A proposito di Melancholia (2011) di Lars von Trier

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19 dicembre, 2018 - 13:46
di: Riccardo Dalle Luche
Anno: 2011
Regista: Lars von Trier

 
 
Fin dal titolo Melancholia (2011) di Lars von Trier[1] è un film dedicato ad una visione classica e rinascimentale di una patologia sofferta dall'autore, identificata oggi, non senza permanenti controversie nosografiche, come un tipo grave di “Depressione maggiore”: l'idea del film, come quella di Persona (1963) di Ingmar Bergman,  sarebbe infatti nata in una sessione di psicoterapia di gruppo frequentata dal regista in cura.
Il film è costituito da un Prologo onirico di 7' 50”, e da due parti successive in stile “Dogma[2], costituite da sequenze di frammenti narrativi essenziali girati spesso con la camera a mano ma con una particolare attenzione alle luci e alla bellezza delle inquadrature.  Le protagoniste sono una coppia di sorelle, una bionda (Justine, nome/citazione sadiana, interpretata dalla premiatissima Kirsten Dunst) e una mora, Claire (Charlotte Gainsbourg). Entrambi gli episodi sono girati nella villa della famiglia di Claire, una dimora lussuosa sulle rive del Mare del Nord con un campo da Golf, un giardino all'italiana, una stalla con due purosangue.
 Il primo episodio (Justine), che richiama per alcuni versi Festen (1998) di Thomas Vinterberg,  narra non senza sfumature beffarde la storia della lussuosa cerimonia del matrimonio di Justine, sabotato dall'interno dalla sposa, chiaramente intrisa di umori saturnini, ambivalenti e a tratti decisamente distruttivi, tanto che il marito è costretto alla fine della festa ad andarsene.
 Il secondo episodio (Claire) inizia con l'arrivo in taxi di Justine a Casa di Claire in una condizione di chiarissima depressione melanconica (non è capace di fare niente, quasi non sta in piedi, è assente, rallentata, non mangia, non si lava, deve essere accudita ma si rifiuta fobicamente di entrare nella vasca da bagno) e che prosegue con toni sempre più drammatici raccontando i giorni e le ore antecedenti alla fine del mondo, causata dalla collisione con la Terra di un pianeta chiamato Melancholia. In questo clima tragico, nel quale il marito di Claire si suicida appena comprende del prossimo impatto di Melancholia,  e lei è sempre più pervasa dall'angoscia della fine del mondo[3], Justine guarisce ed affronta serenamente la morte con la sorella e il suo bambino Leo, del quale preserva la sofferenza costruendo una “grotta magica” costruita con dei pali del bosco. Dopo l'esplosione finale conseguente all'impatto dei due pianeti il nero nulla conseguente alla distruzione pervade lo schermo.
 
Nel Prologo, di straordinaria bellezza, commentato dalla versione integrale del preludio del Tristano e Isotta di Wagner, le cui parti torneranno come leit motiv della colonna sonora dei successivi episodi, scorrono in un ralenti onirico, che allude iperbolicamente al rallentamento, all'inibizione e alla pesantezza melanconiche, alcune immagini che annunciano i temi dei due episodi, mescolandoli con citazioni colte, in un'alternanza tipica di LvT tra momenti descrittivi, patici e simbolici, che ricollegano l'esperienza morbosa con le sue tradizionali interpretazioni neoplatoniche[4][5]
 
1. Primo piano del volto melanconico di Justine con sullo sfondo una pioggia rallentata di pernici abbattute, uccelli che compaiono in una delle quattro versioni di Melancholia di Lucas Cranach il Vecchio;
2. campo lungo di Justine nel  giardino della villa dove si svolgerà il matrimonio nel primo episodio; nel giardino campeggiano due file di alberi perfettamente conici ed un'enorme meridiana; l'atmosfera straniante è data dalla presenta di un'impossibile doppia ombra degli alberi e della meridiana che presuppongono la presenza di due fonti di luce con un angolo di circa 90', il Sole e il pianeta Melancholia;
  1. seguono brevi fotogrammi del quadro invernale Il ritorno dei cacciatori di Peter Bruegel il Vecchio, animato dal cadere di foglie nerastre, simile alla pioggia di pernici;
  2.  segue l'inquietante avvicinamento di una stella, il pianeta Melacholia, in direzione della Terra; la Sfera del pianeta rinvia chiaramente alla sfera presente sia nel succitato quadro di Cranach il Vecchio che nella più nota incisione Melancholia I di Alfred Dürer del  1514; sullo sfondo di questa compare una cometa, messa in relazione con Saturno, che scende verso il mare[6];
  3. la sequenza prosegue con Claire che, affondando e lasciando quindi le orme sul terreno del campo da golf della sua casa (nella quale si svolge la seconda parte), porta in braccio, cercando un'impossibile salvezza, il figlio Leo;
  4.  uno stallone nero, che, alla fine del primo episodio cavalca Justine e che, nel secondo episodio, rifutandosi fobicamente[7] di passare un ponticello, verrà da lei violentemente frustato, stramazza al suolo, evocando, almeno per noi, una citazione montaliana (“Spesso il male di vivere ho incontrato/ era il rivo strozzato che gorgoglia/era l'accartocciarsi della foglia/ riarsa, era il cavallo stramazzato.[8]);
  5.  sempre nella notte, con gli stivali da cavallerizza, Justine sta immobile con le braccia aperte come nella crocifissione, circondata da uno sciame di farfalle;
  6.  sempre sul prato del giardino notturno, con tre Lune in diverse fasi (Luna, Melancholia e ?), camminano lentissimamanete Justine con l'abito da sposa, il bambino Leo e sua madre Claire con gli abiti che indosseranno durante il matrimonio;
  7.  Melancholia orbita ormai intorno alla Terra;
  8. Justine nel campo da golf alza le mani al cielo e dalle dita, come dai pali della luce, escono bagliori di energia luminosa;
  9. la stessa Justine cammina in una foresta con l'abito da sposa trattenuto da rami e pesanti liane, un'immagine fortissima dei vincoli legati al matrimonio e del suo rifiuto ancora non consapevole;
  10.  l'orbita di Melancholia è sempre più vicina alla Terra;
  11.  un interno moresco della villa, dalle finestre si intravvede un fuoco nel giardino;
  12. segue la citazione , animata, del quadro La morte di Ofelia I del pittore inglese preraffaellita John Everett Millais, dove è Justine in abito da sposa a scorrere nelle acque del fiume con il buquet nunziale in mano;
  13. in un bosco notturno il bambino Leo, con sullo sfondo Justine, intaglia una bacchetta di legno come la figura femminile nelle varie versioni di Melancholia di Cranach, come farà alla fine del film, insieme a Justine, per costruire la capanna-riparo magico prima della collisione finale;
  14.  Melancholia si schianta con la Terra generando un'enorme esplosione.
 
Il prologo dunque anticipa e condensa i temi dei due episodi in un contesto onirico intriso di simboli e citazioni delle classiche allegorie rinascimentali della Melanconia sulla quale si sono soffermate le analisi ermeneutiche di generazioni di studiosi dell'arte quali da Klibanski, Panofsky e Saxl, Yates, Calvesi, Starobinski[9].
 
Il rallentamento e lo sprofondamento, come intuisce Prandi[10], richiamano la pesantezza tipica del melanconico, tenuto a terra dalla gravità (“Schwermut”= umore grave, è uno dei termini usati dai clinici romantici tedeschi per la melanconia[11] )
Le citazioni pittoriche ritornano nel secondo episodio del film quando Justine, nello studio di Claire, sostituisce le riproduzioni di arte astratta della sorella con Il ritorno dei cacciatori di Bruegel, Ofelia di Millais, ed inoltre con Il paese della cuccagna  dello stesso Bruegel e Davide con la testa di Golia di Caravaggio.
 
I due episodi del film, pur essendo ipoteticamente il secondo una successione del primo, rinviano a due tonalità emotive diverse associate alla melanconia: nel primo prevale l'ambivalenza, ed un umore sarcastico[12] nella rappresentazione realistica di un matrimonio fallito prima di iniziare, con sullo sfondo il fallimento del matrimonio dei genitori di Justine e Claire (un padre superficiale e burlone, John Hurt, e una madre, Charlotte Rampling, acida e disillusa, che dichiara agli ospiti di non credere nel matrimonio in generale); nel secondo al rallentamento, l'inibizione e le fobie di Justine, che magicamente si risolvono all'approssimarsi del pianeta Melancholia alla cui luce notturna si espone nuda, come in un coito magico, fa riscontro il suicidio imprevedibile del marito di Claire e il terrore scomposto e ingravescente della stessa Claire di fronte all'approssimarsi della fine del Mondo.
 
La rivisitazione artistica della melanconia di Lars von Trier mostra realisticamente comportamenti e sintomi conclamati, - perdita di sintonia con l'ambiente, stasi esistenziale (rallentamento, pesantezza), distruttività relazionale (Justine che rompe improvvisamente col proprio datore di lavoro, insultandolo, prima di lasciar andare via il marito senza consumare il matrimonio), discontrollo impulsivo ambivalente (Justine in abito da sposa urina sul prato e successivamente si accoppia impulsivamente con un giovane appena conosciuto), discontrollo aggressivo (le violente percosse al cavallo di Justine, ma anche il suicidio inatteso del marito di Claire), l'acme psicotico con i sintomi vitali, le fobie assurde, la perdita della cura di sé; ma paradossalmente, come accade sovente al melanconico prima del suicidio o di fronte ad una malattia fisica mortale,  il suo stato patologico scompare di fronte all'imminenza della fine, senza soccombervi con un'angoscia ingravescente, come accade invece ai non melanconici. Tuttavia la rappresentazione del quadro clinico è trasfigurato grazie alla messa in scena che rievoca,  per citazioni e contesto, la visione neoplatonica ed altre figure classiche (ade esempio Ofelia suicida) della melanconia. In particolare LvT ripropone ossessivamente il legame esistente tra il melanconico e gli astri, la attrazione e il fascino che essi operano su di lui, un fascino ambivalente di influenzamento morboso ma anche di salvezza; la melanconia è, come nella visione della Naturhilosophie tedesca (Goethe) ancora presente in molti filosofi e medici tedeschi della prima metà del novecento, ed in maniera compiuta e definitiva nelle teorizzazioni di Hubertus Tellenbach (concetti di endogeno, endocosmico, endocinesi)[13], un fenomeno che attiene ad un alterazione della ritmicità e della sincronia biologica e vitale, dell'unità somatopsichica dell'uomo col cosmo (p.43), un'alterazione dell'“intrecciarsi correlativo tra Endon e mondo, che incomincia con la nascita (…) e che termina con la morte” (p.68).
Oltre che neoplatonica, Melancholia di LvT é dunque un'opera neoromantica o tardoromantica (caratteristica rafforzata dalla colonna sonora wagneriana) che, soprattutto, mette in risalto  alcune caratteristiche di questa malattia, il piegare il tono edonico dell'esistenza verso una cupa e ambivalente distruttività antirelazionale ed il tanatotropismo. Lo schermo nero del finale richiamano il “silenzio nudo” e la “quiete altissima” di leopardiana memoria[14] e il “Sole nero” di Gerard de Nerval[15], gli obiettivi ultimi cui aspira fantasmaticamente il malinconico.
 

[1]          E' un cinema, quello del geniale cineasta danese  Lars von Trier (LvT), intriso tematicamente di psicopatologia fin dai tempi di Le onde del destino (1996), e declinato in varie aree tematiche con Idioti (1998), Dogville (2003), Antichrist (2009), Nymphomanic I e II (2013): un cinema che scava nei personaggi osando spesso la rappresentazione di situazioni affettive e relazionali estreme e disturbanti per lo spettatore. Senza mai cedere all'autobiografismo diretto ed esplicito, Lars von Trier parla da persona informata dei fatti, essendo lui stesso notoriamente affetto da moltissimi anni da una sindrome panico-agorafobica complicatasi nel tempo con episodi depressivi e abuso e dipendenza da alcool oltre che da varie uscite mediatiche provocatorie di chiara marca “psicopatica”. Ma più di quello che trapela nella cronaca e nelle sue dichiarazioni è il suo cinema ad immettere nello spettatore emozioni e identificazioni intrise di umori morbosi (psicopatologici),  non solo e non tanto descritte naturalisticamente ma sviscerate in modo fenomenologico mostrandoci nelle sue immagini mondo interno e mondo esterno dei suoi personaggi trasfigurati spesso su dimensioni simboliche ricche di citazioni letterarie e filosofiche. In questo senso si può dire che LvT può essere considerato l'erede postmoderno del cinema bergmaniano degli anni '55-70 e del teatro psicologico scandinavo di Ibsen e soprattutto Strindberg.
[2]   Il manifesto “Dogma 95”  fu firmato da un gruppo di cineasti danesi tra i quali Lars von Trier e Thomas Vinterberg negli anni novanta e indicava una serie di regole da seguire per produrre film innovativi e contrapposti al cinema classico e hollywoodiano. Bisogna dire che alcune regole del manifesto, quali la sobrietà negli effetti speciali e nella colonna sonora sono stati ampiamente trasgrediti da LvT, in modo particolare in Melancholia.
[3]   L'esperienza di fine del mondo (Weltuntergangserlebnis) in un contesto di psicosi acuta (schizofrenica) piuttosto che di depressione melanconica è stata descritta in psichiatria da Jaspers (Psicopatologia generale, 1913-1959) e ripresa da Bruno Callieri (Contributo allo studio psicopatologico dell’esperienza schizofrenica di fine del mondo, 1955) e da questo da Ernesto De Martino (La fine del mondo – Contributo alle analisi delle apocalissi culturali. Einaudi, Torino, 1977), anche per le sue significazioni antropologiche universali.
[4]   La tradizione melanconica ippocratica fu ripresa nel rinascimento da Cornelio Agrippa di Nettesheim, (1486-1535), autore del de occulta Philosophia, summa intrisa di neoplatonismo, Kabbalah e astrologia a disposizione del mago rinascimentale. In questo contesto l'influenza classica di Saturno sull'umore melancolico acquista un'ambivalenza che, rivalutando l'idea antica del rapporto tra melanconia e genialità (pseudo Aristotele, Democrito), gli consente di riconoscere nella consapevolezza delle minacce e sofferenze della vita, la matrice della speculazione del genio. A questa concezione è ricondotta la principale interpretazione della celebre incisione di Dürer Melencolia I (v. nota 5). Altro testo importante di questo periodo è il De vita  di Marsilio Ficino, un manuale ad uso degli intellettuali, che, sulla base della teoria fisiologica umorale, fornisce una serie di prescrizioni comportamentali per riequilibrare gli umore melanconici.
[5]   L'incisione di Dürer del 1514 è la più nota delle rappresentazioni rinascimentali della melanconia. Raffigura una figura alata (un angelo) seduto inerte e immobile con la testa appoggiata ad un braccio, circondato da un gran numero di oggetti simbolici che, pur nella varietà delle interpretazioni, vista la sostanziale ambiguità dell'immagine e i rimandi alla scienza confusa con l'alchimia dell'epoca, nel loro insieme rappresentano sia l'abbandono delle arti e dei mestieri, delle doti dell'individuo (Yeats), sia la sua impossibilità di accedere ad una sfera spirituale superiore (Klibanski, Panofsky e Saxl)o di compiere il procedimento alchemico dalla nigredo alla luce (Calvesi); il quadrato magico  sopra la figura alata rappresenterebbe l'ordine dei numeri, la protezione della Kabbalah oppure un talismano per attrarre Giove contro l'influenza di Saturno.
[6]   Secondo Prandi ( www.leparoleelecose/?p=2464) una interpretazione  considera l'astro una cometa,  il sole nero, simbolo della fase alchemica della nigredo. Nel 1492 era caduto a Ensisheim in Alsazia un grosso meteorite, un evento con un enorme risonanza nella popolazione.
[7]   Il rifiuto del cavallo fa da pendant al rifiuto della sua padrona di entrare nella vasca da bagno. In un altro film di LvT, Antichrist, la protagonista, in preda ad una crisi panico-agorafobica, non riesce analogamente ad attraversare un ponticello nel bosco.
[8]   Montale E. Ossi di seppia.(1925).
[9]   Klibanski, Panofsky, Saxl: Saturn and Melancholy (1923), Calvesi M., La Melanconia di Albrecht Dürer, Torino, Einaudi, 1993, Starobinski J., L'inchiostro della malinconia.Einaudi, 2014.
[10] Prandi S.  Il senso della fine: “Melancholia” di Lars von Trier. www.leparoleelecose/?p=2464
[11]        Griesinger W. (1861) Die Pathologie und Therapie der psychische Krankheiten.
[12] Nella tradizione classica anche il riso beffardo era associato alla Melanconia ( Hersant Y.: Cranach, Dürer et la mélancolie”, Conférence à L'École des Hautes Etudes en sciences sociale, 21/4/2011).
[13] Tellenbach H:, Melancolia. Storia del problema -Endogenicità -Tipologia -patogenesi – Clinica. Tr. It , Il pensiero scientifico editore, 1975.
[14] Leopardi G., Cantico del gallo silvestre. In:Operette morali.
[15]        “Je suis le Ténébreux, -le Veuf, - l'Inconsoé,/le Prince d'Aquitaine à la Tour abolie:/Ma sole Étoile est morte, -et mon luth constellé/Porte le Soleil noir de la Mélancholia”, Nerval, “El Desdichado”
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