Storia di un lutto anomalo: “Demolition – Amare e vivere” (2015) di J. M. Vallée

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31 ottobre, 2016 - 12:42
di: Sabino Nanni
Anno: 2015
Regista: J. M. Vallée
Il protagonista del film, David Mitchell, ha (apparentemente) tutto dalla vita: una moglie attraente, un ottimo posto di lavoro come dirigente nell'azienda del suocero, una casa lussuosa. In realtà, come già s’intuisce fin dall’inizio e sarà evidente nel corso del film, si tratta di una vita fasulla: la moglie non lo ama, si sente trascurata (David è continuamente assorbito dal suo lavoro), e lo ha tradito; il suo lavoro (dirigente di una società finanziaria) non ha nulla di autenticamente creativo e produttivo, gli è stato assegnato non per suoi meriti o competenze, ma solo perché genero del padrone e, per di più, viene svolto da suoi dipendenti e non da lui.
Tutto, in realtà, è in uno stato di equilibrio precario, ed un incidente stradale, in cui la moglie Julia perde la vita, lo sconvolge completamente. Il padre e la madre di Julia la piangono così come ci si aspetterebbe da lui, ma David non sembra in grado di comunicare il suo dolore, e si chiude in uno stato di apatia senza alcuna causa apparente. Fin dall’inizio, è chiaro che, in David, la reazione alla perdita ha carattere anomalo: egli tende, dapprima, a comportarsi come se nulla fosse accaduto, successivamente agisce in modo sempre più bizzarro. Presto prende a smontare oggetti pezzo dopo pezzo, a partire da un frigorifero che gocciola acqua fino a computer, macchine del caffè, orologi. Inizia a notare dettagli della sua vita quotidiana che erano rimasti sempre sullo sfondo; dettagli che ora acquistano, per lui, un significato particolare.
Per meglio comprendere questo strano comportamento di David, confrontiamolo con quanto succede nel lutto normale. Ogni elaborazione (“lavoro”) del lutto comporta  ciò che Freud definiva “ipercarica emozionale sui dettagli”: l’esperienza dell’oggetto perduto viene disintegrata in numerosi frammenti su ciascuno dei quali, man mano che esso emerge dalla memoria involontaria, viene attuato il doloroso distacco dell’investimento affettivo. È come se la separazione dalla persona che non c’è più avvenisse un poco alla volta (un “pezzetto” alla volta) in un processo di una certa durata; e, ogni volta che un particolare emerge alla coscienza, è come se si riscoprisse ex novo la perdita. Alla fine di questo “lavoro” (termine mutuato da Freud dalla fisica), la separazione dall’oggetto perduto è completata e l’investimento affettivo è di nuovo disponibile per altri rapporti. In David, questo processo assume carattere anomalo: si ha una “reificazione della metafora” (“pensiero-azione” secondo Kohut, “ricorso all’atto” secondo Bessoles), ossia l’operazione non avviene in modo simbolico, nella mente, ma viene attuata materialmente nel mondo esterno; un atto concreto prende il posto di un’operazione mentale: David, materialmente, smonta tutto. Abbiamo un precedente letterario e cinematografico nel personaggio di Paolo di “Teorema” che, volendo disfarsi delle sue false acquisizioni, si spoglia materialmente.
L’umore del protagonista diviene disforico (una sorta di “tetra allegria”), il suo comportamento è bizzarro, beffardo, paradossale, ironico. Per comprendere quel che succede a David, occorre considerare la sua analogia, esteriore e interiore, con il personaggio di Amleto: il principe danese vive uno stato traumatico perché gli è crollata un’immagine idealizzata e falsa del mondo e di se stesso; immagine che non gli ha mai consentito d’entrare in contatto con la realtà della vita. L’assassinio del padre ad opera dello zio, con la complicità della madre, gli ha completamente e brutalmente distrutto l’illusione d’appartenere ad una famiglia nobile e di nobili ideali. Analogamente, in David, la brutale irruzione della morte nella sua esistenza gli ha fatto crollare l’illusione che la vita sia solo una questione di tassi d’interesse e quotazioni in borsa; illusione che, finora, lo aveva completamente assorbito allontanandolo da quelli che potevano essere i suoi autentici affetti: l’amore per la sua donna, il desiderio di avere figli da lei, la capacità di provare un autentico dolore. David, come Amleto, avendo scoperto il carattere fasullo ed assurdo del mondo che lo circonda, si comporta in modo assurdo egli stesso. A questo punto, il protagonista (sempre sostituendo gli atti ai processi mentali) passa dalla decostruzione  alla demolizione: l’intento non è più quello del lavoro del lutto, ossia distaccare il proprio investimento affettivo da ciascun elemento isolato, e neppure smontare il mondo pezzo per pezzo per poter riassemblare i frammenti in un ordine nuovo (come fa il delirante), ma distruggere completamente un mondo divenuto invivibile.
Tra le bizzarrie di David, c’è la sua reazione ad un banale incidente occorsogli poco dopo la morte della moglie: avendo messo una monetina da un quarto di dollaro in un distributore automatico, il meccanismo s’inceppa, e la merendina rimane incastrata all’interno del macchinario. Egli, quindi, inoltra una lettera di reclamo all’azienda che gestisce i distributori. Tuttavia, in questo messaggio, sente il bisogno di presentarsi, di parlare di se stesso, della sua esperienza, di confidare i suoi più intimi pensieri; e continua a farlo in numerose lettere successive. C’è, qui, la regressione tipica di chi ha perso (o non ha mai nutrito) la speranza di trovare un rapporto autentico in cui sia possibile confidarsi e condividere i propri dispiaceri: i messaggi di richiesta d’aiuto e comprensione vengono come “lanciati al vento”, affidati all’eventualità che qualcuno li raccolga, come i vagiti di un neonato abbandonato. Come manca un “luogo psichico” in cui operare il lavoro del lutto (e quindi egli tenta di compierlo tramite un “ricorso all’atto” nel mondo esterno: il suo smontare gli oggetti), allo stesso modo manca, a David, la capacità di rappresentarsi e concepire il suo bisogno di un rapporto empatico (d’essere accolto nello spazio mentale di qualcuno): le sue lettere all’ufficio reclami sono come “vagiti”; il compito d’interpretarli come richieste d’aiuto e comprensione è affidato a chi li ascolta, egli non è in grado di farlo.
La ragione di tutto questo è già adombrata nella scena iniziale del film, quando David, assorbito dalle comunicazioni che gli vengono dall’ufficio, non può entrare in sintonia con la moglie: una mentalità aziendale (potremmo dire un Superio condiviso a carattere anomalo, il cui unico imperativo è impadronirsi della ricchezza che altri producono) ha come sequestrato, occupato il mondo interno dell’uomo, rendendo atrofici anche gli aspetti più elementari della sua vita soggettiva individuale.
Accade, nel film, qualcosa di prodigioso (e qui la vicenda sembra una fiaba): nell’ufficio reclami, David incontra Karen Moreno, una donna sensibile (ha, anche lei, attraversato l’esperienza di un lutto), disponibile ad ascoltarlo ed aiutarlo. Nello spazio mentale di questa persona i frammenti della vita soggettiva del protagonista si ricompongono, ed egli trova, in se stesso, autentici sentimenti di riconoscenza e la capacità di ripagarla assumendo un ruolo paterno positivo con il figlio di lei, un ragazzo con cui la donna si trovava in difficoltà.
Il finale della vicenda è lieto al punto da far sorgere il dubbio se si tratti di realtà o di un sogno ad occhi aperti di David: tra lui e Karen è nato l’amore, con la donna ed il figlio di lei ha costruito una nuova famiglia, si è rappacificato con i suoceri e, insieme a loro, ha finanziato il restauro di una giostra dedicata alla moglie defunta. Tramite questa, David entra in contatto con quei bambini che non aveva saputo concepire con la moglie; con quei nipoti che non aveva regalato ai suoceri.
 

 

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Commenti

La citazione giusta era 'la conversazione' con Gene Hackman.
È la scena di smontaggio con sonoro da premio Oscar migliore finora realizzata.
Pasolini in Teorema intende la spoliazione in termini religiosi come per Buddha, San Francesco o Santa Rita.
Nella conversazione si gioca sulla psicosi paranoide, senza possibilità di riscatto, perché la mutazione del senso implica significanti e significati incommensurabili con ogni altra relazione.
Lo spostamento della celebre scena con Gene Hackman in un film di cassetta edulcorato da un bel finale è solo un dovuto vassallaggio alle regole delle Major.
Non esiste la famiglia del Mulino Bianco e la psicosi ancorché depressiva per certi aspetti, soprattutto gli aspetti negativi della personalità già presenti all'inizio del film da te descritto, non si cura con le coccole casuali.
Esiste invece un pensiero religioso radicale tipicamente americano nel concetto di predestinazione e redenzione, ben diverso da quello mistico di Pasolini in Teorema, che garantisce la necessità ulteriore di quel finale.
In entrambi i casi la falsificazione della realtà della psicosi o del disturbo di personalità che si esacerba dopo un lutto, sia per l'obbligo dell'happy end sia per la dimensione mormone e calvinista evidente, mette in un angolo la psichiatria negandole ogni valore.
Inutile ogni psicoterapia o psicofarmaco. Basta che Dio li accoppi....


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