Olocausto: la psichiatria non può dimenticare

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28 gennaio, 2017 - 13:26
Prima che a pieno regime si cominciasse a uccidere nei campi di sterminio, un’orrenda tragedia preparò il terreno. Una ben nota e disastrosa alleanza tra giuristi, psichiatri e sostenitori dell’eugenetica e del darwinismo sociale avviarono alla morte centinaia di migliaia di esseri umani: bambini handicappati, inguaribili o incontrollabili e uomini e donne malati di mente. Quasi una sperimentazione, una prova generale per il grande sterminio che di lì a poco arrivò. La distruzione di quelle “povere cose” (vite) si protrasse per qualche tempo anche dopo il 1945. Conseguenze disastrose della psichiatria che sottrae valore e significato alla vita. Che affonda le sue radici nelle incontestabili certezze biologiche.

Nel 1920 usciva in Germania un libro di Karl Binding, professore di diritto penale all’università di Lipsia, e di Alfred Hoche, professore di clinica psichiatrica all’università di Strasburgo, dal titolo “Il permesso di annientare vite indegne di vita”. Nel libro si affermava che la vita dei malati di mente cronici, internati negli ospedali psichiatrici, fosse una vita non degna di essere vissuta. Le inumane parole di Binding dicevano: “non c’è dubbio alcuno  che negli ospedali psichiatrici vi siano persone (ancora) viventi la cui morte rappresenta per loro la redenzione e, per la società e lo stato, una liberazione”. E quelle ancora più spaventose di Hoche che definiva queste persone “gusci umani totalmente vuoti” e la loro eliminazione non costituiva “alcun crimine” ma, anzi, “un atto medico consentito e lecito”.

Queste idee, nelle definizioni di inguaribilità e indegnità, mettono in primo piano l’utilità e la produttività e non il significato quale criterio per cogliere il valore di una vita.
L’utilità, la produttività, come criterio discriminante assoluto tra una vita degna di essere vissuta e una vita non degna e la negazione di ogni vita spirituale, dell’esistenza delle persone che vivono la malattia mentale, si sono configurate come pilastri, paradigmi che hanno consentito alla psichiatria (a una certa psichiatria che ancora vediamo florida e prepotente) e al potere politico tedesco di allora di considerare lecita e poi di realizzare la dimissione forzata dei pazienti con una diagnosi psichiatrica di malattia mentale cronica e l’avvio alla loro uccisione.

Certo sono lontani i tempi in cui queste cose sono state espresse e sono avvenute, ma la riflessione su di esse non è estranea ai fini di un discorso sulle distorsioni, le oggettivazioni, le sottrazioni di senso sempre in agguato nella psichiatria.

Peppe  Dell’Acqua (da forumsalutementale.it)
( Ho attinto a piene mani dalle incomparabili parole di Eugenio Borgna nel suo “Come se finisse il mondo” (Feltrinelli, 1995), che suggerisco con molta convinzione di leggere).

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Commenti

Quando sento parlare di darwinismo sociale mi vengono i brividi. Darwin non c'entra nulla, la scienza nemmeno, il sociale neppure. Non c'è sociale eliminando l'altro. Ditelo ai nostri protezionisti, leghisti e arruffapopulisti.

Quando anni fa visitai i campi di sterminio in Polonia (esperienza che dovrebbe far parte del curriculum scolastico) ebbi modo di sentire il racconto di questo orrore perpetuato dalla psichiatria tedesca con un particolare ancoar più racappricciante: per lo sterminio dei malati di mente si usavano camino diesel con lo scappamento inserito nel cassone sigillato dove veniva ammasasta la gente, ebbene scoprirono che i "migliori" erano i camion Renault in qunato avevano lo scappamento peggiore e più letale e dopo alcune prove vennero scelti di concerto tra SS e "medici"... per non dimenticare MAI!!!!


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