LA VOCE DELL'INDICIBILE
I suggerimenti della rêverie degli Artisti
Saba e la “colpa” d’essere vulnerabili e mortali: “La vetrina”


2 maggio, 2020 - 10:29

Qui il Poeta, ammalato e immobilizzato nel letto, osserva un mobile antico della sua stanza. Dietro una vetrina, ci sono stoviglie che appartennero alla madre, ed altre ereditate dai suoi avi:
….. Altre vi sono cose
cui guardo con rimorso oggi ed affanno,
e così lieto le guardavo un giorno,
che di nuove acquistarne avevo brama.
Ciascuna di esse a un tempo mi richiama
che fu sì dolce, che per me non fu
tempo, che ancor non ero nato, ancora
non dovevo morire…………….
………………………………...
……… E in un m’accora
strano pensiero, che mi dico: Ahi, quanta
pace era nel mondo prima ch’io nascessi;
e l’ho turbata io solo. Ed è un mendace
sogno; è questo il delirio, amiche cose.
………………………………………..
…………………… Nel buio,
tornar nel buio dell’alvo materno,
nel duro sonno, onde più nulla smuove,
non pur l’amore, soave tormento…
Le antiche stoviglie evocano un passato idealizzato e perduto, e questo si accompagna ad un assurdo rimorso, come se fosse stato il Poeta, nascendo, a turbare quel Paradiso gettando su sé stesso la maledizione che accomuna i mortali: la fragilità, la vulnerabilità, il dover provvedere a sé stessi, senza poter contare su di una protezione “infallibile” da parte di chi li dirige. Pur riconoscendo che tale idea è delirio, il senso di colpa legato alla sua nascita spinge il Poeta a desiderare un ritorno nel buio dell’alvo materno, dove i tormenti della vita (anche il pur soave amore) sono sconosciuti. Lo spinge a desiderare un ritorno ad un’epoca anteriore all’inizio della vita; ritorno che, per una persona adulta, non può essere altro che la morte.