ASSALTO AL CIELO Note di regia di Francesco Munzi

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15 settembre, 2016 - 12:32
di: Francesco Munzi
Anno: 2016
Regista: Francesco Munzi
Nell’aprile del 1978, nei giorni del rapimento Moro, un commando delle Brigate Rosse sparò alle gambe di un politico democristiano nell’androne del palazzo dove abitavo con la mia famiglia. Non avevo ancora nove anni e una mezz’ora dopo l’attentato, uscivo di casa per andare a scuola. Restai qualche minuto nel giardino condominiale a osservare il via vai di gente che tra sirene, pattuglie della polizia, rilevamenti, interrogatori, si agitava intorno al luogo della sparatoria. Dall’altra parte del cortile, altri miei amici coetanei, ragazzini con cui giocavo abitualmente, erano immobili, ipnotizzati come me davanti alla stessa scena e per questo arrivammo tutti a scuola con un po’ di ritardo.
Nessuno era protetto dall’aria pesante che si respirava in quei mesi poiché bastava accendere il televisore per sentire, ogni giorno, l’annuncio di un ferimento, di un attentato, di un omicidio. Io e gli amici del cortile per esempio seguivamo la drammatica vicenda di Moro con quel misto di eccitazione e di incoscienza che spesso i ragazzini hanno nei confronti di avvenimenti drammatici più grandi di loro: avevamo trovato persino un modo di esorcizzare la tensione che ci circondava trasformando il classico “ Guardie e Ladri” in “Guardie e Brigatisti” con tanto di mascheramenti, occhiali scuri, e mitra giocattolo.
Nel 1968 invece non ero ancora nato, ma già allora sapevo cosa fosse stata la “contestazione” grazie ai racconti mitici e forse anche un po’ esagerati di alcuni giovani zii  che portavano ogni volta che arrivavano a casa, insieme ai racconti della rivoluzione, una tale aria di libertà, nel vestiario, nei modi di porsi da fare in modo che si formasse in me un “falso ricordo” del ’68, a tratti ancora più netto di quello reale di dieci anni più tardi.
Appartengo dunque a una generazione che ha vissuto quegli anni, ma in modo tangenziale, immaginifico, ad altezza di bambino. Il desiderio di fare questo film nasce da qui, da un groviglio di racconti, suggestioni, sprazzi di memoria che hanno determinato nel tempo un’attrazione personale sempre maggiore per quegli anni e per la parabola di quei ragazzi che inseguirono , tra slanci e sogni, ma anche violenze e delitti, l’idea della rivoluzione. Eppure proprio perché la narrazione delle lotte politiche degli anni 70 è stata spesso ostaggio della memoria di chi le ha vissute da protagonista, spesso da differenti e inconciliabili posizioni, rendendo il loro racconto difficile e controverso, ho avuto il desiderio di un approccio diverso, innanzitutto di conoscenza personale, che nessun saggio, articolo, film di finzione , nessuna opera letteraria, nessuna memoria personale poteva darmi: riaprire una finestra su quella stagione, attraverso i “documenti “, nella fattispecie filmati e documentari girati all’epoca, per vedere e ascoltare direttamente i protagonisti, recuperando immagini seppellite negli archivi di mezza Italia.
La prima attitudine nei confronti del film è stata quella del ricercatore “scientifico: scartabellare i più importanti archivi audiovisivi italiani, per ritrovare le immagini più interessanti su quegli anni e su quel tema. Man mano che arrivavano i primi risultati cercavo la struttura migliore per ri-proporre quelle immagini oggi, in un film che non fosse semplicemente antologico e che però lasciasse lo spettatore il più possibile libero di fare il proprio viaggio, colmando i vuoti, cogliendo le suggestioni, gli accostamenti o le contraddizioni. Sapevo che il risultato non poteva essere neutrale, né esaustivo da un punto di vista storico, che l’arena ed il limite sarebbe stato da una parte l’archivio stesso, dall’altra il sentimento, di nuovo parziale, soggettivo, ma fondamentale che mi guidava nella selezione dei materiali. Mi sono avvicinato al montaggio e alla scelta delle sequenze dunque con grande entusiasmo, ma anche con un certo timore, di dire troppo o di dire troppo poco, di avere io stesso da una parte “troppa memoria” e da un’altra “troppa poca”. Ho instaurato una dialettica “combattiva” con i film che tornavano alla luce, facendo sì che fossero loro a indicarmi possibili nuove strade in un percorso pieno di correzioni di rotta, ma anche di grandi sorprese.
Sono stato attratto istintivamente da quei materiali che più hanno uno sguardo "interno" e ho scartato i filmati più istituzionali, gli interventi dei leaders politici di primo piano, il materiale più manipolato. Ho provato a realizzare una storia dal basso, cercando la drammaturgia del racconto nell’accostamento di sequenze, rinunciando a qualsiasi voce narrante che non fosse quella interna ai materiali stessi.
Il film ha la struttura di una partitura musicale e, pur rispettando la cronologia storica, dal 1967 al 1977  ed il tema delle lotte politiche extraparlamentari e della “rivoluzione” segue principalmente l’umore che ho percepito nei singoli film, uno slancio ideale che muta nel giro di pochi anni, si frammenta e pian piano si dissolve.
Fare questo film per me ha significato fare un viaggio visivo e sonoro dentro quegli anni intensi e drammatici, dieci anni vitali e funerei, provando a visualizzare, attraverso le testimonianze dirette, l’impressionante passaggio di un’epoca.
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