Quel letto di Procuste della nostalgia. In memoria di Jean Starobinski

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2 aprile, 2019 - 10:54
«La lontananza rimane.
In quanto rinasce essa rimane in una vicinanza,
cioè in quella vicinanza
che custodisce il lontano come lontano,
perché pensa al lontano e si volge verso di esso.
La vicinanza rimemorante del lontano
è ciò che la nostra lingua
chiama Sehnsucht, nostalgia».
Martin Heidegger.
 Saggi e discorsi. Chi è lo Zarathustra di Nietzsche
[a cura di Gianni Vattimo], Mursia, Milano, 1976, p. 70.
 
 
Sono veramente costernato, sfogliando POL.IT on line Italia, la rivista telematica di Francesco Bollorino, apprendere da Gilberto Di Petta, mentre lo salutava, che se n’è andato colui che, per quasi un secolo, ci aveva impartito «La lezione della nostalgia: addio Jean Starobinski, psichiatra e umanista».
Lo abbiamo appreso dalla sua rubrica “Cuore di tenebra”. Abbiamo letto che Starobinski ci ha lasciato quasi centenario, come, a suo tempo, mia madre. In un certo senso anche il filosofo-psichiatra svizzero, apparteneva al mondo della migrazione in quanto i suoi genitori provenivano dalla Polonia. Alla mia tristezza, però, debbo aggiunge una specie di senso di colpa per un proposito tradito e per giunta da me dimenticato. Mi ero ripromesso di scrivere un saggio sulla nostalgia che non ho più fatto. Per fortuna che Gilberto costituisce de facto la memoria attiva di tutti noi della psicopatologia fenomenologica nati negli anni trenta del secolo scorso, e anche prima, amici e seguaci di Callieri.
Non potrebbe essere altrimenti. Ho ancora nelle orecchie la voce di Bruno in una tavola rotonda, delle sue ultime, scandire solennemente, indirizzato a Gilberto Di Petta «Triste è quel discepolo che non avanza il suo maestro».


 
♦ 1. Un vecchio progetto.
È dal 1987 che avevo intenzione di scrivere un saggio critico sulla nostalgia, come stato d’animo in generale.
Era appena uscito da Marsilio La nostalgia nella valigia un mio testo che concerneva un aspetto della nostalgia-malattia (l’Heimweh), quella dei mercenari svizzeri del Cinquecento ed altri soldati per andare a combattere nelle pianure mefitiche, lontano dalle montagne di casa loro. Per argomentare le sofferenze psicologiche delle popolazioni migranti, ero partito proprio dalla dissertatio di Joannes Hofer [01], sulla “malattia svizzera”, che, al postutto, tanto svizzera non era.
Conoscevo Jean Starobinski, uno dei principali studiosi sul tema della nostalgia – splendido autore di Trois Fureurs (Gallimard, Parigi, 1974) – ma per quella particolare nostalgia della maladie du pays mi ero avvalso principalmente del testo di Ralph Harper, Nostalgia. Una esplorazione esistenziale della brama e della realizzazione nel mondo moderno, tradotta da Paul Gabriele Weston e Pier Ferdinando Callieri, Il Pensiero Scientifico, Roma 1976. [02]
Questa splendida riflessione di Ralph Harper mi aveva aiutato a comprendere meglio le datità esistenziali dell’uomo che si muove nelle coordinate del tempo e dello spazio: «La più antica nozione di uomo nella civiltà occidentale è quella che lo vede viaggiatore, o come pellegrino verso il cielo o la casa o, al contrario, come vagabondo o esule. È anche al centro di Omero; è nelle tragedie greche; è in Platone. È soprattutto ebraica e cristiana. Nel nostro tempo è rivissuta nelle opere di Joyce e Kafka. Marcel ha intitolato una delle sue raccolte di saggi Homo Viator, ed ha giustificato ciò dicendo che la vita umana è spaziale e che la vita inevitabilmente è un viaggio. Si può dire che la vita umana è anche temporale e che, come comprese Proust, la vita inevitabilmente è un ritorno. Questi due aspetti ovviamente sono intrecciati. Il concetto stesso di presenza combina spazio e tempo, perché la presenza si fa sentire in un posto, proveniente da un posto e nel mezzo del tempo» [03].
Scrivevo allora che «La nostalgia appartiene a quel genere di accadimenti complessi della vita dell’uomo che possono metterne in crisi l’esistenza. Essa sembra erompere, sotto forma di struggimento, per la separazione, il distacco, l’allontanamento da alcunché di indefinibile che – pur riconosciuto come proprio, intimo, personale o come entità di appartenenza — si ha la sensazione di non poter più recuperare compiutamente. Solitamente viene associata all’esperienza di chi si allontana dal proprio paese o se ne trova lontano o non vede prossima la possibilità di rientrarvi. È anche di uso comune dire che si prova nostalgia per una persona, per un oggetto, per un momento definito dell’esistenza, per un topos spazio-temporale di appartenenza. Esiste dunque la possibilità di una infinita gamma di nostalgie: per la casa, per la patria, per la madre, per l’infanzia, per un tempo felice («il paradiso perduto»), per il nutrimento antico, per l’amore perduto, per la bellezza sfiorita, per la vigoria posseduta e così via» [04].
 
♦ 2. Nel frattempo.
In questi trent’anni e più, avevo accumulato svariato materiale, documenti e testi di vari specialisti sul tema in questione. Ci fu anche un periodo, molti anni addietro, che seguivo la “Pagina culturale” del quotidiano la Repubblica, perchè a sovrintenderla c’era una persona che stimavo e avevo conosciuto personalmente: Paolo Mauri uno scrittore e critico letterario milanese del 1945. Poiché  andavo sempre di fretta, approfittavo del “suo” giornale, per tenermi informato sulle novità librarie. Leggevo avidamente le recensioni di libri relativi a personaggi che conoscevo o che m’incuriosivano perchè della sua attività di critico letterario mi fidavo ciecamente. [05]. Dal quotidiano romano, appunto, avevo ritagliato delle manchette e delle recensioni di libri sull’argomento “nostalgia” che, ripiegate in quattro, ho ritrovato nel mio testo La nostalgia nella valigia.  Vale la pena di riportarne solo un paio di codeste “cartuccelle” di appunti frusti e molto disordinati, in segno di rispetto e di cordoglio per il personaggio Jean Starobinski, scomparso l’8 marzo 2019 e commemorato da Gilberto Di Petta.
Sul quotidiano la Repubblica del 09 maggio 1995 (pagina 36 sez. CULTURA) con grande evidenza  è riportata la notizia “URBINO LAUREA JEAN STAROBINSKI”. Le note di redazione segnalano una rapida biografia a marcare il rilievo dello studioso. «Jean Starobinski (Ginevra 1925-vivente, allora lo era, ndr)  viene insignito oggi ad Urbino della laurea honoris causa in Lingue e letterature straniere. Il riconoscimento al saggista francese è stato deciso dalla Facoltà di Lingue dell'Università di Urbino e la cerimonia di assegnazione si svolge oggi alle 18 all'Aula Magna. Starobinski è nato settantacinque anni fa a Ginevra dove vive e dove ha insegnato per più di trent' anni dedicandosi alla storia della letteratura francese e ad un' altra serie di argomenti scientifici, dalla psichiatria al pensiero, dal Cinquecento all' Ottocento. Singolare figura di intellettuale alieno dagli specialismi, attento indagatore di alcune questioni circolanti nella storia delle idee (la maschera, l'illusione, l'artificio, la menzogna), Starobinski ha ricevuto molte onorificenze. Nel 1984 gli è stato assegnato il Premio europeo de l'essai. Nel 1985 il Prix Balzan, nel 1988 il Prix Monaco e nel 1994 il Premio Goethe. Molti suoi saggi hanno segnato profondamente la critica contemporanea. In italiano sono stati tradotti, fra gli altri, L' occhio vivente (Einaudi, 1975), I sogni e gli incubi della ragione (Garzanti, 1981), La trasparenza e l'ostacolo. Saggio su Jean-Jacques Rousseau (Il Mulino, 1982), Montaigne. Il paradosso dell'apparenza (Il Mulino 1984), La malinconia allo specchio (Garzanti, 1990)».
Daria Galateria sul medesimo quotidiano romano del 19 dicembre 2008 (pagina 43 sez. CULTURA) pubblicava un servizio su Starobinski intitolato Le smorfie di Baudelaire. I poeti e il simbolo del potere. L’incipit, bellissimo, è il seguente: «Medico e figlio di medici, laureato in Lettere su Rousseau e in medicina, sul trattamento della malinconia, Jean Starobinski dichiara sorridendo che «Rousseau è stato il suo paziente più celebre». Ha insegnato a Ginevra, e nelle antiche aule le sue lezioni distillate in concetti chiari e amabili erano salutate a lungo dagli studenti con un tipico applauso, le unghie battute sui banchi di legno. Nei suoi saggi di incantato nitore Starobinski mescola storia delle idee, arti, medicina, scienza, musica».
 
♦ 3. La gamma delle nostalgie.
Capita, spesso, di ascoltare, nell’uso corrente, che «si è malati di nostalgia», «s’impazzisce di nostalgia», «si muore di nostalgia». Allora la gamma delle nostalgie si arricchisce di un’altra connotazione: quella della «malattia». Ebbene, questa «malattia-nostalgia», che oltre quattro secoli fa era già conosciuta in Svizzera con il nome di Heimweh; in Francia, durante l’epoca napoleonica come maladie du pays; in Brasile da sempre come Saudade, viene a complicare non poco le cose, tanto più che, da diverso tempo, i trattati di medicina non ne parlano più.
Sotto un profilo psicologico descrittivo la nostalgia si potrebbe considerare un’emozione, una pulsione sentimentale e nello stesso tempo un fenomeno intellettivo superiore come, per esempio, il ricordare un’esperienza che rattrista fortemente. L’esasperazione di entrambi, in senso accrescitivo o diminutivo, come alterazione del sentimento o del pensiero, potrebbe trovare considerazione in ambito psicopatologico.
Ma ci sono altri ambiti che possono accogliere, forse meglio, i connotati situativi della nostalgia – peraltro mal definibili e circoscrivibili, come già scrivevo nel 1987 [06] – vale a dire quelli fenomenologico, antropologico, caratterologico, sociologico, letterario,  metafisico, ecc.
Il fatto è che una definizione di nostalgia risulta difficile proprio perché in questo fenomeno esperienziale si possono riconoscere almeno due matrici: l’una timica, l’altra noetica. La prima attiene al mondo protopatico dell’affettività, cioè del sentimento, dell’istinto, delle tendenze pulsionali; la seconda compete alla sfera epicritica dell’attività mentale superiore: il pensiero, l’immagine, l’idea, il riconoscimento e la discriminazione più fine del vissuto esperienziale. La matrice timica alimenta la vibrazione endogena (o più propriamente endotimica) del sentimento, della passione nostalgica e dunque, giustifica, in qualche modo, anche il connotato di «malattia nostalgica», di «pazzia nostalgica», di «morire nostalgico». La matrice noetica conforta oltre che il sentire, anche il sapere nostalgico, vale a dire il pensiero, il rimando, la rammemorazione, l’immaginazione e la raffigurazione della nostalgia; in una parola la memoria-del-desiderio. Non si può escludere che proprio a questa radice noetica attinga quello che Harper indica come il «sentimento di giustizia poetica» dell’immaginazione nostalgica, come il senso «morale» della nostalgia [07].
In ogni caso non si deve mai dimenticare di prendere in considerazione il come, dove, quando, e perché della lontananza. Da ciò per cui si prova nostalgia o, più esattamente, il situativo e il biografico individuale della condizione nostalgica. Un conto sarà parlare del vecchio che prova nostalgia per la sua gioventù, un conto sarà intendere la sottile nostalgia proustiana della ricerca del tempo perduto, un altro conto sarà comprendere la nostalgia dell’emigrante che si trova lontano dalla patria. Alcune distanze sono ineluttabili, altre sono raffinatamente intenzionalizzate per meglio cogliere le sfumature della lontananza, altre ancora sono imposte dalla necessità di lavoro; e la situazione costrittiva, lo abbiamo già visto altrove, è sempre la più ingrata.
 
♦ 4. Quella malattia degli Svizzeri chiamata Heimweh
Carl Gustav Jung,  che di sofferenze mentali se ne intendeva ed era per giunta svizzero, interpellato in proposito della nostalgia degli Svizzeri, giudicata malattia nazionale, se la cavava rispondendo con estrema acutezza, che lo studio di questo fenomeno psichico si presenta di una complessità tale «che ogni teoria espressa finora diventa un letto di Procuste» [08].
La mitologia greca racconta che Teseo Re e legislatore di Atene, domò e sottopose a supplizio, con lo stesso metodo, il leggendario brigante dell’Attica antica Damaste o Polifemone, soprannominato Procuste o Procruste (lo stiratore). Costui usava assalire i viandanti in transito presso il monte ateniese di Coridallo per poi costringerli a distendersi in un suo letto di ferro, allungando o mutilando loro le membra, a seconda dei casi, fino a quando i corpi dei malcapitati non si fossero adeguati alla dimensione di questo letto.
La metafora del Maestro del Burghölzli era tra l’altro anche molto calzante. Nondimeno,  malgrado una lunga serie di precisazioni preliminari, e qualunque tentativo di sistematizzare un approccio psicologico e antropofenomenologico al tema della nostalgia, i vari problemi che essa ha sempre posto e ancora pone sono sempre rimasti un rompicapo. Tanto da essere così prossimi, anzi, così potentemente avvinghiati e tanto strettamente aggrovigliati tra loro, da non potersi più fare alcuna distinzione  tra disturbi fisici e mentali. Basterebbe qui ricordare il caso di mia Nonna Giustina da San Nazario (Sanazario) sulla riva sinistra del Brenta, riferita nel mio testo per la Rivista POL.IT Psychiatry on line Italia Una Heimweh della Valsugana del 16 gennaio, 2019.
All’epoca in cui scrissi la nostalgia nella valigia accantonai il progetto di preparare un saggio sulla nostalgia, lasciai che «lo stiratore» Damaste si accanisse – come con le sue vittime - sulle teorie espresse a proposito della nostalgia intesa come malattia, prima fra tutte l’Heimweh degli Svizzeri, riconosciuta anche da Jung, senza occuparmene oltre e tirai dritto per la mia strada in attesa di tornare più avanti su questo concetto. Allora mi premeva sottolineare che i riferimenti alla nostalgia erano molto importanti nell’analisi del materiale psicopatologico dell’emigrazione.
Il nodo cruciale della nostalgia lo abbiamo riconosciuto spesso come momento implicito e fondante nelle vicende dei protagonisti della migrazione. Se non si comprende la dimensione nostalgica, se non se ne coglie l’essenza, difficilmente si può comprendere l’esistenza-che-si-smarrisce-nella-nostalgia-della-casa delle nostre piccole storie di migrazione fallita, così come le raccontammo a suo tempo.
Il tentativo di cogliere l’essenza della nostalgia è stato, dunque, un altro punto basilare della nostra ricerca clinica sulla migrazione, ispirata ai concetti fenomenologici. Anche allora, come avevamo sempre fatto in precedenza, l’indagine fu corredata da poche storie cliniche, ma significativamente esemplari del particolare fenomeno che si voleva illustrare [09].
Ebbene, proprio l’essenza nostalgica ha rappresentato, forse, la chiave di volta che reggeva molta parte della patofenomenologia e della psicopatologia dei nostri studi sull’emigrazione.
 
♦ 5. La nostalgia del migrante.
Ma il nostalgico è veramente un malato? E malato di che? La sua «malattia» risiede nel corpo o nello spirito? Almeno per quanto concerne l’Heimweh degli Svizzeri, questa domanda – secondo Delia Frigessi Castelnuovo e Michele Risso – era malposta, possedeva un vizio d’origine. Essa, così formulata, risultava una semplice «operazione metonimica» dal sociale al biologico [010]. Questi Autori, col loro libro «A mezza parete», scrissero il più bel saggio critico sul tema «nostalgia-malattia» che fosse comparso in letteratura negli ultimi anni. A questo abbiamo fatto (e per molto tempo) ampio riferimento nella trattazione della nostra materia psicopatologica [011].
La memoria e il ricordo si fondono nella nostalgia come eruzione di emozioni indistinte o di malessere pungente o di lucido pensiero raffinato o di acute intuizioni, ma talvolta la nostalgia può costituirsi come a sé stante, non più come emozione o intuizione, bensì come esperienza di dolore, di sofferenza, di assenza di benessere psichico. Ecco allora che, senza voler trasporre ciò che è sociale nel biologico, il compito dello psicopatologo si afferma come quello di cercare l’origine di una sofferenza psichica, di stabilirne l'entità, di spiegarla e possibilmente di lenirla. Nel caso in questione, per noi, la gamma delle nostalgie si riduce allora ad una coppia di possibili categorie dell’esperienza: nostalgia-noema, noesi o nostalgia-malattia?
L’enigma della nostalgia in tutte le sue sfaccettature timiche, poetiche e anche nosologiche, resta aperto. Tuttavia il mistero [012] di come una datità dell’umano che si costituisce originariamente come storia-vissuto-ricordo, possa ad un certo punto rovesciarsi in un fenomeno reattivo di sofferenza mentale, può essere reso certamente più abbordabile se, ad un discorso medico, si premetta una riflessione letteraria, antropologica, filosofica, fenomenologica.
 
«Un uomo che dorme tiene intorno a sé in cerchio il filo delle ore, gli ordini degli anni e dei mondi. Li consulta istintivamente svegliandosi e vi legge in un attimo il punto della terra che egli occupa, il tempo trascorso fino al suo risveglio; ma i loro giri possono confondersi, spezzarsi» [013]. Allorché l’ordine «degli anni e dei mondi», l’ordine del progetto, viene sconvolto, il ricordo non aiuta più, ma si tramuta nel dolore acuto di qualcosa che si è perso. Non accade più, come in Proust, che quando ci si sveglia nel cuore della notte l’orientamento venga sollecitato dal ricordo: «... allora il ricordo – non ancora del luogo dov’ero, ma alcuni di quelli da me abitati, e dove sarei potuto essere – veniva a me come un soccorso dall’alto per trarmi dal nulla donde non sarei potuto uscire da solo: in un attimo passavo sopra secoli di civiltà…» [014]. In un attimo si può passare sopra anni di lavoro e di fatiche e trovarsi improvvisamente spiazzati senza alcun soccorso dai ricordi che premono confusi e stinti. In un attimo ci può essere un risveglio doloroso; e il risveglio è sempre una ricompattazione faticosa dell’Io,           un momento di turbinosa incertezza. Ancora Proust: «Forse l’immobilità delle cose intorno a noi è loro imposta dalla nostra certezza che sono esse e non altre, dall’immobilità del nostro pensiero nei loro confronti. Ma è certo che quando mi svegliavo così, mentre l’essere mio s’agitava per cercare di sapere dove fossi, senza riuscirvi, tutto girava intorno a me nel buio: le cose, i paesi, gli anni» [015].
Non avrei ma immaginato che la morte di Starobinski annunciatami da Gilberto Di Petta oltre a recarmi un tuffo al cuore, mi avrebbe spinto a rimettere mano ai miei polverosi appunti stazzonati. Naturalmente insieme a Starobinski a ritirar fuori anche i testi di Antonio Prete, Eugenio Borgna e perchè no? Emmanuel Lévinas. Ma anche quelli meno salvifici e certamente più ruvidi come quelli di Louis Ferdinand Céline il medico del Viaggio al termine della notte, che io amo, per motivi personali [016],  non meno di Anton Pavlovič Čechov. E forse  molti altri ancora che hanno trattato la nostalgia in ambito poetico e musicale. Il desiderio di riprendere è ancora intatto. Grazie Gilberto.
 
Note al testo
[01]. Nostalgia è una parola composta, derivante dalle espressioni greche nòstos (usata da Omero nell’Odissea per indicare il rientro in patria degli Achei) che significa ritorno e àlgos che vuol dire dolore. Proprio quest’ultimo termine complica le cose, perché il dolore e la sofferenza, vengono a legittimare, in qualche modo, l’intervento della medicina. Fu, infatti, un giovane studente di medicina, lo svizzero Johannes Hofer, ad usare per primo la parola nostalgia in una trattazione scientifica: la «Dissertatio medica» del 1688. Con Starobinski che tratta la nostalgia da maestro, ognuno può rendersi conto che questo sentimento, in fondo, non può che competere gli Svizzeri, quasi per diritto di scoperta.
[02]. Ralph Harper (1916-1992) un filosofo e religioso americano fu personaggio notevole, per i suoi tempi. Accademico negli studi universitari di filosofia e di mistica cristiana, è stato Professore aggiunto di Scienze Umane alla Johns Hopkins University e Rettore alla St. James Church Monkton, Maryland. Il Reverendo Ralph Harper, filosofo e teologo, è ritenuto lo studioso più autorevole ad aver introdotto e a far conoscere l'esistenzialismo in Nord America, nel 1948, con il suo lavoro Esistenzialismo: Una teoria dell'uomo. Quarant'anni dopo, Harper approfondì la vita interiore dell'immaginazione umana in On Presence: Variations and Reflections. Vincitore del prestigioso Grawemeyer Award nel 1992 per la Religione. On Presence è un'intelligente articolazione dell'esperienza di presenza dell'umanità. Attingendo da filosofi come Kierkegaard, Heidegger e Marcel, teologi come Agostino, Tommaso d'Aquino e Tillich, mistici come Meister Eckhart e Giovanni della Croce, e romanzieri come Dostoevskij e Proust, questo lavoro avvincente considera le dimensioni trascendenti e religiose dei misteri ordinari nella vita di tutti i giorni.
[03]. S. Mellina. La nostalgia nella valigia. Marsilio, Venezia, 1987. p. 163 e infra.
[04]. S. Mellina. La nostalgia op. cit. p. 164
[05]. Lo avevo conosciuto fin dai tempi che frequentava la Facoltà di Lettere all'Università la Sapienza di Roma e studiava con Natalino Sapegno e Alberto Asor Rosa. Mi ricordo in particolare un suo libro su Carlo Porta pubblicato giovanissimo. Poi ho saputo che era divenuto un esperto di "scrittori del nord" (Malerba, Gozzano, Ragazzoni, Ottieri, Filippini, Comisso, ecc). Vinse, tra l’altro, un “Cesare Pavese” (1998) e un “Viareggio” (2007).
[06]. S. Mellina La nostalgia nella valigia, pp. 163-64 e infra
[07]. Harper, op. ct.
[08]. Il riferimento è tratto dal lavoro di C. Zwingmann, Das nostalgische Phänomen, dove si menziona una lettera di C.G. Jung, cfr. C. Zwingmann (a cura di) Zur pshychologie der Lebenskrisen, Frankfurt am Main, Akademische Verlagsgesellschaft, 1962, p. 309.
[09]. «... l’analisi fenomenologica delle essenze – scrive Binswanger – non ha bisogno... di accumulare il massimo numero possibile di esempi o di fatti; essa deve compiere piuttosto un’attualizzazione “esemplare” di singoli fatti umani e deve cercare di cogliere e di fissare queste “essenze pure” su questa “base” esemplare». Cosa significhi esattamente comprendere la peculiarità di un processo esistenziale è chiarito meglio in quest’altro passo di Binswanger: «si può dire di essere giunti a una comprensione di una essenza o di un modo di esistenza o di un processo esistenziale, quando se ne è compresa la peculiarità sia dal punto di vista della mondanità di un determinato mondo – della struttura del “per” dei rimandi, del riferimento o della significanza – sia dal punto di vista di ciò che l’esistenza, l’esserci, persegue, dell’ “in-vista-di” che lo regge» L. Binswanger, Tre forme di esistenza mancata, traduz. di Enrico Filippini, Milano, Il Saggiatore, 1966, pp. 91-92.
[010]. Testualmente: «Il progressivo restringimento del mondo, la distorsione metonimica da mondo a corpo, da corpo a organo, permetteranno la traduzione definitiva da condizione a stato, da sofferenza a malattia» (D. Frigessi Castelnuovo, M. Risso, A mezza parete. Emigrazione, nostalgia, malattia mentale, Torino, Einaudi, 1982, p. 210).
[011]. Frigessi e Risso non erano tanto interessati a ripercorrere la storia del concetto di nostalgia (per quanto lo facessero egregiamente con minuziosissime e preziose annotazioni) quanto piuttosto ad «esaminare in quale contesto, in quale periodo il concetto si impone, fondato o meno che esso sia, si sviluppa seguendo certe regole, sì dissolve infine nel nulla per far posto non ad altre “malattie” ma ad altre interpretazioni di quel malessere strettamente legato ad una situazione che non è stata scelta, ma imposta dalla violenza, dalla costrizione, dalla necessità». (D. Frigessi Castelnuovo e M Risso, A mezza parete, cit. p. 27). Vedremo in effetti che la nozione nosografica di «nostalgia-malattia» è scomparsa dai trattati di medicina e quella di «nostalgia-malattia mentale» è scomparsa dai trattati di psichiatria.
[012]. Il pensiero di Ralph Harper ci aiuta a penetrare la dimensione filosofica delle datità esistenziali dell’uomo: «Puoi “considerare l’essere come il principio dell’inesauribilità”; non puoi però considerare inesauribile tutta la tua vita... per Marcel mistero è ciò che sia inesauribile e tuttavia in qualche modo comprensibile». (R. Harper, Nostalgia, cit., p. 62).
[013]. M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto. La strada di Swann. Parte prima. Combray, (trad. di Natalia Ginzburg), Torino, Einaudi, 1985, p. 7.
[014]. Ibid., p. 7.
[015]. Tutto sommato si tratta anche di motivi abbastanza futili, ma per me contano moltissimo. Oltre mezzo secolo fa, come saggio per un “provino” alla RAI portai una novella di Čechov. Morte di un impiegato. Quando lessi la prima volta Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit) non potei fare a meno di notare che uscì quando io nascevo. Entrambi erano stati medici. In condizioni e periodi molto difficili.

 
 
 
 
 

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