CUORE DI TENEBRA
Viaggio al termine della psichiatria
di Gilberto Di Petta

LA TREGUA DI NATALE Notte del 24/25 dicembre 2018, SPDC

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26 dicembre, 2018 - 09:26
di Gilberto Di Petta
Lo vedrà soltanto una sera, a cosa serve?
-Non sarà soltanto una sera. I nostri minuti sono più lunghi dei suoi
Dal film “Joyeux Noel”, 2005
 
 
A mezzanotte ho deposto due bambinelli nella mangiatoia. Il presepe me lo regalò un paziente cocainomane paranoico. Perché due? Penso ai gemellini nigeriani, di cui forse sopravviverà uno, penso a D., che ci ha lasciato lunedì scorso, che è venuto a morire qua. Penso che, in ogni caso, due bambinelli sono meglio di uno.o. Si chiamava D. e’ stato da noi un weekend lungo, da giovedì pomeriggio a venerdì mattina. Aveva 38 anni. Sono stati tre giorni scanditi da un andirivieni di consulenti. Internisti, chirurghi, anestesisti. Per nessuno, tranne che per noi, il paziente era meritevole di trasferimento in reparti per pazienti “organici”. Tutti ritenevano che le sue condizioni non fossero così preoccupanti. Sottovalutazione del pericolo? O presenza di un pregiudizio inabbattibile. Se si, quale pregiudizio? Che i pazienti psichiatrici, proprio perché sono psichiatrici, non hanno corpo. Questo è parte dello stigma. A volte gli esami di laboratorio e strumentali, su cui si fondano la medicina scientifica e la medicina delle evidenze, non sono così eloquenti. Si tengono in uno strano equilibrio, fino alla fine. Forse è il tentativo estremo di compensazione dell’organismo. Quando dànno segno è tardi. Soprattutto in pazienti che non si lamentano. D. ci è giunto in stato catalettico, non si lavava né veniva lavato da tempo. Non parlava. Aveva un’espressione allarmata e stupita. E’ stato sottoposto, in tre giorni, a due TAC, una al crano in PS, ed una al torace, in reparto; ad una rx toracica, a vari ecg, a vari esami ematici, ossigeno terapia. E l’abbiamo perduto. Senza “caricarlo” di farmaci. Perché questo ci viene imputato, sempre. E’ spirato pulito. Prova ne è che non gli hanno fatto neanche una fiala di narcan o di flumazenil. Purtroppo D. è finito in SPDC. Gli infermieri hanno praticato con alacrità la rianimazione cardiopolmonare in attesa dell’ultimo anestesista. Senza esito. Dalla sera stessa, e per i tre giorni successivi, abbiamo avuto la polizia in reparto. Cartella sequestrata. Salma sequestrata. Autopsia. Tutti interrogati. Compresi i signori colleghi medici e chirurghi con la M e con a C maiuscole, che oscillano tra due atteggiamenti nei nostri confronti. Il primo è : “Vi state allarmando, il paziente sta bene. E’ un paziente psichiatrico. Cosa volete che accada”. Il secondo è : “Siete medici anche voi, dunque è già ricoverato in ambiente medico, siete perfettamente in grado di assisterlo, non è che lo stiamo lasciando in mezzo ad una strada”. La prima concezione (il paziente non ha nulla. Il paziente è ps….) è svalutativa del fatto che i pazienti psichiatrici abbiano un corpo. Un corpo che si ammala, spesso senza che la mente possa monitorarlo e darne segnale. Un corpo che si deteriora, che salta la cura di sé, che reca la collateralità di anni di farmaci. Un corpo senza un mondo. Che cosa è un corpo, senza un mondo? Se la mano è concava per la convessità del mondo, il corpo, i suoi sensi, le sue percezioni, le sue articolazioni, la sua muscolatura sono plasmati per il mondo e plasmati dal mondo. Un corpo senza mondo è un corpo che vive solo del suo ciclo biologico, un corpo consegnato alle microrelazioni problematiche del nucleo familiare chiuso, spesso psicotico o psicoticogenetico. Il secondo atteggiamento (il paziente sta già tra medici in ambiente medico) è negazionista. In manicomio il paziente entrava dritto e usciva coricato. Tutto quello che gli accadeva gli accadeva dentro. Operazioni chirurgiche, lastre. Tutto. Il manicomio era un mondo, L’ SPDC è solo un segmento deputato alla gestione dell’acuzie. Le nostre pareti sono nude perché con sonde e boccagli i pazienti possono strangolarsi. I nostri reparti assomigliano più a celle che a camere ospedaliere. Però siamo medici, però siamo in un ospedale. Però dovremmo miracolosamente riuscire a trasformare una “cella nuda” in una camera di terapia intensiva, con tanto di monitor che fanno bip-bip-bip-bip. Prestigiatori, giocolieri di setting a geometria variabile. Cella nuda o terapia intensiva, come il set di un teatro che viene variato all’occorrenza.  La battaglia per l’affermazione della corporeità dei nostri pazienti comincia nel PS, per avere un esame più approfondito la diagnosi differenziale tocca a noi. Il paziente non viene visitato. Non viene toccato. Una preghiera per far refertare l’ecg. Poi il problema dell’attesa dei risultati degli esami La pressione a liberare il lettino è forte. Non si sa  dove farlo aspettare. PS gioiello, all’americana, con sale dedicate ai codici, con triage. Ci sta perfino al stanza degli infettivi, ma nessuno ha pensato ad un circuito per il paziente psichiatrico, ad un ambiente per il paziente agitato. Nessuno ci ha interpellato quando il progetto era su carta. L’agitazione psicomotoria viene gestita tra bombole di ossigeno, infiniti fili di gomma, separè, macchinari. Perché il paziente psichiatrico è uguale agli altri. Dunque non ha bisogno di un circuito suo. Poi, però, non è uguale agli altri, perché il suo ingombro deve essere evacuato presto, e ce lo dobbiamo portare nei nostri reparti. Perchè dà fastidio, è clamoroso, non collaborativo, perché richiede assistenza, perché non si prende la terapia da solo, perché non ha un parente. Perché..perchè..perchè..forse perché non vale niente. D. da noi è stato lavato, è stato studiato, è stato curato, ed è finito. Ho detto al primario del PS che dai dati della letteratura i pazienti psichiatrici gravi hanno un’aspettatva di vita ridotta di venti anni, rispetto alla media. Mi ha detto che non conosceva questo dato. Questo dato implica che questi pazienti sono delle bombe ad orologeria. Ad un certo punto la vita lascia un corpo senza mondo, una mente senza corpo. Per loro, per i medici con la M maiuscola, questi pazienti sono delle menti senza corpo, delle menti vuote o piene di scemenze. Ma disincarnate. E se il corpo ha qualche manifestazione anche questa è un sintomo psichico.  E’, secondo loro, un paziente sporco, potenzialmente aggressivo, non controllabile e poco gestibile. Vorrebbero la “guardia a  permanenza”, se proprio deve essere trasferito per un problema organico nei loro reparti.vorrebbero che i nostri infermieri scortassero H24 i nostri pazienti nei loro reparti. E’ una polemica che ci ha stancato. Una questione che interroga il senso etico della medicina contemporanea (ha ancora un senso etico? I medici hanno ancora un’etica?) E’ una questione che interroga la loro e la nostra preparazione clinica. Sono ancora dei clinici gli specialisti che noi consultiamo? O guardano il funzionamento di un organismo solo dalla loro particella, dal loro segmento? Nessuno ha più uno sguardo d’insieme. Sentire che un paziente si approssima alla sua ora. Sentire la morte che sta in agguato e cammina dentro di lui. Cogliere il funzionamento di un organismo dal suo insieme, come una Gestalt, che è più della somma dei parametri dei suoi organi. Lo sguardo del  medico condotto di una volta, del clinico a mani nude, che non disponeva di nulla. Lo sguardo dell’internista di una volta. Ad un chirurgo che voleva ricoverare D. nel reparto di chirurgia, dopo aver effettuato la consulenza, il suo primario ha ovviato che non era stato competente ed ha inviato un altro chirurgo di sua fiducia che, ovviamente, ha stabilito di non ricoverarlo. Nella mortificazione di essere sottoposto, insieme ai miei colleghi, ad un interrogtoiro di polizia, ho avuto la soddisfazione di vedere questi presuntuosi della medicina scientifica dover fare la fila per essere a loro volta interrogati dalla polizia. E’ stato bello vedere che hanno dovuto interrompere i loro preziosi impegni e il loro prezioso tempo per venire a trascorrere una mattinata in SPDC. Spero che la prossima volta quando li chiamiamo preferiscono venire con alacrità, perché non li chiamiamo per pettinare la bambole, nonostante non siamo più confidenti come loro con la medicina organica, forse ancora sentiamo che un paziente non ci piace, o che il suo quadro clinico non è solo psicopatologico. Meglio se li chiamiamo noi anziché se li chiama la polizia. Tutto questo accade a quaranta anni dalla 180. Senza che nessuno di loro abbia capito che per i nostri pazienti non vi  alcun internamento, che, quando stanno in PS, esi sono in primis pazienti del PS, che noi non abbiamo alcuna delega totale sulle loro vite, che essi sono cittadini come gli altri, che hanno diritto alle cure. Che hanno un corpo. A volte un corpo senza un mondo. Anche un corpo senza un mondo ha diritto di essere curato. Questo accade, stranamente, in un mondo dove la psichiatria medica si è definitivamente imposta sulla psichiatria sociale e sulla psichiatria psicodinamica. Ci si aspetterebbe, dunque, che la psichiatria medica sapesse far valere in primo piano il corpo dei nostri pazienti.  Con un particolare, forse, che fa la differenza.  La psichiatria medica si è scavata una nicchia dentro il cervello, tra il diencefalo e la corteccia. Essa è propriamente psichiatria molecolare o biologica. La psichiatria corrente non è psichiatria clinica, benché psichiatria medica. La psichiatria organicista dell’Ottocento e della prima metà del Novecento era una psichiatria endocrinologica, era una neuropsichiatria, era una psichiatrica che interrogava il fegato. Che guardava le pupille, l’andatura, il colore della pelle. I vecchi trattati che si accumulano nella mia libreria come simulacri di un tenpo andato, erano zeppi di fotografie di volti,, di facies, di pazienti nudi, fronte retreo, di pazienti fotografati a letto. La letteratura corrente è senza foto, senza pazienti. Solo una esposizione di dati. Pinel era un medico e riteneva che negli asili per i folli dovvesse starci il medico, non per curare la follia, che veniva trattata con approcci umanistici, ma per occuarsi dei corpi, della salute dei corpi, nutrizione, malattie infettiva, malattie di ogni genere. Ecco come la psichiatria si aggancia alla medicina, ad una medicina organistica. Poi la medicina diventa d’organo. Poi diventa cellulare. Quando un uomo muore le sue cellule continuano a vivere per un po’ tempo. Gli uomini muoiono, le cellule sopravvivono. Poi l’avvento del modello recettoriale ha soppiantato il corpo.  La psichiatria psicoanalitica ha ceduto il passo alla psichiatria meta-analitica. Quale futuro, allora, per i nostri pazienti? Chi si prenderà cura di loro e dei loro corpi?  Quale convegno si pone come obiettivo la conservazione dello stato di salute fisica dei nostri pazienti e la cura del loro corpo in caso di malattia organica? Possiamo immaginare sistemi riabilitativi perfetti, non avremo fatto nulla se il corpo dei nostri pazienti va al macero ombrato dallo stigma. Ricevere una diagnsoi psichiatrica significa cancellare il proprio corpo? Che posto la medicina parcellistica contemporanea, che richede una grande collaborazione da parte dei pazienti, può venire incontro ai nostri pazienti, soprattutto in quei casi in cui il paziente non è autonomo? Ci battiamo contro le contenzioni? D, non è mai stato contenuto. Ci battiamo per evitare la farmacoterapia selvaggia? D, non ha ricevuto farmaci? D è morto. E’ morto tra le nostre braccia, in spdc, circondato da un personale che ha corso contro la morte per arrivare ad una diagnosi, scontrandosi con la sordità e il pregiudizio di tutti. Scusate, in questi giorni di festa, il grido di dolore di un operatore che sente tutto il suo fallimento, tutta la sua rabbia, tutta la sua disperazione.

Buon Natale a tutti.    

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Commenti

Buon Natale Gilberto !
.... Mi sembra di rivedere il rifiuto dell'accoglienza di quella giovinetta incinta pronta a partorire che insieme al suo compagno chiedeva ospitalità...... Oggi come allora solo una "stalla" è stato il luogo possibile dove prestare soccorso....dove ricevere calore .....siamo ancora fermi lì !!
Buon Natale Gilberto
Amerigo Russo

Caro Amerigo,
da sempre pioniere, con il tuo spdc, dell'accoglienza a chiunque, congruo o incongruo, appropriato o non appropriato, abbia avuto bisogno di un ascolto, di una mano, di un rifugio. Noi siamo da sempre anche questo.

A parte l'evidente lapsus omoerotico oppure il tuo profondo desiderio di essere padre, ormai quasi fallito, che diventa ipertrofico...

Dopo aver letto la tua appassionata lettera ed ascoltato il tuo colto video sulla paranoia (dalla catatonia alla violenza esplosiva) ho perso tempo per riflettere...

Esiste una contraddizione di fondo ed un mancato perdono che sono umanamente comprensibili, ma che vorrei leggessi per te stesso e tutte le persone coinvolte, a partire dai nostri pazienti e dai loro parenti.

Dove sta scritto che se fosse stato curato altrove sarebbe sopravvissuto? Dove sta scritto che le cure ricevute in Spdc non siano state tutte quelle possibili ed utili al caso?

Noi psichiatri non siamo abituati alla morte, questo è un problema nostro, e soprattutto siamo emotivamente legati ai pazienti e questo è un altro nostro problema.

È utile essere emotivamente legati al paziente per curare un infarto? E allora perché dovrebbe essere utile per curare il cervello?

Non siamo abituati al riconoscimento come medici e allora decidiamo cosa siamo?

Tu arringhi sul ruolo di medico dei medici dell'ottocento ma non accetti il ruolo di medico del terzo millennio?

Tu vuoi espellere dal Spdc un paziente perché abbia un corpo riconosciuto (quindi siamo noi psichiatri a non riconoscerlo e questo è un tuo argomento) ma poi pretendi un circuito per sofferenti psichici diverso in Pronto Soccorso... Quindi l'esclusione a priori del loro corpo!

Credo che sia anche sbagliato il tuo pavor nocturnus da strappamento di cavi e flebo. A parte che non risultano tra le cause di morte, ma sono frequenti in tutti i reparti!

Infine evocare a Natale il fantasma di un paziente che soffoca l'altro con quei cavi...

Mi taccio per compassione!

Caro Manlio, ti ringrazio per la tua solerzia nel prendere parte al dibattito. Mi astengo dal rispondere alle tue "interpretazioni" che mi coinvolgono sul piano personale, e che, francamente, lasciano molto il tempo che trovano. Per il resto non posso che invidiarti le certezze che sbandieri. Personalmente nutro solo dubbi. In merito alla compassione non mi pare che come sentimento trapeli molto dal linguaggio che utilizzi. Ho trascorso il primo giorno di quest'anno in un commissariato di polizia per ricevere la fredda notifica di un avviso di garanzia. Il primo della mia vita professionale. Ed oggi, dalle 8 di stamane, sono al mio posto. Incontro all'ignoto. Come tanti colleghi dei quali avverto silenziosa la profonda solidarietà. Purtroppo lo stesso non posso dire di te. Del tono farsesco di questo tuo intervento, del tutto incongruo data la drammaticità dell'evento, la solennità festiva, il senso di colpa e di solutudine di un collega che si affida il suo dolore ad un messaggio nella bottiglia.

Vedi Gilberto, ti ringrazio per avermi letto e per aver notato il tono farsesco (dovuto alla maschera che indosso in foto) necessario tuttavia, come fase di elaborazione del lutto, perché la vicinanza non è sempre del tono della depressione o della compassione, ma anche quello della sfida a perdonarsi a cambiare tono subito in modo paradossale...
Ridere aiuta, ma soprattutto aiuta a riflettere.
L'evento ha colpito o poteva colpire chiunque, ma è normale che i pazienti muoiano e resto convinto, come ho scritto che l'SPDC ed i colleghi ed infermieri in loco abbiate fatto tutto esattamente tutto quello che sarebbe stato fatto in un altrove che tu vivi come magico e salvifico, ma che è probabilmente solo prosaicamente altro da me, per allontanare l'idea della morte.
L'idea della morte del capro...
Lo sai meglio di me chi sto citando... Quindi RIDI ma rifletti... anche... soprattutto sulla discrasia del chiedere un corpo e negarlo separando gli spazi nel PS... perché sono le reazioni drammatiche al lutto che stanno TOGLIENDO DIRITTI CIVILI a tutti nel nostro Paese, come in altri, in nome della SICUREZZA che in fondo tu invochi per i CORPI e che invece diventerebbe a mio avviso una gabbia in cui si impiccherebbe prima o poi qualcuno essendo la morte inevitabile e i lacci sarebbero quelli giuridici o procedurali, invece di quelli reali... e purtroppo quelli sono molto più pericolosi per i medici di questi!

debbo dire come editor ma pure come amico di sentirmi profondamente vicino a Gilberto Di Petta.
Riguardo al commento di Manlio non posso non dire che purtroppo il Dott. Converti è molto meglio dal vero che per iscritto

Caro Gilberto , posso comprendere la tua rabbia e la tua disperazione di questi giorni. Posso comprendere la frustrazione che è comune a me e a tutti i colleghi che turnano in Pronto Soccorso , fanno consulenze nei reparti e chiedono consulenze nei loro reparti . Gli psichiatri vengono considerati una razza a parte dai “colleghi medici”, che si dibattono in una sottile ambivalenza .. da un lato vedono lo psichiatra come il deus ex machina che deve risolvere ogni tipo di problema urgente e arrivare nel minor tempo possibile quando chiamato ..; dall’altro lo considerano un “mezzo medico”, perlopiù incapace di visitare un paziente e distinguere sintomi anche banali. Ma a fronte di questo tendono poi a minimizzare ogni richiesta di consulenza fatta da uno psichiatra per un paziente psichiatrico e si fanno attendere , spesso dovendo sollecitare più volte la consulenza e una volta in reparto o in Pronto Soccorso tendono a privilegiare la diagnosi psichiatrica rispetto a quella medica , sottovalutando situazioni meritevoli di osservazione medica o chirurgica in reparti specialistici sostanzialmente per evitare i problemi che un paziente psichiatrico potrebbe creare in quegli stessi reparti . Perché ancora oggi lo stigma del paziente psichiatrico (sopratutto se psicotico) è traducibile in una generica idea di “pericolosità”. Quindi non solo il paziente psichiatrico non ha diritto ad avere un corpo , ma chi ne è garante (lo psichiatra) ha il dovere di custodire la “bomba ad orologeria “ in un luogo adatto, l’Spdc . Possibilmente lontano dal resto degli altri malati . Se può esistere un corpo senza un mondo, non può o non dovrebbe esistere una Medicina senza un’etica. A noi però sta il lottare quotidianamente per riaffermare questa Etica e pretendere i diritti basilari e un trattamento equo per i nostri pazienti .

Cara Nadia, concordo su tutto. Nessuno poteva prevedere che la battaglia per l'integrazione dei nostri pazienti si svolgesse in modo così capillare proprio nei reparti di emergenza, negli ospedali civili. Lasciando il manicomio come un mondo, abbiamo dato per scontato che i nostri pazienti meritassero le corsie internistiche o chiurgiche, come cittadini qualunque. Da una certa antipsichiatria noi degli spdc siamo visti come gli ultimi manicomiali, gli ultimi coercitivi, gli ultimi spruzzafarmaci. Sarebbe bello che fossimo considerati anche tra i primi che, quotidianamente, lottano, in ambiente ospedaliero, per il diritto alla salute dei nostri pazienti.

Intanto Buon Anno a tutti e in primis a Gilberto. Questa nuova esperienza si muove su due percorsi. Il primo, prettamente fenomenologico, ci ricorda l'esperienza del corpo-mondo; è sempre significativo e completo in sé. Il secondo va a problematizzare un tema estremamente complesso: il rapporto tra etica della medicina e dei medici versus integrità del paziente psichiatrico. Gilberto tocca i temi dell'etica che sono, forse, soprattutto temi epistemologici. Per abitudine preferisco riflettere sul foro interno prima di problematizzare "gli altri". Ovviamente prescindo dalla specifica situazione clinica che sembrerebbe aver comunque ricevuto i presidi medico-diagnostici necessari. Gilberto ci farà sapere le conclusioni della magistratura. In generale pongo i seguenti quesiti, connessi alla mia esperienza:
1. noi psichiatri siamo rimasti medici competenti? Quanti psichiatri si aggiornano sui temi della medicina generale per mantenere un buon livello di competenza diagnostica capace di porre quesiti precisi ai colleghi delle altre branche?
2. La sottovalutazione di sintomi medici iniziali mi sembra essere uno dei problemi degli psichiatri, che tendono, anche loro, a cercare origini psicopatologiche prima che organiche.
3. I lunghi decenni della cosiddetta "Psicosomatica" ha inquinato la stessa epistemologia medica che spesso si è fatta contagiare dalla concomitante presenza di fenomenologie psicopatologiche. L'invio più frequente da parte dei colleghi del Policlinico Gemelli al mio Servizio di Psicoterapia era così motivato: . Forse sarebbe meglio essere rigorosi: Da medico ho spesso rinviato i pazienti e, con notevole frequenza, ulteriori approfondimenti identificavano etiologie anche mediche. Ultimo esempio, ragazzina di 16 anni con debolezze, depressioni, isolamenti, non diagnosticata per anemia grave. Poi c'erano anche altre problematiche, certamente. Ma le nostre parole non producono ferro!
4. Il problema mi sembra inquietante per gli psicologi che possono solo accogliere acriticamente le valutazioni dei medici curanti. Sono quindi portati inevitabilmente a esplorare psicogenesi di ogni tipo, metafore e simboli laddove spesso vi sono lesioni biologiche. Non so come si possa risolvere questo problema anche perché nelle facoltà di Psicologia e nelle Scuole di Specializzazione viene descritto come un vanto Quante volte l'ho sentito ripetere da fior di docenti e quanti attacchi ho avvertito per il mio ragionare diversamente. Gli psicologi/psicoterapeuti collaborano con gli psichiatri e gli psichiatri devono sensibilizzare al biologico e al questionarsi attorno al biologico. Ammesso che lo sappiamo ancora fare. Come scrive Gilberto il biologico di cui parlo non è il "traffico molecolare" tra diencefalo e corteccia.
Mi scuso per aver affastellato tanti spunti, meritevoli di autentici e onesti dibattiti. La mia grossolanità fa da eco alla sofferenza di Gilberto alla fine dello scritto. So che non tollero più sentirmi dire che la mamma ansioso fa figli asmatici ne che i denti della mamma introiettati nella mucosa gastrica assieme al latte cattivo generano l'ulcera.

Caro Corrado, innanzitutto scusa per il ritardo nella risposta. Ma, come capirai, sono stato travolto dagli eventi. Non voglio lasciare scorrere l'entità dei problemi che tu sollevi. Interni, come dici, e mi sembra più che giusto. E' come se tu dicessi : il primo scotoma del corpo dei nostri pazienti lo facciamo noi. Questo è vero quando mettiamo il loro corpo sullo sfondo, quando ci secca fare screening organici di controllo (per loro e per noi); quando ci lasciamo andare ad interpretazioni iperboliche, tutte simboliche e tutte dinamiche; quando pensiamo che ogni conflitto psichico debba o possa incarnarsi in un effetto somatico. Quante volte mettiamo le mani sulla pancia di un paziente? quante volte mettiamo le olive del fonendoscopio nelle orecchie? E la diffusa reazione immune che circola in molti di noi quando si tratta di fare un turno in spdc, non ha forse a che vedere con un rigetto nei confronti del clima ospedaliero? Del Pronto Soccorso? Della cartella clinica fatta di esami strumentali? E, continuando, dei letti sfatti, della lotta per lavare o per far lavare i pazienti; della lotta per farli cambiare; del timore del contatto fisico, della vicinanza, della violenza. E ci sarebbe ancora da dire. Questa psichiatria che, staccandosi dalla neurologia, ha flirtato con la psicologia e con la sociologia, per poi cabrare sulla biologia. Cosa si è perduto in questo volo? Volo di Icaro o volo di Dedalo? Volo con ali di cera in ogni caso. Farse si è perduta la clinica. L'unica psichiatria che può essere veramente medica, non è quella biologica, è quella clinica. Di una clinica che non trascura il corpo, che fa del corpo lo stesso oggetto di attenzione che fa per la psiche. Sento che questa strada è difficile da ripercorrere. Sembra ad andamento retrogrado. Eppure qualcosa va recuperato, forse un metodo, un atteggiamento. Una maniera per non sentirsi solamente ospiti sgraditi dentro la medicina, ma protagonisti e capofila di un ritorno alla clinica. La clinica come linguaggio comune e base di partenza di tutto. Ti abbraccio

Voglio ringraziare il maestro Corrado Pontalti per il commento, perché getta luce su quell'incolmabile lacuna che la formazione in Psicologia in un certo senso produce, infatti, come lui scrive, da Psicologo posso "solo accogliere acriticamente le valutazioni dei medici curanti", in quanto la formazione ricevuta sia all'Università che nella Scuola di Specializzazione alla Psicoterapia non mi ha formato al biologico; allo stesso tempo mi reputo un fortunato in quanto lavorando in dialisi con medici Nefrologi ed Internisti, che ringrazio, ho potuto acquisire una certa conoscenza della materia. Ringrazio soprattutto Gilberto, che a mio avviso risponde al mandato posto dal commento di Corrado "gli psichiatri devono sensibilizzare al biologico e al questionarsi attorno al biologico" avendomi invitato a tradurre l'opera di Lopez Ibor dal titolo Angustia Vital, che mi ha gettato pienamente e consapevolmente incontro ad un autore che intende la psicosomatica in maniera diversa, come si evince da questo breve estratto: “Il pericolo della medicina psicosomatica può provenire dal fatto che l’indiscrezione del lato psichico faccia trascurare quello somatico, come succede a molti psicoanalisti. Questo pericolo esiste solo quando si pone male il problema nucleare della medicina psicosomatica, giacché con questa non si tratta di studiare le patologie dal punto di vista psichico, bensì globale, in quanto questo è quello che vuol dire psicosomatica”. Ed ancora dice: “molte volte si rilancia il problema dei limiti della Psichiatria rispetto alla Patologia medica. Gli psicoanalisti giunsero a una vera situazione-limite negandosi di esaminare somaticamente i pazienti. Io non credo che questo si possa né si debba fare. La base per una autentica psicoterapia è la fiducia del paziente per il medico e questa non si può stabilire se questo si autolimita in un modo tanto considerevole. Tutti gli psichiatri o neurologi che non rinunciano a trattare nevrotici o timopatici, devono saper esaminar un paziente somatico e rilevare il disturbo organico che può presentarsi. Andrà male a chi vuole occuparsi delle nevrosi d’angoscia o della timopatia e non sa leggere un elettrocardiogramma.”

Caro Giuseppe, grazie per darci la possibilità di conoscere il pensiero di Lopez-Ibor. A volte dentro le cose semplici ci sono le svolte per le situazioni complesse. I nostri specialismi rischiano di portarci a fondo corsa in via a fondo cieco. C'è un tronco comune, una base, da quella non dovremmo troppo distaccarci. Auguri per questo tuo nuovo percorso ai bordi dell'organico. Sarà utile per noi tutti saperti tra le corsie dell'ospedale. Daccene traccia.


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