COVID-19: Attesa, speranza, poesia. La nostalgia dell’incontro.

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9 aprile, 2020 - 14:56
Uno sconosciuto è mio amico,
uno che io no conosco,
uno sconosciuto lontano lontano.
Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia
Perché egli non è presso di me.
Perché egli non esiste affatto?
Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza?
Che colmi tutta la Terra della tua assenza?
(Par Fabian Lagerkvist)
 
Trascorrono e, forse, trascorreranno ancora molti giorni. Ci stiamo addentrando da settimane in un paesaggio ignoto. Ci muoviamo orientandoci a naso, come fanno i segugi quando pistano le tracce lasciate dalla preda annusando la nuda terra.
Abitiamo un mondo in cui sembra scomparsa la “catastrofe del tempo” (Leoni, 2004), quella continua ricapitolazione tra consunzione e rigenerazione che determina il ritmo della vita; vittime accidentalali di un capovolgimento di fronte a cui l’avvenire pare muoversi al rovescio, come se d’improvviso si spalancasse ai nostri occhi il domani, e la fine di ogni disgrazia diventasse presente, cogliendoci di sorpresa nella nostra immobilità. Ma l’attesa, atteggiamento vitale capace di “penetra nelle viscere, ci riempie anche di terrore di fronte alla massa sconosciuta e in-attesa” (Minkowski, 2004) del futuro prossimo colmo di incertezze, angosce e quella sinistra sensazione di inermità che si prova quando una calamità fa a pezzi la vita che conoscevamo, sparpagliandola e lasciandoci solo i segni indelebili del suo cammino: strappo che separa ciò che era, da ciò che resta.
Non siamo i testimoni de la Vocazione di san Matteo, spettatori di quell’irruzione luminosa che cambia le sorti di una vita intera, ma attori che si attardano nell’attesa di celebrare una vita alla deriva, viandanti le cui orme tracciano delle traiettorie circolari a testimonianza del loro passaggio nei giorni appena trascorsi. Il nostro è un dolore del ritmo della vita, nonostante il quale tentiamo indefessi lo slancio continuo verso il domani. E così guardiamo i numeri - contagiati, morti, guariti - e le stelle, trapezisti in volo tra scienza e poesia, animati dalla speranza: in cerca di risposte alcuni, rapiti dallo spaesamento altri, sospinti tutti e senza posa verso l’avvenire dove – ci ricorda Minkowski – il cielo si confonde con la terra e la fiducia si intesse con la disperazione, in quella linea sconfinata che è l’orizzonte dell’esperienza umana.
Una figura, se possiamo definirla così, che come testo (cioè tessuto, trama) rapprende bene questo frammento di tempo della nostra vita, è quella della nostalgia per qualcosa che è andato perduto ed ha lasciato un segno. La nostalgia abita le tonalità affettive, i colori, del tramonto, dell’inabissamento della luce che, lasciandoci con-fonde lo sguardo nell’oscurità della notte.
Come monadi, talvolta vinti dallo sconforto, ci ritroviamo soli. Soli nelle nostre case, nei nostri studi. Soli negli sguardi, che a distanza rivelano paura e avvilimento. Soli dietro ad uno schermo che, quando si spegne magari dopo molti incontri, rivela la inquieta condizione in cui siamo, rimandandoci come uno specchio opaco la nostra immagine in una stanza silenziosa e deserta.
Questa è l’epifania dell’umanità di ognuno di noi. L’ora del vero sentire in cui lasciar vibrare, con tutta la sua irruenza, la miseria e la povertà che contraddistingue il nostro essere-nel-mondo (in-der-Welt-Sein) quale apertura ad esso, oggi quanto mai disabitata ed angosciosa (Heidegger, 2001).
Ecco allora la nostalgia che assume le forme di un richiamo, quasi un canto privato e raccolto, che ognuno rivolge all’assenza del volto dell’altro ed al suo farsi carne nella reciprocità; luogo in cui “tutto ci riguarda e niente ci è indifferente” (Lévinas, Riva, 2010). La nostra è la nostalgia per un ritorno inappagato, una prossimità impossibile con il corpo altrui scoprendo così, che “il mondo è nostro solo nella misura in cui lo posso condividere con l’altro” (Lévinas, Riva, 2010).
All’inizio è la relazione, “l’uomo si fa Io nel Tu” (Buber, 2013) e la parola può dirsi tale solo se, colmando lo spazio tra i corpi, è capace di farne vibrare ogni atomo e tracciare, come una freccia, traiettorie invisibili che trapassano la carne di chi si ha innanzi nella sua nuda presenza. Così la carne si fa parola ed il volto, che sta soffrendo dell’impossibilità dell’essere disegnato dallo sguardo altrui per la troppa lontananza o per le adombranti – ma necessarie – protezioni, è l’appello a cui incessantemente ci rivolgiamo: eco di un Esser-ci agognato che rivela, tristemente, un destino diverso da quello sperato.
Ognuno vive la nostalgia per qualcosa, di qualcosa o qualcuno, ognuno ha nostalgia per se stesso. Dimentichi delle nostre identità ed in cerca di una continuità nell’intrecciarsi del tempo vissuto, abbiamo visto tremare in questi giorni, come foglie autunnali esposte al vento, le fondamenta del nostro essere: la reclusione, la lontananza, la perdita, lo spaesamento. Manca il calore di un corpo vivo che ci abbraccia e di una carezza, fendente che azzera ogni distanza, ogni scarto, aprendo “al miracolo del toccare” (Minkowski, 2005). Ci tocchiamo con la pelle, con gli occhi, con la nudità del nostro Esser-ci. Il con-tatto, quell’approssimarsi tra esistenze fatte carne, da forma al mondo condensando sotto il palmo delle mani, nell’occhio fattosi sguardo, il tempo inesorabile che conduce tutto alla polvere, consentendo così al volto del mondo di rivelarsi ed a noi, Io e Tu, di vibrare all’unisono nella nostra incolmabile alterità.
Dice Ungaretti:

Le nostre
malattie
si fondono.
E come portati via
si rimane.
Restiamo tutti, ma nella mancanza, nell’incontro mancato che ha segnato – tra i tanti – la vita di Martin Buber che vide andarsene d’improvviso la madre, all’età di tre anni. “Viene così centrato il significato di mancato: non l’opportunità disattesa, non l’opportunità andata a finire male perché si è litigato. Ma un’opportunità che ad un certo momento non c’è più stata: stava per esserci e invece è mancata” (Callieri, 2013).
 
 
 
 
Bibliografia
 
  • Marchetto M.: Buber. La vita come dialogo. Milano. 2013.
  • Heidegger M.: Sein und Zeit. 1927. Trad. it.: Essere e tempo. 2011.
  • Leoni F.: Introduzione. In: Le temps vécu. Ètudes phénoménologiques et psycopathologiques. 1968. Trad. it. Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia. Torino. 2004.
  • Lévinas E., Riva F.: L’epifania del volto. Milano. 2010.
  • Minkowski E.: Vers une cosmologie. 1936. Trad. it. Verso una cosmologia. Torino. 2005.
  • Minkowski E.: Le temps vécu. Ètudes phénoménologiques et psycopathologiques. 1968. Trad. it. Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia. Torino. 2004.
  • Rossi Monti M., Cangiotti F.: Intervista a Bruno Callieri. Fenomenologia e psichiatria: l’incontro mancato. Rivista Comprendre. 23-2013.
  • Ungaretti G.: Vita d’un uomo. Tutte le poesie. Milano. 2009.
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