Editoriale
il punto di vista di Psychiatry on line Italia
di Francesco Bollorino

NAPALM51, MAURIZIO CROZZA, L’ODIO DI RETE E LA SOLITUDINE DEI NUMERI ZERO.

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26 marzo, 2019 - 16:13
di Francesco Bollorino
Anche se, nel nostro piccolo mondo “psy”, il nome di Maurizio Crozza è oggi, indissolubilmente, legato alla magistrale imitazione di Massimo Recalcati e alla sua “psicobanalisi”: tutti lo vedono, in diretta o in differita e tutti ridono, tranne, forse, il diretto interessato e il suo entourage genuflesso, adorante, dipendente; anche se forse ciò è vero, io credo che l’arte del comico genovese, che è anche e soprattutto un grande attore, dovrebbe essere ricordata di più per un’altra maschera che in maniera impareggiabile propone ogni venerdì in TV: NAPALM51, il tragico ed esilarante leone da tastiera, un personaggio, l’hater di rete che nelle sue mille vesti ci è certamente capitato di incontrare e che Maurizio rappresenta con una profondità che va ben al di là della semplice macchietta.
 
 

Ciò che colpisce nella rappresentazione del personaggio non è soltanto l’atmosfera paranoide che circonda ogni sua frase, non è l’ignoranza fatta a vessillo arrogante, non è il ritiro in un mondo di “like” trasformati in approfonditi giudizi di merito, non è la convinzione autoreferenziale dei costrutti, no, è il vuoto, la solitudine infinita e tragica che il personaggio emana da sé e sorge il dubbio che, al di là dell’estremizzazione, Crozza rappresenti anche e soprattutto il NAPALM51 che alligna in ognuno di noi, potenzialmente.
 
Viviamo dentro un mutamento epocale: l’avvento ineludibile, incontrollabile, DEFINITIVO dell’ INFORMATION TECHNOLOGY SOCIETY porta con sé altrettanto ineludibili, incontrollabili definitivi mutamenti del nostro essere “animali sociali”; un cambio di paradigma talmente profondo da poterlo paragonare al passaggio dalla vita nomade, basata sulla caccia, alla vita residenziale basata sull’agricoltura e sullo scambio, nella storia dell’umanità.
Un mutamento tanto radicale, per quanto giovane di appena 11 anni[1], e tanto profondo, porta con sé inevitabilmente delle conseguenze non solo sociali ma pure afferenti alla sfera privata del nostro essere membri di tale nuovo assetto, in una “weltenshau” che coinvolge certo l’economia e i rapporti di forza e potere, ma che, profondamente, per la sua intrinseca pervasività, incide, anche, sui nostri comportamenti e sulla fisiopatologia del nostro vivere, agire, pensare.
 
Analizziamolo un poco questo mondo di NAPALM51: è grande come la sua scrivania o meglio come la distanza che separa i suoi occhi dallo schermo del suo PC, anche se, da lì, egli pensa di spiccare il volo; verso dove?
In quale virtuale si perde, pensando di muoversi con abilità e competenza tra le maglie dei social networks?
Un virtuale di “conoscenze” solo telematiche, trasformate in “amicizie” più vere del vero, dove il proprio account diventa parte integrante del sé, rappresentazione in tempo reale del nostro sentire, diario pubblico del nostro vivere, dove il numero dei “like” costruisce la propria “autorevolezza” indipendentemente dal contenuto del discorso.
Un virtuale senza filtri di controllo reali sulla autenticità delle affermazioni, senza che le competenze vengano riconosciute come un riferimento, in un “mondo” dove post-modernamente va bene tutto e il suo contrario, supportati solo dall’autoreferenzialità che diventa referenzialità auto-generata.
Un virtuale dove costantemente prevale la rappresentazione rispetto alla percezione della realtà; un virtuale dove gli oggetti sono senza resistenza e finiscono per essere inglobati nel sé di cui divengono una protesi senza la separazione che consente, sola, una relazione vera.
Insomma, proprio un gran bel mondo in cui è facile perdersi o forse in cui ci si vuol perdere… supportati, come nutrimento, apparentemente solo da un odio indifferenziato (capace cioè di riversarsi su chiunque) che tutto distrugge e sembra lontano anni luce dalla benché minima ragionevolezza critica e soprattutto autocritica.

Perché?
La risposta che Maurizio Crozza propone è quella dell’anestesia rabbiosa nei confronti di un dolore profondo, esistenziale, storico: NAPALM51 è un personaggio tragico, profondamente infelice e solo; non ha nulla, non ha una prospettiva nel mondo degli atomi che gli consenta di staccarsi dal mondo dei bit che così diventa un rifugio dove agire indisturbato tutta la sua aggressività repressa. Niente “amore” come in “HER” solo “odio” che fa surf sulle onde del web ma che può far molto male a chi lo riceve spesso “gratuitamente”.
Ma dunque tutti i leoni da tastiera son come NAPALM51?
No, ci son pure quelli in malafede, se è per questo: i troll di professione, i manipolatori della pubblica opinione che semmai usano e aizzano i tanti NAPALM51, in un mondo (virtuale e reale) che sembra non avere ancora sviluppato adeguati anticorpi, purtroppo.
 
Non è che la rete sia solo questo: era e resta un patrimonio di conoscenza seria condivisa a cui mai l’Umanità ha avuto la possibilità di accedere ma, purtroppo, Internet NON E’ SOLO QUESTO, è pure il luogo che ho descritto sopra, forse, specchio sincero della complessità dell’essere uomini e della contradditoria realtà dell’esistere: semplicemente la tecnologia diventa un mega-megafono di tutto ciò.
 
Sorge il dubbio che, vista la vastità del fenomeno come abbiamo visto indissolubilmente connesso con il cambio di paradigma sociale in atto, che, forse, una significativa parte dell’ondivago successo del M5S possa basarsi ANCHE su questi sentimenti e queste frustrazioni, anche se va detto che il teatrino del palazzetto della politica tradizionale ha fatto tutto il possibile per favorirne la crescita esponenziale.
 
Ho scritto all’inizio che NAPALM51 rappresenta anche tutti i NAPALM51 che si annidano dentro di noi: il rischio del ritiro infatti è sempre presente, il rischio dell’elaborazione paranoide del lutto pure e l’impalpabile e rassicurante culla virtuale in cui porre i nostri dolori, le nostre fragilità, le nostre frustrazioni è sempre lì dietro l’angolo pronta a catturarci con una facilità che credo si sottovaluti e che non andrebbe sottovalutata.
Non fa bisogno di diventare hater di professione o complottisti per cadere nell’equivoco di confondere il virtuale CHE E’ UNA PARTE DEL REALE ORAMAI con una realtà unica in cui rifugiarsi e in cui rinchiudersi.
La vita ci può far sentire a volte dei numeri zero basterebbe rivoltarne il significato da ultimo della fila a “pilota” di una nuova serie di occasioni per vivere…
 
 
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[1] Si può datare l’inizio dell’Infomation Technology Society al 2008 anno in cui hanno preso piede, in maniera diffusa, gli smartphone dando avvio alla rivoluzione che nel 2000 avevo preconizzato nel mio saggio “ASCESA E CADUTA DEL TERZO STATO DIGITALE” proponendo i termini di un cambio di paradigma allora solo lontanamente immaginabile: “reti informatiche formate da unità pensanti sempre più piccole, sempre più potenti, sempre più user-friendly, sempre più multimediali tra loro interconnesse mediante un protocollo di comunicazione cross-platform e mediante sistemi di comunicazione sempre più efficienti e rapidi nella distribuzione dei dati, la cui fruizione e la cui costruzione è controllabile, in buona parte dall’utilizzatore finale
 
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Quando la virtualità è alienazione collettiva..... La ragione critica avversa a tutte le tecnologie nel loro uso spersonalizzante e disumanizzante. Credo sia salutare una giusta distanza critica nei confronti di qualsiasi contenuto "virtuale". Un abito mentale critico e auto critico fa la differenza.

non è così semplice in realtà: nel momento in cui si entra in un cambio di paradigma stabilizzato ovvero non in una fase di avvio paradigmatica come siamo nell'oggi è piuttosto difficile prendere le distanze dal virtuale. Il vero problema è l'educazione civica ad essere cittadini consapevoli di una nuova realtà. Questo non impedisce la nascita o lo sviluppo dell'odio in rete ma ne consente in parte la neutralizzazione. Si tratta non di difendersi solo ma di essere soprattutto consapevoli nell'immanenza del nuovo reale in cui volenti o nolenti dobbiamo vivere.


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