, con inediti: il racconto Tradimento, la prima versione 1933 di Settembre e il frammento Nel pomeriggio del 9 settembre; inediti anche alcuni corposi e interessantissimi stralci di scritti riportati nella postfazione.
Le due sezioni, «Racconti» e «Memorie e cronache», sono seguite da un’Appendice che include due testi inediti di Rocco Scotellaro sulla Ginzburg e la nota lettera scritta da Alba de Céspedes all’autrice in risposta all’articolo Discorso sulle donne (1948), anch’esso qui ricompreso. L’edizione si presenta arricchita di preziose note ai testi che indirizzano il lettore ad una puntuale contestualizzazione dei pezzi.
I soggetti sono vari e sono inanellati da un elemento comune: la volontà di memoria come espressione di determinazione etica. Molte di queste memorie nascono come inchieste, reportage, interventi militanti sulla condizione femminile, sulla vita degli operai nelle fabbriche torinesi, sul mondo contadino. «Fu la prima donna moderna che io conobbi il ’47, umana e spregiudicata, sensibilissima e dura, animalesca e provocante, ma anche tenuta dentro il corpo da un fascino agli occhi, al volto».
Segue qui:
http://ilmanifesto.info/natalia-ginzburg-la-luce-dal-pozzo-oscuro/

 

“MUSULMANI FRANCESI CONTRO IL TERRORE. TRANNE QUANDO TOCCA AGLI EBREI”. Nell’appello anti terrorismo non ci sono Hyper Cacher e Tolosa: “Getta luce sulle tracce di antisemitismo nel Corano”

di Giulio Meotti, ilfoglio.it, 3 agosto 2016
Dopo la manifestazione ecumenica nelle chiese, leader e intellettuali musulmani di Francia hanno pubblicato un appello sul Journal du Dimanche sotto il titolo: “Noi, musulmani francesi, siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità”. I firmatari islamici elencano cinque attacchi terroristici: Charlie Hebdo, il 13 novembre, l’omicidio di due agenti di polizia a giugno, Nizza e l’attacco alla chiesa in Normandia. Non si fa riferimento né all’assassinio di quattro ebrei al supermercato kosher di Parigi né all’esecuzione di tre bambini e un rabbino a Tolosa. “Se siete pronti ad assumervi le vostre responsabilità, avete iniziato male”, denuncia Robert Ejnes, il direttore esecutivo dell’Unione delle comunità ebraiche francesi. Una omissione che non sorprende Daniel Sibony, scrittore, psicoanalista e filosofo, autore del libro appena uscito “Islam, phobie, culpabilité”, edizioni Odile Jacob. “E’ una dimenticanza molto significativa, un vero lapsus che riconosce l’odio antiebraico conficcato nel cuore dell’identità islamica, nel suo testo fondatore, il Corano”, dice Sibony al Foglio. “Tutti coloro che sono cresciuti in questa cultura hanno memorizzato versetti del Corano pieni di vendetta nei confronti degli ebrei”.
Continua Daniel Sibony nell’intervista al Foglio: “Il Corano maledice gli ebrei perché il Dio che l’ha dettato non ha potuto fare altro che copiare la Bibbia ebraica accusando gli scribi che l’hanno scritta di averla falsata, di non aver annunciato per nome l’arrivo di Maometto. E’ questo schema che condiziona il rifiuto istintivo degli ebrei presso gli autori di questo appello e presso la maggior parte dei musulmani. Non è che vivano questa vendetta in ogni istante, possono anche dimenticarla quando si accompagnano con degli ebrei, ma questa non li lascia mai nei momenti decisivi nei quali loro ‘prendono posizione’; questa si esprime attraverso di loro, anche senza che se ne accorgano, anche tramite dei silenzi”. Altro fatto eloquente: “Esperti musulmani sottolineano che nell’attentato di Nizza c’è stata una novità terribile: per la prima volta si sono uccisi dei bambini. Dimenticano l’attentato di Tolosa contro una scuola ebraica, dove tutti hanno visto in televisione questo bravo islamista trascinare per i capelli una bambinetta prima di piantarle un proiettile in testa. Ma non era una bambina, era un’ebrea”.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/08/03/musulmani-francesi-contro-il-terrore-antisemitismo___1-v-145408-rubriche_c152.htm 

SE VIENE FRAINTESO IL MISTERO DELL’AMORE

di Giuseppe Frangi, ecodibergamo.it, 4 agosto 2016
Sono 60 dall’inizio dell’anno. Sessanta donne uccise dai rispettivi partner che non hanno accettato il fatto di vedersi rifiutati. Sessanta donne uccise con i modi a volte più barbari e selvaggi come è accaduto a Vania Vannucchi, l’infermiera di Lucca, morta ieri dopo che il suo pretendente le aveva gettato addosso una tanica di benzina e le aveva dato fuoco. Cosa si nasconde dietro il ripetersi così frequente di questi terribili soprusi nei confronti delle donne? Mercoledì il presidente del Senato Pietro Grasso ha commentato con parole di una durezza inedita l’omicidio di Lucca.
«Spero che non si usino più, raccontando queste storie, termini ambigui e giustificatori come raptus, gelosia, disagio, rifiuto», ha detto. «Sono solo squallidi criminali e schifosi assassini». In effetti davanti a questa tipologia di delitti si è portati all’inizio a provare una senso di orrore e ad avere reazioni di sdegno; poi con il passare dei giorni lo sdegno si allenta e si inizia a prestare attenzione ad elementi e a dettagli che in qualche modo pretendono di spiegare come si sia potuti arrivare a compiere simili gesti. Le parole drastiche di Grasso vogliono farla finita in qualche modo a questo tipo di approccio. E togliere così ogni alibi, per tornare a quella che è la realtà di una prepotenza maschile che sconfina nella bestialità. Ha detto Giulia Buongiorno, avvocato penalista e fondatrice di Doppia difesa, associazione contro la violenza di genere fondata con Michelle Hunziker, che sino a pochi decenni fa esisteva l’attenuante per delitto d’onore, e oggi bisognerebbe al contrario inserire nel codice penale «l’aggravante per delitto d’onore» per quegli uomini che commettono un delitto non accettando di ricevere un rifiuto da una donna. Perché ha detto l’avvocato, bisogna entrare nell’ordine di idee che un fenomeno questo può essere arginato.
Segue qui:
http://www.ecodibergamo.it/stories/Editoriale/se-viene-fraintesoil-mistero-dellamore_1195606_11/ 

BAUMAN: “ATTENTI AI POLITICI CHE FANNO DEI NOSTRI SENTIMENTI UNO STRUMENTO DI POTERE”. Il filosofo: “Succede che i legami si frantumano, che lo spirito di solidarietà si indebolisce, che la separazione e l’isolamento prendono il posto di dialogo e cooperazione”

di Guido Azzolini, repubblica.it, 5 agosto 2016
Professor Bauman, sono passati dieci anni da quando scrisse “Paura liquida” (Laterza). Che cos’è cambiato da allora?
“La paura è ancora il sentimento prevalente del nostro tempo. Ma bisogna innanzitutto intendersi su quale tipo di paura sia. Molto simile all’ansia, a un’incessante e pervasiva sensazione di allarme, è una paura multiforme, esasperante nella sua vaghezza. È una paura difficile da afferrare e perciò difficile da combattere, che può scalfire anche i momenti più insignificanti della vita quotidiana e intacca quasi ogni strato della convivenza”.
Per il filosofo e psicoanalista argentino Miguel Benasayag, la nostra è l’epoca delle “passioni tristi”. Che cosa succede quando la paura abbraccia la sfiducia?
“Succede che i legami umani si frantumano, che lo spirito di solidarietà si indebolisce, che la separazione e l’isolamento prendono il posto del dialogo e della cooperazione. Dalla famiglia al vicinato, dal luogo di lavoro alla città, non c’è ambiente che rimanga ospitale. Si instaura un’atmosfera cupa, in cui ciascuno nutre sospetti su chi gli sta accanto ed è a sua volta vittima dei sospetti altrui. In questo clima di esasperata diffidenza basta poco perché l’altro sia percepito come un potenziale nemico: sarà ritenuto colpevole fino a prova contraria”.
Segue qui:
http://www.repubblica.it/cultura/2016/08/05/news/bauman_attenti_ai_politici_che_fanno_dei_nostri_sentimenti_uno_strumento_di_potere_-145400998/ 

COSÌ SOFIA CURA LA FERITA ORIGINARIA

di Bianca Garavelli, avvenire.it, 5 agosto 2016
Il “potere coesivo della narrazione” può avere un ruolo efficace nella vita di tutti noi, quando un trauma ha provocato una scissione, una frattura dolorosa, proprio come avviene a certi protagonisti di romanzi famosi, che dalle loro tragiche divisioni riescono a salvarsi grazie a qualche altro personaggio in grado di ricostruire l’unità distrutta. Così come lo sguardo limpido della poesia, che segue i percorsi della parte intuitiva della mente, lasciando da parte il lato logico-razionale, arriva alle profondità più remote del nostro essere, là dove non ci sono divisioni, ma un’unità originaria che è il fondamento della nostra stessa vita. Carla Stroppa, psicanalista junghiana innamorata della scrittura, in cui vede capacità curative straordinarie oltre che qualità culturali ed estetiche, continua con questo nuovo, ricchissimo libro, Il doppio sguardo di Sofia. L’eterno femminino e il diavolo, nella vita e nella letteratura (Moretti & Vitali, pagine 290, euro 20,00), il suo percorso in cerca di analogie fra la riflessione psicanalitica e quella letteraria, con risultati sostanziosi e suggestivi. Dopo la “caccia ai fantasmi” della psiche che ci costringono ad agire contro ogni logica e ogni volontà razionale, analizzati in Fantasmi all’opera (Moretti & Vitali), la psicanalista studiosa di letteratura crea una sorta di ambizioso affresco complessivo, che mescola in modo armonioso una visione del mondo di matrice analitica e una lettura pregnante di alcuni miti che si perdono nella notte dei tempi, accanto a figure della letteratura occidentale, da quella classica, con il mito di Ulisse e delle Sirene e l’Asino d’oro di Apuleio, al Romanticismo, con l’inquietante Carmilla di Le Fanu, fino ai giorni nostri, con Shoko, donna ‘diabolica’ in quanto rivelatrice dell’ombra, del romanzo Light stone di Paolo Lagazzi (Passigli).
Segue qui:
http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/SOFIA-.aspx 

IL DESERTO DEI TARTARI. LA FORTEZZA

di Pietro Barbetta, doppiozero.com, 5 agosto 2016
Abbiamo affidato ai nostri autori la lettura di un classico che non conoscevano, da leggere come se fosse fresco di stampa.
Il deserto dei tartari è un romanzo di Dino Buzzati pubblicato nel 1940. Racconta la vita di Giovanni Drogo, ufficiale dell’esercito di un paese che, così com’è descritto nel romanzo, somiglia all’Italia della prima metà del Novecento; tuttavia confina con un grande deserto. In fondo a questo deserto si suppone vivano i Tartari. Un deserto onirico, dove i confini rimangono incerti e si dilatano all’infinito.  Lo sfondo integratore del romanzo è la fortezza Bastiani. A differenza dell’agrimensore del Castello, il tenente Drogo raggiunge la fortezza, ci entra, viene arruolato e accolto. Il problema è come uscirne. Buzzati attenua di un grado lo stile di Kafka, Drogo entra nella fortezza, prende servizio e può anche andarsene. Nessuno, in linea di fatto, glielo impedisce. Rispetto al Signor K., Giovanni Drogo è libero; giunge alla Fortezza ha un colloquio immediato con il comandante e chiede il trasferimento, l’impressione di quei luoghi non è buona, vuole partire appena possibile. Ci resterà per la vita, esercitando la libera scelta.
La Fortezza, come la vita, ha un fascino irresistibile. Lo emana mano a mano che il tempo passa. Si tratta della presenza dell’altro: i Tartari. Realtà tenebrosa e sotterranea. Il Tartaro è il luogo della catatonia. Si può pensare al Deserto dei tartari come a un delirio catatonico, che ripete sempre l’identico. Catatonico è chi non decide mai diversamente, fedele al suo gesto, lo ripete infinitamente, senza differenza. La Fortezza Bastiani è eterno ritorno del medesimo. Quando la struttura omeostatica si trova di fronte a differenze, le annulla. La regola è ferrea, non concede eccezioni; come nel caso di sparare a chiunque si avvicini alla Fortezza senza conoscere la parola d’ordine. Antica regola militare: “Alto là, chi va là, fermo o sparo!”. L’occasione sarà fatale a un soldato che, sotto il comando di Drogo, viene fucilato secondo la regola. L’occasione nasce dal deserto. La guarnigione di Drogo intravede il primo segno di vita nelle vicinanze della postazione esterna alla Fortezza, dove si monta la guardia a turno, appena sopra il deserto. L’ipotesi che nel deserto ci siano davvero i tartari, a conferma di antiche voci, sembra prendere corpo. Inizia l’incanto, il delirio.
Segue qui:
http://www.doppiozero.com/materiali/il-deserto-dei-tartari 

IL GUSTO E L’UOMO VEGANO

di Sarantis Thanopulos, il manifesto, 6 agosto 2016
Mangiare carne sta diventando qualcosa di cui vergognarsi o da rivendicare con l’orgoglio dei peccatori irriducibili. Il confronto tra carnivori e vegetariani sta slittando in un conflitto dai toni accesi. Ciò poco ha a che fare con la crudeltà nei confronti degli animali. Che le cose sul piano reale siano un po’ diverse da come appaiono sul piano ideologico, basterebbe a farcelo sospettare il fatto che l’amore per gli animali cresce in modo inversamente proporzionale all’amore per gli esseri umani.
L’affetto per gli animali, che contiene una certa spietatezza nei loro confronti, gioca un ruolo importante nell’“educazione sentimentale” dei bambini. Consente loro di modulare la componente passionale, “animalesca”, del loro desiderio e disporre di uno spazio di sperimentazione per il loro impulsi erotici e aggressivi nei confronti dei genitori e dei fratelli. Con gli animali più adatti alla modulazione, sperimentazione dei propri sentimenti si stabilisce un rapporto familiare a vita, che si oppone al loro maltrattamento e uccisione. Un eccesso di aggressività o di attaccamento nei loro confronti testimonia una difficoltà ad amalgamare l’odio e l’amore che comporta un certo disinvestimento delle relazioni umane.
Segue qui:
http://www.psychiatryonline.it/node/6373 

 

MENTI POTENTI, IL FESTIVAL A SARZANA DAL 2 AL 6 SETTEMBRE. Lo spazio illimitato e le grandi idee da Safran Foera a Veca e Soldini

di Bettina Bush,genova.repubblica.it, 6 agosto 2016
IL potere illimitato della mente. Per la poetessa inglese Alice Meynell la felicità non è questione di avvenimenti, ma dipende appunto dalle onde della mente. Ancora oggi è una delle zone più affascinanti del nostro corpo, e quest’anno il tema del Festival della Mente, dal 2 al 4 settembre a Sarzana, diretto da Gustavo Pietropolli Charmet e da Benedetta Marietti, promosso dalla Fondazione Carispezia e dal Comune di Sarzana, è proprio lo spazio. Grandi temi quindi per gli oltre sessanta relatori, tanti nomi importanti, dal filosofo Salvatore Veca, allo scrittore Jonathan Safran Foer, per continuare con la sociologa Chiara Saraceno, con il matematico Piergiorgio Odifreddi, il fisico Guido Tonelli, l’immunologo Alberto Mantovani, l’astrofisico Giovanni Bignami, la psicanalista Simona Argentieri, l’architetto Cino Zucchi, il sociologo Alessandro Dal Lago, lo storico Alessandro Barbero, il regista Silvio Soldini, solo per citarne alcuni: «Il Festival ha l’ambizione di essere il luogo che vuole fornire al suo pubblico gli strumenti per capire la realtà di oggi, in un mondo complesso che cambia sempre più velocemente, insieme a ospiti che rappresentano eccellenze nel loro settore — sottolinea Benedetta Marietti — abbiamo scelto un termine molto attuale, lo spazio, applicabile in ambiti diversi, a partire dalle nuove scoperte scientifiche, inteso quindi come l’universo, ma ha tante altre declinazioni, esiste lo spazio sociale, architettonico, relazionale, quello al confine tra bene e male; c’è un altro spazio importante, quello che cercano i migranti, per non parlare poi di quello virtuale».
Segue qui:
http://genova.repubblica.it/cronaca/2016/08/06/news/festival_della_mente-145490962/
 

L’ANSIA DA CONTATTO CHE NASCONDE LA PAURA DELL’IGNOTO

di Massimo Recalcati, repubblica.it, 7 agosto 2016
Difficile in questa stagione non essere “toccati” da sconosciuti dove i luoghi di villeggiatura ci espongono alla frequentazione di spazi sempre più affollati. Nella prima riga di Massa e potere, Elias Canetti isola nella paura di essere toccato dall’ignoto una paura atavica dell’essere umano. «Dovunque, l’uomo evita di essere toccato da ciò che gli è estraneo». È qualcosa da cui può scaturire l’esperienza clinica del panico che solitamente colpisce proprio in luoghi di grande ammassamento di gente sconosciuta come sono gli aeroporti, i tunnel autostradali, le stazioni ferroviarie o i grandi centri commerciali, ovvero in tutti quei luoghi che l’antropologo Marc Augé ha definito paradossalmente “non luoghi” perché privi di identità storica, relazionale o antropologica. Se il non luogo offre il terreno più favorevole all’attacco di panico è perché il panico non è altro che la segnalazione drammatica dello smarrimento dei propri confini identitari interni e esterni. Fintanto che il confine sussiste il tabù del contatto con l’ignoto è preservato. Il problema è che il contatto con lo sconosciuto può far saltare in aria i nostri confini. In questo senso l’esperienza del panico può essere considerata come la forma più estrema di irruzione dell’ignoto e, nello stesso tempo, del tentativo impossibile di fuga dall’ignoto stesso, da tutto ciò che il soggetto non può governare, ovvero dall’incontro con l’eccesso della vita e l’imprevedibilità della morte.
Segue qui:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/08/07/lansia-da-contatto-che-nasconde-la-paura-dellignoto54.html?ref=search

TERRORISMO, TACERE I NOMI DEGLI ATTENTATORI NON SERVE. NON SONO EROI MA PICCOLI VIGLIACCHI

di Luciano Casolari, ilfattoquotidiano.it, 7 agosto 2016
Dobbiamo chiederci se l’enfasi con cui vengono descritti gli attentati terroristici possa alla lunga divenire una concausa del loro diffondersi? Qualcuno che in questo momento, per varie motivazioni, medita il suicidio potrebbe essere tentato dall’idea di compierlo attraverso una modalità che ha dimostrato la sua forza mediatica. Emulare gli stragisti per persone che si sentono ai margini e piene di sofferenza potrebbe divenire il modo per assumere un ruolo quasi eroico. Le Monde ha deciso di non dare spazio mediatico a questi personaggi in particolare non mettendo nomi e foto. Personalmentesono contrario. Questa strategia avrebbe senso solo se accompagnata dal celare anche la notizia dell’attentato, come succede nel caso di suicidi, o derubricarla a semplice trafiletto. Credo che questo sia impossibile perché si tratta di notizie molto rilevanti per l’opinione pubblica che ha il diritto di conoscerle. Tenere riservati i nomi o le foto darebbe meno notorietà agli aggressori singoli ma rimarrebbe l’esposizione mediatica dell’Isis che anzi, da questo celare i nomi dei singoli, apparirebbe ancora più compatta e monolitica.
Segue qui:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/07/terrorismo-tacere-i-nomi-degli-attentatori-non-serve-non-sono-eroi-ma-piccoli-vigliacchi/2960345/

IL MISTICISMO DI FRANCESCO, TERRENO DI INCONTRO TRA FEDI. Non si tratta di una fuga dal mondo, ma una immersione amorosa che permette di dialogare con altri credi e i loro interpreti

di Mauro Magatti, corriere.it, 8 agosto 2016 
Perché Francesco si ostina a parlare di misericordia e di perdono quando, di fronte alla violenza, c’è bisogno di risposte forti e determinate? E perché il papa ha voluto affermare che le religioni non c’entrano e che dietro la violenza ci sono sempre interessi economici e politici? Siamo davanti ad un pontefice «buonista» che non riesce a vedere le tensioni che agitano il mondo? Sono domande risuonate in questi giorni e che meritano qualche ulteriore riflessione. Ad uno sguardo non schiacciato sulla contingenza, la crisi che sta investendo il mondo intero esprime i dilemmi dell’epoca che C. Taylor chiama «dell’umanesimo autosufficiente»: privati della trascendenza di Dio, non sono ammessi fini ultimi diversi dalla prosperità umana. In un mondo globalizzato, ciò sembra però esporci a una dinamica, contraddittoria e lacerante: da una parte l’attrazione tecnocratica verso l’oltre-uomo, come se l’uomo contemporaneo, in un torsione paradossale, pretendesse di divinizzarsi di nuovo e questa volta con le sue stesse mani; dall’altra il ritorno a forme di sacralizzazione arcaiche, nutrite con istanze fondamentalistiche, fatalmente imbevute di violenza.
Tale crisi, che tocca tutti, si produce in modo particolarmente acuto nel contatto problematico tra la modernità occidentale e l’Islam contemporaneo. Estraneo al percorso di secolarizzazione, l’Islam — uscito da un lungo torpore — appare incerto, nelle sue componenti, sull’atteggiamento da assumere nei confronti della modernità e sul modo in cui la potenza, oggi tutta umana più che divina, viene elaborata. Prestando il fianco ad ogni tipo di strumentalizzazione politica ed economica, una parte delle sue élite considera mortale per la stessa religione islamica l’esposizione ad un occidente che ha fatto ormai della tecnica — alleata dell’io individuale — il proprio dio. Nel quadro della società contemporanea, il punto di forza, e insieme di debolezza, della tradizione islamica é di parlare di un dio imperscrutabile. Tanto è vero che al fedele non è richiesta una precisa linea di comportamento per salvarsi, né uno sforzo di razionalizzazione della propria esistenza.
Segue qui:
http://www.corriere.it/opinioni/16_agosto_08/misticismo-francesco-12638c04-5cd3-11e6-bfed-33aa6b5e1635.shtml

SCORRETTO E SANTO. Non esiste il politicamente corretto, ma esiste il politico che agisce inventando, senza essere corrotto

di Umberto Silva, ilfoglio.it, 10 agosto 2016
Dicono che Donald Trump sia, sotto sotto, tanto sotto da schizzare sopra, in combutta con quei bastardi di razzisti, che un tempo se la prendevano con i neri e ora con i bianchi, accusati di prendersela troppo poco con i neri. E’ il loro momento, stanno arrivando da tutto il mondo pelli colorate che eccitano in modo irrefrenabile. Vero, falso, scorretto, corretto, scorrevole? Chissà, staremo a vedere, i nazisti mi fanno orrore. L’epopea del politicamente corretto e del suo fratello scorretto va chiarita. Se non una volta per tutte – il che è impossibile, considerata la natura delle cose umane – almeno per qualche annetto; poi la storia della storia provvederà a confondere nuovamente tutto e via da capo a cercare di mettere al suo posto quel che in realtà appare del tutto incorreggibile. Dico la mia, ma non so quanto corretto io sia e quanto scorretto, capita infatti che i corretti siano scorretti e viceversa; e i corrotti? Sono corretti i corrotti o sono corrotti i corretti? Sono la stessa cosa?
Chiariamo subito, stringete le cinture cari lettori: il politico è per sua intrinseca e irrinunciabile dote e virtù scorretto, se no sarebbe corrotto. I politici di qualsiasi natura, noi tutti, appartenendo alla polis, qualsiasi cosa di grande e di buono facciamo è quando agiamo scorrettamente, ovvero senza che nessuno ci imponga delle correzioni; il politico è inventore.
 
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/08/10/scorretto-e-santo___1-vr-145736-rubriche_c278.htm

TRUMP, L’UOMO DELLA PALUDE. Le pratiche di comunicazione politica che fondano il loro successo sull’influenzamento mentale attecchiscono in un funzionamento psichico collettivo incline all’agire compulsivo e agli automatismi

di Sarantis Thanopulos, ilmanifesto 13 agosto 2016
Donald Trump è un calcolatore esaltato: il suo gioco d’azzardo non è finalizzato a far saltare il banco, ma a creare le condizioni di un proprio vantaggio psicologico preliminare. Ha fatto dell’eccitazione, una droga contro la sua tendenza a deprimersi, un lavoro organizzato, molto remunerativo. La sua affermazione ha una solida base nella sua capacità di promuovere la domanda e lo smercio di effetti antidepressivi. Né la domanda né lo smercio li ha creati lui (sono espressione di un processo anonimo della società capitalista), ma nel riflettere la loro logica nel modo più acritico e efficace, egli si costruisce una leadership del tutto plausibile e coerente.
In una sua intervista, il linguista statunitense George Lakoff ha attribuito a Trump un talento per le iperboli e le provocazioni. Secondo la sua prospettiva, il candidato repubblicano usa metafore potenti in grado di attivare schemi mentali già esistenti nella mente degli elettori, in particolare coloro a cui si rivolge in modo privilegiato. Le pratiche di comunicazione politica che fondano il loro successo sull’influenzamento mentale, fanno storicamente parte della manipolazione psicologica delle masse. Attecchiscono in un funzionamento psichico collettivo incline all’agire compulsivo e agli automatismi. Si possono prevedere con esattezza i comportamenti umani solo attraverso l’identificazione con i meccanismi che li rendono schematici. I manipolatori sono gli agenti di un processo di alienazione che li ha resi per primi soggetti alienati. Sia gli studiosi degli schemi mentali sia i politici che diventano loro “utilizzatori finali”, agiscono all’interno di una prospettiva prodotta da un modo schematico di ragionare.
Segue qui:
http://www.psychiatryonline.it/node/6380 
 
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com
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