Rudyard Kipling e "La doppia morte di Gerolamo Rizzo": un gioco di specchi

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8 giugno, 2020 - 07:19
Autore: FRANCESCO BOLLORINO E GILBERTO DI PETTA
Editore: Alpes Roma
Anno: 2020
Pagine: 124
Costo: €10.45

Come fosse un gioco di specchi e di rimandi, l'arte, e di conseguenza la letteratura, imita la vita e da questa viene imitata.  

Arte e vita, echi profondi e indissolvibili di una sola voce, di un solo grido. Nel 1885, Rudyard Kipling, caporedattore della “Civil and Military Gazette” di Lahore, pubblica il racconto Il risciò fantasma.  

Kipling e Rizzo sono contemporanei; a separarli la distanza tra i due continenti, quello asiatico e quello europeo, una distanza di latitudine e di longitudine, a unirli la vicinanza del tema della follia, da Kipling narrata e da Rizzo vissuta e raccontata nel memoriale contenuto nel libro La doppia morte di Gerolamo Rizzo, di Francesco Bollorino e Gilberto Di Petta.  

 



 

 

Il risciò fantasma precorre le tribolazioni e le vicissitudini subite realmente da Rizzo; le stesse e sinistre “assenze” vissute come tragiche “presenze”.  

Gerolamo Rizzo è un maestro elementare, un pubblico dipendente a Genova, Theobald Jack Pansay, il protagonista del racconto di Kipling, è un pubblico funzionario del Bengala. A differire, in questo intreccio di realtà e di fantasia, sono gli esordi e gli epiloghi, sono le forme delle apparizioni. A non mutare è la sostanza della sofferenza. Pansay, con esplicita crudeltà e freddezza cagiona indirettamente la morte della signora Wessington, signora prima forse amata poi sicuramente odiata; una morte naturale e non violenta, una morte da abbandono. Ed è proprio la signora Wessington, la Cosa infernale, a “tornare” e a tormentare.  

Se in Rizzo le allucinazioni sono di natura prevalentemente sonora, sono le voci, sono i preti e i signori che manovrano, in Pansay le allucinazioni sono visive e sonore al contempo, sono i quattro jhampani in livrea bianca e nera, i quattro fratelli morti di colera sulla via di Hardwar, sono la vettura dai pannelli gialli e il casco d'oro della donna, è la voce “Jack! Jack, tesoro!”.  

Per Rizzo il mezzo e il veicolo di contatto è il macrocacofono, a manovrare sono la signorina Ninetta e gli infami persecutori, per Pansay il risciò fantasma, la signora Wessington e i suoi portantini.  

A mancare in entrambi i casi è la dimensione della cura e della comprensione altrui. Sono solitudini a confronto, allo specchio.  

«Sballottato avanti e indietro da una sensazione all'altra mi trascinai per una settimana, mentre il corpo risplendeva di giorno in giorno in forza, finché lo specchio della camera da letto non mi confermò che ero tornato alla vita di sempre, di nuovo un uomo come tutti gli altri. Stranamente il viso non recava traccia della batosta subita. Certo, era pallido, ma inespressivo e banale come sempre. Io mi aspettavo qualche alterazione permanente, prova tangibile del male che mi andava divorando. Non scorsi niente», questi i pensieri di Pansay, pensieri di un male incomunicabile. Il medico Heatherlegh, il medico più bravo e più gentile di tutta Simla, in un primo momento interpreta i sintomi e le visioni del povero malcapitato come allucinazioni stomaco-cerebro-oculari, da trattare con una pillola per il fegato, e solo alla fine, resosi consapevole della follia, per nascondere il male oscuro propone al paziente di scegliere la diagnosi tra delirium tremens o crisi epilettiche. «Da queste parti sono maledettamente esigenti in fatto di moralità. Ci metta epilessia», conclude un Pansay disilluso. 

La vita vera di Rizzo e la vita letteraria di Pansay sono esistenze al limite del sopportabile, sono esistenze doppie, appese e sospese tra la realtà di un mondo e l'irrealtà di un altro, dove l'inconciliabilità dell'uno con l'altro ha portato entrambi a cedere, a convincersi a dialogare con le ombre e con i fantasmi, con assenze onnipresenti. A nulla serviva andare a teatro, in villeggiatura, per Rizzo, a nulla serviva andare al club o al grande ballo per il genetliaco della regina, a Pansay. I persecutori aspettavano pazienti e persistenti. A differire, negli innumerevoli rimandi e parallelismi delle vicende, è la durata degli eventi. La realtà ha superato la fantasia in resistenza. Mentre Kipling ha dato pace al suo personaggio dopo tre mesi di tormenti e di travagli, Rizzo si è trascinato stoicamente e tenacemente per ventotto anni. A non cambiare il numero delle morti, due in una storia e due nell'altra: quattro morti innocenti. 

Nel racconto Kafka e i suoi precursori, Borges ha scritto che “ogni scrittore crea i suoi precursori”. Lo scrittore sudamericano ritrova nel passato gli antecedenti di Kafka, nominandoli e numerandoli: Zenone, Kierkegaard, Léon Bloy...  

Allo stesso modo la vita e il dramma di Rizzo erano contenuti nella fantasia angosciosa e labirintica di Kipling. 


 

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