Riflessioni (in)attuali
Uno sguardo psicoanalitico sulla vita comune
PER NON FAR FINTA DI ESSERE SANI...
Dal 2017 nessuno si aspetta grandi cose.
Il nostro pessimismo è, ragionevolmente, aumentato rispetto a un anno fa e, a giudicare da numerosi segnali, sono in arrivo guai seri.
Del processo patologico che ci investe è difficile distinguere le cause dai sintomi: l’iniquità mostruosa degli scambi, la concentrazione delle risorse e delle ricchezze nelle mani di oligarchi, la xenofobia galoppante diventata la fonte d’ispirazione dei movimenti (a)politici di successo, lo svuotamento dell’ordinamento democratico, laddove esiste, il connubio stabile tra lavoro precario e disoccupazione, la gioventù sempre più sfruttata e sempre più senza futuro, la ricerca scientifica umiliata come mezzo di conoscenza e ridotta a strumento di un potere tecnocratico tanto sofisticato quanto ottuso.
Quali che ne siano le cause e gli effetti, viviamo in un mondo psichicamente insano.
La sanità psichica consiste nell’essere “vivi”: capaci di sentire i propri desideri e emozioni in profondità e di godere della loro intensità e delle loro trasformazioni.
Nell’essere “svegli”: poter dormire per sognare, essere sufficientemente reattivi per distinguere tra giorno e notte. Infine, nello “stare bene”: in grado di vivere il piacere nella sua complessità e di provare dolore.
Non c’è bisogno di fini strumenti diagnostici per capire che queste tre qualità della sanità psichica versano in pessime condizioni.
Il rifiuto delle trasformazioni e della profondità dell’esperienza sono fenomeni di culto di massa. Per tenersi svegli si ricorre a eccitanti di ogni tipo che trasformano i sogni in allucinazioni. La mancanza, il lutto e il dolore sono vissuti da cui fuggire e il vivere anodino è diventato sinonimo del piacere. Non si vive per provare piacere, ma per non soffrire. Tra il nucleo vivo, rimasto desiderante, dell’umanità e la vita esteriore delle relazioni in superficie si è creata una fascia spessa di materia inerte, tessuto fibroso costellato di aree limacciose, infette che genera depressione, incubi persecutori e violenza cieca.
La depressione dell’esperienza collettiva non lascia spazio a una vita politica ,vera e propria (il conflitto tra desiderio e bisogno e tra uguaglianza e diseguaglianza). Ragionare in termini di categorie politiche e immaginare progetti conservatori, populisti, riformisti, rivoluzionari, è diventato faticoso: sembra, a tratti, uno sforzo surreale.
I veri potenti di oggi sono gli spacciatori di una patologia sociale.
Privi di una chiara posizione e funzionalità, non gestiscono strutture stabili e definite. Non hanno il controllo di ciò che sta accadendo, lo promuovono senza essere in grado di governarlo. Godono di una forza enorme nella misura in cui ne sono i servi più coerenti e non i padroni. Qua e là appaiono nelle vesti di re Mida (una ricchezza insieme ingioiellata e arruffona) e allora si capisce che ballano sul Titanic. Sarebbe cosa saggia e costruttiva che non restassimo nella stiva.
Tra coloro che cercano di rimanere nel campo politico della gestione della vita comune, per riportarla a una sua sana espressione conflittuale, e i portatori di una malattia feroce che si è impadronita del potere per auto-riprodursi insieme all’eccitazione/anestesia (la cura perversa) che la fa prosperare, si è aperto un iato abissale di cui è necessario prendere atto. Il nostro auspicio per gli anni a venire non può essere che la ferma determinazione a restare sani. Ingannevole (un cavallo di Troia) è la pretesa di reinventare la Polis.
L’unica prospettiva credibile è la sua radicale bonifica dalla peste che la infesta.
A partire da cose fondamentali, come coltivare l’amicizia ad oltranza.