IL DESIDERIO CHE AMA IL LUTTO nota introduttiva

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20 ottobre, 2016 - 19:17
Autore: Sarantis Thanopulos
Editore: QUODLIBET STUDIO
Anno: 2016
Pagine: 96
Costo: €14.00

Nota  introduttiva
Encomio della differenza
 
 
 

In Pulsioni e loro destini[1] Freud ha definito la pulsione come misura del lavoro che la psiche deve compiere in funzione della sua connessione con il corpo. Ne L’interpretazione dei sogni[2], quindici anni prima, aveva definito il desiderio come movimento esclusivamente psichico[3]. Seppure non lo abbia mai esplicitato, è piuttosto evidente che nella sua prospettiva il desiderio fosse il movimento che la pulsione imprime alla psiche: esso darebbe la misura della forza propulsiva della pulsione, sotto l’effetto della quale la psiche compie il  suo lavoro.
Pur avendo strettamente associato il desiderio alla pulsione, Freud ha optato per la loro dissociazione sul pieno della loro soddisfazione. La soddisfazione del desiderio avverrebbe  sul piano della rappresentazione. La soddisfazione della pulsione avverrebbe, invece, sul piano della soddisfazione del bisogno materiale: sarebbe la cessazione di una tensione corporea. Per quanto Freud abbia avuto intuizioni più complesse, aperte in tutt’altra direzione, questo schema è restato saldamente al centro del suo pensiero. Si vedrà, in seguito, cosa ha spinto  Freud in questa strada. Resta il fatto che nel definire il desiderio, l’ha separato nettamente dalla sua componente corporea: a) il godimento, la natura sensuale, erotica della sua soddisfazione anche nelle sue forme più sublimate; b) il movimento, gesto del corpo che accompagna il movimento psichico verso il godimento.
    Lacan ha disincarnato ulteriormente il desiderio. Definendolo come metonimia della “mancanza a essere”, condannandolo a un passaggio infinito da un oggetto a un altro, l’ha collocato in una maniacalità perpetua dell’esistenza, che rifugge il lutto. Posizionando il godimento nel  registro dell’animalità, del non umano, ha messo il desiderio al servizio di una ricerca affannata e affamata di un residuo di vitalità, di esperienza carnale.[4]
Si può andare oltre Freud e Lacan. Per riassegnare pienamente al desiderio il suo legame insolubile con il godimento e l’esperienza dei sensi. Il godimento non è ingordigia animalesca, volontà irrefrenabile di un piacere illimitato: può essere realizzato solo all’interno di un limite temporale (associato a ritmo, intensità, profondità, persistenza), nel rispetto della cosa goduta (che si tratti della persona desiderata, di un libro, di un brano musicale o di un piatto di pasta) e attraverso un attento “assaporare” che lo lascia sempre un po’ insaturo. Non deve necessariamente sfociare in un orgasmo, ma non può esserne dissociato.
Il desiderio è sensuale. La sua sensualità sorregge l’immaginazione, il simbolo e la scena onirica. È un derivato diretto della pulsione, che non dobbiamo interpretare come spinta corporea alla scarica, istinto che aspira all’eliminazione della tensione e allo ristabilirsi di un equilibrio omeostatico (meccanismo che è tipico del bisogno fisico). La pulsione erotica (fondamento dell’esistenza) mira al piacere dei sensi, cerca la persistenza gradevole della tensione che implica destabilizzazione e trasformazione della struttura psicocorporea. Tuttavia la pulsione in se stessa ignora l’alterità, perché ignora la differenza. Dove il soggetto spinto dalla pulsione incontra la differenza, nasce il desiderio. Il desiderio cerca la differenza, vive nella differenza. La differenza, peraltro,  non esiste senza il desiderio.
       Il piacere dei sensi è fondato sull’incontro con un altro corpo, in principio il corpo materno, oggetto diretto della soddisfazione della pulsione erotica. È tanto più intenso, profondo e persistente quanto più è lavorato dalla differenza dei corpi -la differenza della loro costituzione e della declinazione soggettiva delle loro esperienze- che si incontrano: l’avvicinamento, la sottrazione, l’imprevisto, l’improvvisazione, la sorpresa, la scoperta. Anche quando il piacere è sublimato in un’esperienza culturale lontana dalla contiguità carnale, la differenza è una condizione determinante. L’esperienza culturale, che è tale solo se resta sensuale, immette il soggetto in una sequenza di rapporti con modalità di esistenza eterogenee all’idioma del suo modo di essere e solo in questa maniera diventa godibile. In definitiva la sublimazione è l’ampliamento all’infinito delle possibilità di differenza tra due corpi erotici, che anche quando è tanto lontana dal loro congiunzione da sostituirla del tutto, ad essa sempre rimanda ed essa sempre evoca.
La struttura del godimento è omogenea a quella del desiderio di cui rappresenta il compimento.  Il desiderio è tensione psicocorporea verso il piacere dei sensi, insieme penosa e gradevole, che nell’anticipare in se stessa il godimento verso cui si indirizza, si lega a un’altra tensione, fatta della stessa “materia” ma diversamente declinata, presente nell’oggetto desiderato. Questo legarsi, che unisce prossimità e allontanamento, perdita di contatto e ritrovamento, annodamento e scioglimento, tensione e distensione,  produce una reciprocità di coinvolgimento intenso e spinge la differenza nella complementarità. Dove il reciproco coinvolgimento raggiunge il più alto grado della sua intensità, il godimento diventa spontaneo.[5]
La differenza delle soggettività è un dato di partenza: se gli esseri umani sono omogenei sul piano della materia psicocorporea di cui sono fatti, sono eterogenei nel modo in cui essa prende forma, si esprime e diventa un modo di essere. Questo modo è tanto più particolare, originale nella sua differenza, quanto più si dispiega in libertà. Il desiderio cerca la differenza perché: a) è un coinvolgimento psicocorporeo profondo teso verso un contatto sensuale con il suo oggetto; b) l’oggetto può  generare sensualità solo allo stato di un proprio coinvolgimento e perde questa sua capacità tanto più quanto meno è  coinvolto; c) il coinvolgimento dell’oggetto  non è possibile che nello dispiegamento libero della propria soggettività. Non si può avere un coinvolgimento in assenza di un altro coinvolgimento: desiderio, libertà e differenza sono indissociabili.
La differenza è volta necessariamente alla relazione. Costituisce l’altro come oggetto potenziale, sessuale o sublimato, del proprio desiderio. Nel suo campo l’altro non è άλλος,  esistente in modo generico ed estraneo al soggetto. È  έτερος, l’altro che fa coppia con il soggetto, che lo completa. Έτερος, indica l’altra metà in termini di opposizione (di due metà che combaciano): l’essere umano diviso dall’altro, mancante dell’altro, che è stato in origine concepito come parte di sé, e sempre alla ricerca del suo oggetto/soggetto  complementare. Attraverso la differenza, la divisione si fa desiderio di ricongiungimento delle due parti separate.[6]
Il combaciare di due metà separate, il loro συμβάλλειν, è anche all’origine del simbolo (σύμβολον). In greco antico il termine “simbolo” designava la metà di una tessera di terracotta (o di un anello) che, facendola combaciare con l’altra metà, serviva come mezzo di riconoscimento. Le due parti divise tra due soggetti, due famiglie o due città servivano come conferma, riscontro di un patto o di un’alleanza a distanza di tempo. Ognuna delle due metà rappresentava metaforicamente una delle parti contraenti il legame è il loro combaciare rappresentava il legame stesso. Per estensione ognuno dei pezzi combacianti rappresentava il pezzo mancante, manteneva vivo, nella memoria di ognuno dei contraenti, il contraente assente. La simbolizzazione, fin dal principio al servizio del desiderio,  ha la sua origine nell’incontro tra differenze opposte e complementari che ha luogo nel rapporto primario tra il bambino e la madre. La sublimazione del desiderio, che diparte dal combaciare degli amanti, segue le strade della rappresentazione simbolico-metaforica. Attraverso queste strade si connettono tra di loro modalità sempre più sottili e complesse di soddisfazione sensoriale, si moltiplicano e si diversificano  i legami erotici, affettivi e mentali con le persone e le cose e si espandono infinitamente le possibilità di incontro tra le differenze desideranti.
La libertà dell’oggetto desiderato, la qualità che lo rende desiderabile, implica anche la possibilità di respingere il soggetto desiderante. L’oggetto desiderato che si oppone al desiderio che gli è rivolto può ugualmente essere una persona in carne e ossa o un oggetto di piacere sensoriale, estetico, artistico, intellettuale che si dimostra particolarmente ostico  al tentativo di appropriarsene. La libertà dell’oggetto desiderato crea all’interno della relazione del soggetto con l’έτερος, una seconda opposizione: aggiunge alla relazione con l’oggetto complementare quella con l’εχθρός, il nemico del proprio desiderio. Questa seconda opposizione estende la libertà dell’έτερος senza farlo diventare άλλος, un estraneo indifferente. Lo mette nella condizione di non essere indifferente al desiderio rivoltogli e di poter accoglierlo o respingerlo.
Quando il rapporto tra differenze[7] perde la sua apertura all’ulteriorità perpetua della differenziazione -l’apertura permanente degli opposti al “terzo”, colui che rende possibile lo sciogliersi e il riannodarsi, da un’altra parte o in un’altra forma, del loro accoppiamento- la differenza dell’uno tende  necessariamente a ferire la differenza dell’altro e viceversa. Il risultato finale è l’indifferenza.
Dove lo scambio non è possibile, perché la differenza ha perso la libertà del suo dispiegamento e la capacità di accoppiarsi con l’altra differenza, in termini di φιλία (amicizia) o di έχθρα (inimicizia), l’altro diventa straniero al nostro desiderio, άλλος inaccessibile al nostro sentimento e, di fatto, inconoscibile. Si può solo ignorarlo, come se non esistesse, o entrare in contatto casuale con lui in termini di conflitto preterintenzionale: pestarsi i piedi o scontrarsi in un incrocio. Più il conflitto è preterintenzionale, più prescinde dalla presenza consapevole, attenta e intenzionale all’interno di una relazione,  più può diventare catastrofico. Nelle azioni intenzionalmente distruttive ciò che rende più dannose è la loro componente, non riconosciuta, di preterintenzionalità.
Nel campo dell’indifferenza affettiva, in cui l’έτερος, l’altro complementare, diventa άλλος, l’altro ignorato, estraneo, il corrispettivo dell’εχθρός, nemico del proprio desiderio, è il πολέμιος, l’avversario preterintenzionale, presente in modo casuale, non desiderato ed esistente (quando esiste) in modo generico. Il conflitto con il πολέμιος  scarica le tensioni in modo indifferente, privo di desiderio: ci si annienta senza senza un vero odio. È potenzialmente il più distruttivo e il più irreparabile dei conflitti.
L’indifferenza affettiva sfocia nell’indifferenziazione: l’eclissi del desiderio appiattisce la vita sul bisogno materiale. Il rapporto con il mondo diventa una sequenza di tensione-scarica della tensione. L’altro non si congiunge al soggetto come accade nella relazione del desiderio: si aggiunge ad esso come protesi, strumento puro di appagamento del suo bisogno.  Il coinvolgimento psicocorporeo, la tensione verso l’altro desiderato, è sostituito dall’inerzia psichica, il funzionare della psiche sul piano della sola stabilità, il suo costante ripiegamento su se stessa. I vissuti del soggetto diventano impersonali: si annulla il nesso tra il particolare e l’universale, che crea l’esperienza soggettiva come sperimentazione, potenzialità, e si vive sul piano di parametri puramente universali, uniformanti. Non è “nuda vita”, la vita psicocorporea che fluisce spontaneamente, estranea a ogni forma di socialità,  ma “ cruda vita”: corpo vivo in presenza di una morte psichica.
Ci sono due forme di morte. La prima è la morte come perdita di persone care, desiderate, o di oggetti ad esse connessi,  che crea o rinnova un senso di mancanza e apre la strada al lutto. La seconda è la morte che colpisce la psiche, mentre si continua ad essere fisicamente vivi. Non è direttamente esperibile perché taglia fuori la possibilità di un’esperienza soggettiva. È la fibrosi che prende il posto del tessuto vivo della nostra soggettività, che cura impropriamente le sue ferite, sostituendosi al lutto e rendendolo impossibile. Odora di morte e ha bisogno di artifizi eccitatori per creare una vitalità in superficie che nasconde l’inerzia sottostante.
L’obiettivo di questo libro è la restituzione al legame tra il desiderio e il lutto della sua centralità nella costituzione di una vera esperienza di vita, aperta alla scoperta è capace di trarre piacere dall’inquietudine che implica il suo spostamento dal proprio centro di gravità.
 
 
 

[1] S.Freud (1915) Gli  scritti metapsicologici  O.S.F vol. 8
[2] S. Freud (1900  O.S.F. vol. 3
[3] Totalmente iscritto nello spazio della rappresentazione di sé e del mondo in termini di idee e di affetto
[4] Il cosiddetto oggetto piccolo a.
[5] La congiunzione finale tra il massimo della tensione e il massimo della distensione raggiunge la forma più drammatica nell’incontro sessuale (dove più forti sono il piacere dei sensi e la reciprocità del coinvolgimento ) e sfocia nell’orgasmo. L’incontro con l’altra tensione è presente nell’esperienza sublimata perché l’oggetto culturale, pur non essendo dotato di corpo erotico, se è non dotato di una carica, tensione erotica -un coinvolgimento intenso con il piacere del vivere (anche quando mette in scena la sofferenza o il pessimismo)- non produce nessun godimento. La tensione erotica presente nell’oggetto culturale, mette il soggetto desiderante a contatto non con una singola soggettività, ma con un contesto di soggettività allargata (gruppale, collettiva), dandogli accesso più ampio  allo spazio di potenzialità dell’esperienza soggettiva.
Se nell’esperienza sessuale la trasformazione della materia psicocorporea è più intensa e drammatica, nell’esperienza culturale essa è più profonda e  significativa, perché l’ampliamento del gioco delle differenze che la sublimazione del piacere consente (portandolo oltre la pura sensorialità) aumenta l’apertura del soggetto al mondo. Nè l’esperienza sessuale né l’esperienza culturale, tuttavia, riescono a tenersi in piedi l’una in assenza dell’altra.
 
[6] Come accadde con gli esseri umani originariamente sferici del mito che Aristofane racconta nel dialogo di Platone Simposio. Androgini, con due teste, quattro mani, quattro braccia, quattro gambe, due genitali sono stati tagliati a metà da Zeus per punirli per la loro arroganza. Sarebbero morti per deperimento se Zeus non avesse spostato i loro genitali dalla parte posteriore (esterna al combaciarsi dei corpi) alla parte anteriore (interna). Nacque in questo modo l’Eros.
   È singolare l’analogia con l’originaria unità madre-figlio (nella percezione di quest’ultimo) e la loro successiva separazione-opposizione come soggettività reciprocamene desiderate.
[7] L’unica forma di relazione umana possibile.
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