NUOVA RECENSIONE A "LA DOPPIA MORTE DI GEROLAMO RIZZO"

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2 maggio, 2020 - 10:02
Autore: FRANCESCO BOLLORINO E GILBERTO DI PETTA
Editore: Alpes Roma
Anno: 2020
Pagine: 124
Costo: €11.00
Come le celebri Memorie di un malato di nervi, opera di Paul Schreber (1903), anche questo memoriale, scritto da Gerolamo Rizzo a inizio Novecento, è una suggestiva, rara testimonianza, lasciataci da una persona affetta da schizofrenia paranoide. Si tratta di un autografo, come tanti altri è possibile trovare nelle cartelle cliniche negli archivi manicomiali e che gli alienisti dei tempi passati – e, in particolare, quelli dell'epoca d'oro dell'alienismo italiano, cioè dell'epoca positivista – vollero conservare per documentare i deliri dei ricoverati. Testi come questo, dunque, possono dire ancora oggi molte cose, e non soltanto ai tecnici.
La vita di Gerolamo Rizzo, svoltasi a Genova a cavallo fra Ottocento e Novecento, è stata segnata da una terribile solitudine e, sia prima sia dopo l'insorgenza della malattia, da fallimentari tentativi per uscire dall'isolamento. Rizzo venne internato nel manicomio genovese di Quarto nel 1908, proveniente dalle carceri di Marassi, dove era stato portato subito dopo aver ucciso, per strada, un sacerdote, a lui sconosciuto. Uccidendo quel prete, incontrato per caso, egli voleva cercare di uscire dal suo dramma, anzi dal suo “martirio” e cioè liberarsi da tutti i nemici che lo perseguitavano, controllando i suoi stessi pensieri. Rizzo rimase per 23 anni in ospedale psichiatrico, riuscendo a convivere abbastanza tranquillamente con le allucinazioni e le idee deliranti che lo avevano assalito fin dal 1904. Rizzo fu a suo volta ucciso – per questa ragione il titolo rimanda alla sua doppia morte – da un altro ricoverato. Egli scrisse il memoriale poco tempo dopo il suo ingresso in manicomio e racconta, senza dubbio, una storia assurda e un assurdo delitto; per i clinici, è anche «la documentazione minuziosa di una evolutività clinica “naturale” della patologia, non interferita da cure» (Bollorino e Di Petta, pagina X). Rizzo ha raccontato, in modo assolutamente lucido, l'irruzione della malattia nella esistenza, fin a quel momento tutto sommato “normale”, di un maestro elementare.




Aver ritrovato quel manoscritto ha fatto uscire dall'ombra una storia angosciosa e disperata, e che mostra tutti gli effetti sulla mente (e sul corpo) di un uomo provocati da un progressivo, tormentoso distacco dalla realtà e dal rinchiudersi in un mondo delirante a carattere persecutorio. Allo stesso tempo, però, questo documento, scritto senza un destinatario ben definito e senza la prospettiva concreta che venisse letto da qualcuno, ci è molto utile anche per conoscere meglio le idee circolanti nell'Italia di inizio Novecento. In particolare, Rizzo era un uomo sicuramente attento alle innovazioni tecnologiche dell'epoca, come, ad esempio, possiamo vedere da un macchinario di sua “invenzione”, il «macrocacofono», in sostanza uno strumento che permetteva ai suoi nemici, sempre più numerosi, di conoscere tutti i suoi pensieri, condannandolo a una perfetta trasparenza.
Come emerge bene dai diversi saggi che corredano il volume, la figura di Gerolamo Rizzo è stata quella di un fugace “mostro”, di cui si occupò la stampa, locale e non, soltanto subito dopo il suo inspiegabile delitto. Allo stesso modo, quello compiuto da Rizzo può essere davvero definito sia come un omicidio, per certi versi, «modernista» (Martucci, pagina 68) sia come il frutto di un delirio dai contenuti sempre più esplicitamente classisti e anticlericali: Rizzo «con l’andar del tempo attribuisce di volta in volta alle persone in cui s’imbatte qualità di protettori e persecutori, ma dopo l’incontro con un prelato a Bobbio cominciano ad acquistare maggiore importanza tra i persecutori i preti, uno dei quali sente fare riferimento a Padre Semeria, tra le figure più in vista della cultura genovese in quel momento (seguitissime dall’élite della città le sue prediche alla chiesa di Santa Marta). Il quale nella mente allucinata del Rizzo diventa perciò colui che “sa tutto, ci conosce tutti” (e, forse, chissà che non fosse anche un po’ vero…). Il delirio, dalla dimensione privata dell’inizio, va ora acquisendo una connotazione classista e anticlericale, investe i grandi, della città ma non solo, e a perseguitarlo sono ora uniti in una complessa e confusa congiura i signori, i preti, il re, il papa, il re d’Inghilterra, l’arcivescovo» (Peloso, pagina 93). Come sempre, le scritture autografe, custodite nelle cartelle manicomiali, possono insegnare molto sulla cultura diffusa nella società di un certo momento storico.

Pubblicata su Rivista Sperimentale di Freniatria, Vol. . CXLIV, 2020, 1, pp. 135-136.
 

 

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