NON SOLO CARTESIO
di Francesco Bottaccioli, SIPNEI Società Italiana di Psico Neuro Endocrinoimmunologia
di Francesco Bottaccioli

ANTARTIDE PRIVATO: La solitudine e i suoi effetti su cervello e immunità

Share this
6 gennaio, 2020 - 16:54
di Francesco Bottaccioli

Essere isolati, con scarsi legami sociali, o anche sentirsi soli, nonostante si viva in un contesto familiare e sociale adeguato, è probabilmente la condizione psichica più dolorosa e anche più pericolosa per la salute umana. La persona che si sente sola è in un permanente stato di allerta, ha paura degli altri, del loro giudizio, ha paura di essere rifiutata, si sente in colpa, non ha prospettive. 

Recentemente, un’ampia review di un gruppo dell’Università della California, Campus di Los Angeles, con Michael R. Irwin, psichiatra, direttore del Cousins Center for Psychoneuroimmunology, ha revisionato tutti gli studi più significativi relativi agli effetti dell’isolamento sul sistema immunitario umano (1). 

L’isolamento e l’esclusione sociale, sia negli uomini anziani, sia in quarantenni maschi e femmine, sia nei bambini, sono associati a: 1) un tipico profilo psicologico, caratterizzato da ansia, paura di ricevere valutazioni negative da parte degli altri, estrema sensibilità al rifiuto; 2) un forte incremento (raddoppio) dei livelli dei marker infiammatori (PCR, proteina C-reattiva e interleuchine); 3) una notevole reattività del sistema immunitario a fattori stressanti sia di natura sociale sia di tipo naturale (per esempio vedere un serpente che attacca).

In sostanza, il sistema immunitario delle persone che vivono e si sentono sole, è “segnato” in senso infiammatorio.

L'isolamento sociale atrofizza l'ippocampo

Sul New England Journal of Medicine alla fine del 2019 è apparso un report scientifico di ricercatori tedeschi che hanno monitorato il cervello di operatori che per 12 mesi sono stati a lavorare nella stazione di ricerca tedesca Neumayer III in Antartide (2). In questo esperimento naturale di isolamento sociale e di ambiente "monotono", il cervello degli esploratori ha subito un cambiamento importante: il giro dentato dell'ippocampo, alla fine della permanenza in Antartide, ha mostrato una riduzione statisticamente significativa rispetto al momento della partenza e anche rispetto al gruppo di controllo che è vissuto in un ambiente normale. Ricordo che il giro dentato è la sede della produzione di cellule staminali da cui si formano nuovi neuroni (neurogenesi ippocampale) che si integrano nell'ippocampo garantendo il suo buon funzionamento, che è essenziale per la memoria e per l'attività dell'asse ipotalamo-ipofisi surrene (sistema neuroendocrino dello stress). Accanto all’ippocampo anche altre aree cerebrali strategiche per la memoria e le funzioni cognitive hanno ridotto le loro dimensioni, come mostra la Figura. Infine queste modificazioni cerebrali correlano con la riduzione della concentrazione plasmatica di BDNF, il fattore nervoso di derivazione cerebrale che è considerato uno dei più importanti segnali di plasticità cerebrale.
Domande: Quante sono le persone che vivono il loro Antartide privato?
E quanti sono i medici e gli psicologi che hanno capito che la socialità è un fattore di salute di prima grandezza che andrebbe identificato e affrontato nella relazione di cura?

La solitudine spesso è determinata o comunque si accompagna ad alcuni sentimenti: sentirsi inadeguati, vergognarsi. Anche in questo caso, gli effetti sull’organismo sono

Fonte: Alexander C. Stahn et al. (2019) Brain Changes in Response to Long Antarctic Expeditions. New England Journal of Medicine, December 5. 

I riquadri A e B mostrano le riduzioni di volume di materia grigia che si sono registrate nel cervello dei tecnici che sono vissuti nella base antartica per 12 mesi. Oltre al giro dentato dell’ippocampo, mostrano una differenza significativa il giro paraippocampale (PHG), la corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC) e la corteccia orbitofrontale (OFC). La prima area è strettamente connessa all’ippocampo, le altre due sono le principali aree corticali coinvolte nella elaborazione delle emozioni e delle funzioni cognitive. Il riquadro C mostra il declino della concentrazione di BDNF (fattore nervoso di plasticità cerebrale) durante l’isolamento, con ripristino al ritorno dall’Antartide. Riduzione che correla con le modificazioni cerebrali poiché il BDNF è uno dei principali segnali di plasticità del cervello.

Sentirsi inadeguati, vergognarsi 

Sentirsi inadeguati, vergognarsi sono sentimenti comuni alla gran parte degli esseri umani: chi non li ha mai provati è forse perché ha altri problemi psichici. Di solito, sono fenomeni transitori anche relativi a fasi della vita (l’adolescenza, per esempio), che vengono ridimensionati da gratificazioni e sostegni sociali. Possono però costituire un tratto della personalità o di una condizione traumatica. La persona che ne soffre tende ad avere un atteggiamento sottomesso, vorrebbe sparire e ciò è visibile anche da come si presenta: sguardo basso e postura non eretta. 

La rispettabilità è per noi molto importante. È un sentimento, tipicamente umano, costruito socialmente: prende forma precocemente nella nostra psiche ed è rintracciabile già in un bambino di 5 anni. Sappiamo dalla storia che la sanzione sociale, che determina la perdita della rispettabilità, può arrivare fino alla messa alla gogna di una persona: tra i più celebri che hanno subito l’ostracismo, troviamo Galileo Galilei (dalla Chiesa cattolica), Baruch Spinoza (dalla Sinagoga) e Oscar Wilde (dalla giustizia di Sua Maestà britannica). 

Wilde, dopo la condanna per “sodomia” (condannato cioè per essere omosessuale), scriverà soprattutto della vergogna patita: morirà 3 anni dopo l’uscita dalla prigione, all’età di 46 anni. 

Una lunga serie di studi degli anni Novanta su omosessuali con HIV ha dimostrato che la vergogna, che porta a nascondere la propria identità sessuale, causa autosvalutazione e incremento dell’infiammazione. Anche in soggetti sani la rievocazione di sentimenti di vergogna provoca un incremento delle citochine infiammatorie (3). 

La vergogna è stata studiata anche in persone che hanno subito uno stress traumatico. Dalle ricerche più recenti sembrerebbe che sia questo il sentimento più rilevante collegato alle memorie traumatiche, e non la paura, come si pensava (4). 

Note

  • [1] Eisenberger NI, Moieni M, Inagaki TK, Muscatell KA, Irwin MR. (2017) In Sickness and in Health: The Co-Regulation of Inflammation and Social Behavior. Neuropsychopharmacology. 42(1):242–253. doi:10.1038/npp.2016.141
  • [2] Alexander C. Stahn et al (2019) Brain Changes in Response to Long Antarctic Expeditions. New England Journal of Medicine, December 5
  • [3] DickersonS.S., KemenyM.E., Aziz N. et al. (2004), “Immunological effects of induced sha­me and guilt”, Psychosom Med 66(1): 124-131
  • [4] FreedS., D’Andrea W. (2015), “Autono­mic arousal and emotion in victims of in­terpersonal violence: shame proneness but not anxiety predicts vagal tone”, J Trauma Dissociation 16(4): 367-383. doi:10.1080/ 15299732.2015.1004771
> Lascia un commento



Totale visualizzazioni: 2812