PSICHIATRIA E RAZZISMI
Storie e documenti
di Luigi Benevelli

la medicina nel Tigrai e la civiltà medica imperiale italiana (1937)

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1 agosto, 2018 - 08:01
di Luigi Benevelli
Giorgio Alberto Chiurco (Rovigno d’Istria 1895- Brescia 1975), medico-chirurgo, direttore dell’Istituto di Patologia Chirurgica dell’Università di Siena,  fu esponente di primo piano del Partito Nazionale Fascista (PNF), parlamentare dal 1929 al 1939, Federale della provincia di Siena negli anni della Repubblica Sociale Italiana.
Partecipò alla campagna d’Etiopia in qualità di ufficiale medico dirigendo un ospedale da campo  nella regione del Tigrai. Al terzo Congresso di Studi Coloniali  tenutosi fra Firenze e Roma dal 12 al 17 aprile 1937, tenne una relazione su Modo di vita e condizioni sanitarie degli Abissini[1].
Egli descrive una popolazione del Tigrai come indolente, apatica, dedita alla pastorizia e ad un’ agricoltura di pura sussistenza, che vive in condizioni di miseria in un ambiente duro e ostile. Quanto alla medicina,
in Etiopia pullula una infinità di mestieranti della medicina che sfruttano l’ignoranza e la credulità delle masse indigene. Non esiste quindi alcun medico nel paese e la medicina è perciò impartita dalla esperienza di qualche megera e di qualche stregone. La natura della malattia, presso gli indigeni, come ogni altra manifestazione della loro vita, è basata ancora su pregiudizi di cui il principale è l’influsso malefico. Ciò favorisce il moltiplicarsi di abili sfruttatori i quali cercano nei libri religiosi la fonte inesauribile del loro guadagno e dei loro medicamenti. Il fuoco, e cioè l’ignipuntura, ed il coltello sono elementi importanti della cura dei malati. […] Altro fondamentale della terapia indigena è il sanguisugio.
L’abissino, quando è malato, si raggomitola sul suo giaciglio, e si copre col suo barracano.
L’arte officinale etiopica è basata sulle mescolanze di sterco, fango, paglia, nerofumo, foglie di ortica, radici di erbe con cui vengono preparati dei decotti e degli impiastri. […]
Il male è, quindi dovuto per lo più al demonio, che deve essere cacciato via colla frusta; giacché le malattie non sono altro che un demone che ha invaso il corpo umano e dal quale bisogna assolutamente liberarsi con i metodi più strani. Il burro rancido è considerato come il toccasana, e viene dato spesso dal praticone empirico come purgante ai malati. La medicina è quindi confusa con l’empirismo. Al mercato si trova ogni sorta di semi e di foglie secche che vengono barattate da false farmaciste. Le cose più strane si osservano in rapporto alla circoncisione, alla infibulazione ed all’arte ostetrica, che viene praticata da pseudo levatrici. […]
Per trattare di tutte le superstizioni e di tutti i metodi empirici, usati dagli abissini, ci vorrebbero molte pagine e ciò esula dal mio compito
”.
Chiurco passa poi alla descrizione delle “atrocità abissine”, in particolare la schiavitù e l’evirazione del nemico praticata anche su militari e operai italiani.
Segue il resoconto degli interventi chirurgici, delle malattie infettive (vaiolo, tifo,malaria, tubercolosi, sifilide, lebbra) e  mediche (dermatosi, ulcere tropicali).
L’ultimo capitolo è dedicato a Colonizzazione fascista e difesa della razza, con in primo piano il problema degli incroci fra bianchi e neri, ben presente in particolare in Eritrea con la  “presenza di esseri infelici, meticci, costituzionalmente e moralmente inferiori” che offendono “la dignità del dominatore e il legittimo amor proprio dell’indigeno”. Al riguardo, Chiurco dichiara che:
“è noto che le razze umane, oltreché per i caratteri somatici, differiscono per note funzionali e mentali, ed è nota la superiorità della razza bianca sulle altre. Tali affermazioni sono basate su dati antropologici e morfologici a ognuno dei quali corrisponde una data forma di intelligenza. Si sa che i negri, nonostante i lunghi contatti con altre razze più civilizzate, non hanno dimostrato capacità di trasformarsi e di avere un’evoluzione culturale propria, data la limitata possibilità di assimilazione e di facoltà creativa, in modo che tale razza, incrociandosi con una delle razze superiori non vi apporta alcun miglioramento spirituale”.
Cita l’importanza e la positività delle norme adottate già nel 1936 dal Governo fascista con cui “si ordinava che fossero respinte le domande di adozione di nativi abissini (di colore) da parte di famiglie desiderose di allevarli” e “veniva decretato che ai nati nel territorio da genitori ignoti, non sarà riconosciuta la cittadinanza italiana se non quando i caratteri somatici ed altri eventuali indizi non facciano fondatamente ritenere che entrambi i genitori siano di razza bianca”.
Non sono soltanto in noi ragioni sentimentali di dignità, sinora pur basate sull’esperienza e sulle cognizioni scientifiche dimostranti che gli incroci in maggior parte possiedono i difetti di tutte due le razze e nessuna qualità della razza superiore, ma profonde convinzioni sanitarie acquisite con il contatto (nell’ambulatorio e nelle ispezioni sanitarie) delle regioni conquistate durante il periodo bellico”.
E qui, proprio perché gli Abissini rappresentano per gli italiani  un pericolo (sanitario e per la dignità della razza), Chiurco cita ad esempio di una buona politica sanitaria e razziale i provvedimenti del Governo del Reich tedesco “che proibisce, oltre l’unione matrimoniale di persone affette da malattie quali la sifilide, la blenorragia, la tubercolosi infettiva, le malattie mentali, il linfogranuloma inguinale, anche l’unione dei tedeschi con elementi di altre razze

 



[1] Atti del Terzo Congresso di Studi Coloniali, vol. IX, sezione VIII, 1937, pp. 378- 398.

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