NASCE L'UOMO A FATICA
Condivisioni (lunari) di pensieri e stati d'animo
di Donato Morena

Rêverie da Krypteia, l'ASO dell'avvelenata, i fantasmi dell'ospedale

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21 maggio, 2017 - 17:00
di Donato Morena

E’ mezzanotte, a Krypteia. E sono già passate quattro ore. Quattro ore da quando sono diventato, da psichiatra reperibile, il baluardo alla devianza degli umani di questa operosa e silenziosa cittadina. L’arbitro a cui si deve senz’altro far ricorso, come da incontestabili norme e polverosi protocolli, la cui origine si è ormai perduta nelle nebbie di antiche usanze e misteriosi accordi, quando qualche menade fuori tempo è sorpresa in baccanali on the road o un novello Alceo viene segnalato dai dormienti furibondi per gli schiamazzi che ordinano di mescere vino e invitano a dimenticare gli affanni. La mia opera e quella dei colleghi è obbligatoriamente necessaria, sia durante il dì che il vespro. Siamo l’orma del passo della civiltà. D’altra parte, se non avessero vissuto in anni tanto incivili e fuori controllo, gli antichi lirici greci avrebbero potuto ben allietare con le loro odi i propri curanti durante le perpetue guardie. Per fortuna i tempi sono cambiati, e viviamo in una società sempre più civilizzata e tesa nello spasmo al raggiungimento dell’optimum. E Krypteia è tra le polis più sapientemente gestite, grazie ad un'illuminata tirannide che instancabilmente ne ottimizza tempi e spazi. Il ramo secco dello psichiatra-guardiano fisso nel nosocomio è stato uno dei primi ad essere reciso. Per mantenere l’Ordine sono previsti solo dei custodi-somministratori di sacre pozioni. E così, senza neanche un giaciglio per la notte, lo psichiatra-liberto può trascorrere la sua guardia nell’erranza di un recinto che dista massimo trenta-minuti, in contatto frequente e gratuito con i suoi infermieri al fronte, giovane e leggero nell’andirivieni delle sue corse notturne alla James Dean. Lo psichiatra di Krypteia, però, è altrettanto stimato e portato ad esempio di medico valoroso, che presidia il nosocomio-fortezza e i territori della sua città con turni senza sosta, anzi, come predetto dall’oracolo, con sospensione ma senza interruzione. A volte purtroppo può capitare che qualcuno, stremato, si lasci andare e scompaia inghiottito dalle nebbie, ma ciò non crea disagio alle massime autorità che sorvegliano dall’alto sul buon andamento dei lavori. La sempre più esigua squadra di psichiatri-opliti è capace infatti di ricompattarsi presto, per tenere alto l’onore del servizio-presidio.  

 

Ma eccolo lì, lo squillo del cellulare. Almeno, ha la forza di sciogliere questa rêverie, questo deliquio crepuscolare che mi faceva viaggiare negli anni dolci del liceo, anni belli e passati. E’ il reparto, si pronto, dottore la vogliono dal pronto soccorso, per cosa?, un ASO, è per un’agitata. Uffà, un altro classico, ogni agitazione vuole il suo ASO. E va beh, via il pigiama, mi butto su alla svelta quei quattro vestiti da psichiatra operaio. Ehi ciao tu, torno subito. Se ciao-torno-subito, ti conosco, portami i cornetti alla nutella domani mattina. Nebbia, si gela, e una sigaretta di notte in macchina ha il suo fascino. Psichiatria bruciata. Il grande parcheggio dell’ospedale stanotte è quasi deserto, illuminato di blu dai lampeggianti delle tre volanti della polizia. E chi sarà mai questa pericolosa vedova nera? Prima di scoprirlo devo fare il giro dal timbratore e poi magicamente si apriranno le tende del palcoscenico. Eccoci. Eccola, l’eretica, bellissima, il viso da Angiolina Jolie in ragazze interrotte, in un terribile maladorno ammanto, gli stivali bianchi, i leggins zebrati, il top bianco con due ali da angelo scomunicato a coprire a fatica una quinta innestata su un corpo da anoressica. Una chimera omerica. Mezzo esame obiettivo sarebbe da dedicare all’aspetto. Intorno ci sono gli uomini in divisa. Dottore le abbiamo appena tolto le manette, ora forse si sta calmando ma fino a due minuti fa era fuori di testa, abbiamo dovuto metterle perché non riuscivamo a tenerla. Nessun volto da sadico, e gli credo. Anche se nel nostro reparto la contenzione non viene praticata e rimango convinto che legare una persona sia evitabile. O quanto meno rappresenti l’extrema ratio, come ha scritto il Comitato Nazionale di Bioetica nel 2015. [http://www.governo.it/articolo/comitato-bioetica-pubblicato-il-parere-la-contenzione-problemi-bioetici/2407]. Parlo un attimo col collega del PS e arrivo. Ciao, ecco il modulo dell’ASO fatto dalla guardia medica. Agitazione psicotica. Guardo fisso per qualche secondo il foglio, perplesso, poi mi avvio verso la barella e verso la voragine di insulti. La frequenza cardiaca comincia a salire ad ogni passo ma devo mantenere un atteggiamento sottomesso, almeno inizialmente, e tamponare tutta l’aggressività che prefiguro, che deve uscire. Buonasera, sono lo psichiatra di guardia. Chi sei? che cazzo vuoi? Mi hanno chiamato per un colloquio. Non mi serve niente, voglio solo tornare a casa mia, trovami un cazzo di passaggio per tornare a casa. Ascolti, prima devo cercare di capire come sta e cos’è successo stasera. Ma si vaffanculo facciamo sto colloquio del cazzo alla svelta e poi vattene affanculo. Ok. Ok, la prima è andata. Ci avviamo in gruppetto verso la stanza del colloquio, lontana dalla parte principale del pronto soccorso. I protocolli sulla sicurezza non suggeriscono proprio così, ma tant’è, quando si tratta di risparmiare si può derogare. Quanto meno il tandem psichiatrico, emarginato, non darà fastidio, e possiamo prenderci un po’ di tempo. Per ora non c’è bisogno di essere in tanti, se volete aspettate un attimo fuori dalla stanza per sicurezza. Eccoci. Sono una border. E questo si capiva, è una diagnosi che ormai non si nega a nessuno, figuriamoci a te. Ma rimango in silenzio ed ascolto. Prima mi alcolizzavo e mi facevo pure, canne, cocaina, eroina, ma non mi bucavo. Questo lo precisano tutti, si vede che è una nota di merito non indifferente. Sono stata adottata, a cinque anni. Li ho fatti sempre dannare. Continuavo a scappare di casa. Poi a diciotto anni basta. Me ne sono andata. Ho lavorato in una cooperativa, aiutavo i bambini autistici, mi facevo solo qualche canna allora, poi sono peggiorata, i giri di merda, ero sempre sballata, mi hanno licenziata. E mi sono ritrovata sulla strada, facevo la vita come dicono  a Napoli. E tu che ne sai di Napoli? Mi ci ha portato un tipo con cui stavo. Mi distraggo, penso all’etimologia di “fare la vita” che non sono mai riuscito a capire, come non riesco a capire dove possano essere finiti i sintomi psicotici e cosa posso fare per questa dissonante esclusa che sembra non ne abbia azzeccata una nella vita. Sono in cura in un altro centro, ma quei cazzo di medici continuano a cambiare, così ora vado solo da una psicoterapeuta di un’associazione e fra poco mi ricoverano in una comunità. Bene ora me ne vado a casa. No aspetti un attimo, mi dica cosa è successo stasera, poi fa degli esami e vediamo. Bisogna aprire per un pò la porta di questa casa a pezzi. In fondo ho sempre pensato che è questo che fanno gli psichiatri, ammirare dritti sull’uscio la scena del naufragio della speranza.

 

Ciao amore, sono tornata, sono andata a prendere la pizza, la pizza calda, e anche la coca cola per me e la birra per te, la becks quella che ti piace, apparecchio la tavola, dai vieni che sono calde sennò si fanno fredde, ehi, oh, dai, alzati dal letto, vieni a tavola, dai che sono calde, cucciolo oh, ti ho preso la quattro formaggi la tua preferita, dai stai dormendo da stamattina, sono dieci ore, oh, cucciolo, dai, cazzo dai non ti girare dall’altra parte, vieni in cucina, dai, oh ma perché fai così? Cucciolo fra qualche ora è il nostro anniversario e tu devi uscire col pullman, abbiamo solo qualche ora per stare insieme, eddai oh, ma porca merda alzati, dai cazzo, mi vuoi dire che cazzo hai? Ma perché non mi rispondi? Ma vaffanculo va brutto stronzo, mi fai proprio girare i coglioni quando fai così, sono andata al freddo a prenderti la pizza per fare una cena insieme e non mi caghi di striscio, ma vaffanculo, oh dove cazzo vai? Ah vieni allora, dai che è quasi un anno che stiamo insieme in questa casetta! Oh stronzo dove cazzo vai? Esci? Porca puttana che cazzo fai oh? Vieni qua oh, dove cazzo vai? Come vai al bar? Che cazzo ti accendi una canna? le canne e le birre cogli amici si, ce l’hai la forza per farle eh? Porco di merda, oh allora? Che fai non rispondi? Ma vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo, stronzo, ahia che cazzo spingi porco! vattene stronzo vattene coi tuoi amici, oh lascia stare i capelli!, ahia! cazzo mi fai male, no dai oh ma dove vai? No amore che cazzo fai? Non andare dai ti prego, mangiamo la pizza, no!, dai!, no, cazzo noo!, non te ne andare cucciolo, dai almeno stasera! Come te ne vai? Ma dove vai? Come non torni?! e dove vai?! No!!! Ti prego, no no no non andare via, oh ma quale Sicilia, lo so che non è vero, dai no! Guarda che mi taglio!!! Mi taglio!!!

 

Le urla, le bottiglie di birra bevute alla svelta, le unghie che entrano nella carne, i frammenti di vetro che scorrono sulla pelle, la musica a tutto volume, i vicini infastiditi, le luci delle sirene che aprono la notte in questo posto dimenticato da dio, la guardia medica indaffarata, i fogli di carta scritti in fretta, l’ambulanza di volontari assonnati, gli altri sparuti e rassegnati vicini che si affacciano, le gocce cariche di sangue e gli sputi sulle scale, le manette. E si parte. Immagino. D’accordo, ora si faccia fare degli esami e una flebo per smaltire l’alcol. Si, va bene, capo! L’accompagno, l’infermiera stupita le prende una vena e la fa accomodare su una barella. Arrivo subito, vado a scrivere la consulenza. Ma dura poco. Dottore, venga presto la “sua” paziente si è strappata le flebo e si sta allontanando. La rincorro, ehi ma dove vai?, e la faccio finita con questa triste farsa del lei. Basta, me ne vado. Ma dove vai così al freddo? Non me ne frega, la do a qualcuno che mi riporta a casa. Dai, aspetta, aspetta.

La prima ora è andata, secondo colloquio, mi ricovera? No, a che ti serve? Effettivamente, ne ho fatti tanti, inutili. Ok chiamiamo tua sorella per farti venire a prendere. Peccato. Sta in riviera a divertirsi col fidanzato e non ne vuole sapere niente di te. Telefono contro il muro, n.1. Riprovi, altro muro, n.2. Ok ti cerco un caricabatterie, aspettami qui. Perché non chiami i tuoi genitori? Neanche morta, chiamo la mia psicoterapeuta. Come la tua psicoterapeuta, a quest’ora? Si ha detto che posso chiamarla a qualunque ora. Mah, questa poi mi mancava. Ciao Viola. No i miei genitori non li chiamo, non ti mettere anche tu! Muro, n.3. E no. Ora basta, tre indizi fanno una prova, il colloquio è importante ma anche la “tripletta” (*), vado a prendere le gocce così ti calmi. Si hai ragione. Seconda ora insieme. Viola, ti prego scusami!, è che mi vergogno di farmi trovare in queste condizioni, non voglio farli preoccupare, volevo riuscirci, questa volta. Va bene, ok, si ora li chiamo. Brava psicoterapeuta notturna.

Arrivano gli esami, arrivano i genitori, forse arriva il sonno. Colloquio familiare, ehi aspetta non stare a pancia in giù. Mi fa segno di avvicinarmi, ha vergogna di farsi vedere con i tagli alle braccia, l’aiuto a girarsi sulla barella coperta dal telo. E’ l’ultima cosa che farò per te stasera. Mi risponde finalmente con un sorriso, va bene, grazie, grazie di tutto. Ciao. Ciao. Addio.

Quarta ora in questo pronto soccorso, della terza non mi sono proprio reso conto. Dottore ma allora si è innamorato del reparto, vuole venire a lavorare qui? Qui c’è bisogno sempre! Le infermiere hanno ragione, in questo ospedale è troppo facile avvertire un senso di abbandono, una smobilitazione cosmica. Ma per fortuna ci sono i fantasmi a farci compagnia. Mentre vado via li vedo ancora, si aggirano tra i reparti di questo scatolone vuoto. Fantasmi di colleghi che ancora si incontrano, discutono dei pazienti, stringono amicizie. Fantasmi di maestri e discepoli in camice bianco che fanno il giro-letti in coppia, e si scambiano opinioni, conoscenze, orgoglio di appartenenza. Fantasmi di medici e infermieri che una volta rendevano vivi i luoghi di cura e facevano della sanità italiana un valore aggiunto di questo paese. Fantasmi scacciati da gente in giacca e cravatta che è riuscita a conquistare il fortino, dopo averlo scrupolosamente assediato. Camici macchiati di sangue e disinfettante sostituiti da camicie a quadretti che odorano di uffici chiusi e attese davanti al timbratore.

Ma questa è un’altra storia. Per questa notte meglio sospendere ancora il giudizio. Ci aiuta a sopravvivere, senza ricoveri. Epochè, come suggerisce Piero Cipriano.

E’ tardi, forse quasi già presto, bisogna ricominciare, presidiare. Prima però le promesse vanno rispettate. Prima i cornetti alla nutella.

 
(*) nella vulgata clinica chiamasi “tripletta” l’unione di farmaci anti-dopaminergici, anti-istaminici e pro-gabaergici, con proporzione varia a seconda delle preferenze soggettive o, preferibilmente, delle condizioni psicopatologiche. Bisogna fare attenzione al pericolo di dipendenza vista la frequente esperienza riportata di “sballo”.  La paziente in questione, con una smorfia di rilassamento sul volto, espresse questo particolare commento: “cazzo, mi stanno salendo le tue gocce di merda”.

 

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