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PTSD Stress Post-Traumatico: che fare?
di Raffaele Avico

3 STRUMENTI CONTRO IL TRAUMA (IN BREVE): TAVOLA DISSOCIATIVA, DISSOCIAZIONE VK E CAMBIO DI STORIA

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23 aprile, 2021 - 09:47
di Raffaele Avico

 

PRIMO STRUMENTO: LA TAVOLA DISSOCIATIVA DI FRASER
La tavola dissociativa di Fraser è un esercizio psicoterapico indirizzato a far lavorare il paziente sull’integrazione delle diverse sue “parti”.
Prima di tutto occorre fare una breve digressione per distinguere due tematiche inerenti la presenza di “aspetti” e parti di sé:
  1. il tema degli stati dell’Io
  2. il tema delle parti di sè
Gli stati dell’Io sono una cosa diversa dalle “parti di sè”.
Quello che succede a un individuo che sperimenti diverse modalità di comportamento, pensiero, ragionamento, in presenza di situazioni diverse, persone diverse, una sorta quindi di camaleontismo comportamentale, è semplicemente un alternarsi dei suoi “stati dell’Io”. Uno stato dell’Io può essere definito come una sorta di “modo” comportamentale che l’individuo mette in atto in una determinata circostanza, consapevole di farlo e cosciente del fatto che magari, due ore dopo, potrà essere impegnato nel “giocare” un’altra parte.
Le parti, invece, sono vere e proprie modalità “chiuse”, compartimentalizzate all'interno della mente del soggetto, in grado di produrre modalità di comportamento e atteggiamenti differenti, senza che il soggetto si renda conto di una “continuità“ tra le parti stesse; ovvero, esiste uno shift tra parti diverse che il soggetto si rende conto di aver avuto solo “a posteriori”, ragionandoci magari in un contesto di psicoterapia.
La differenza la fa quindi, nelle due problematiche, il livello di consapevolezza del soggetto stesso.
La tavola dissociativa si pone l’obiettivo centrale di aiutare il soggetto ad aumentare questa consapevolezza.
In cosa consiste questo esercizio?
Di per sè l’esercizio è semplice: si tratta di di visualizzare una tavolata a cui si sia seduti a capotavola, con tutte le altre “parti” sedute intorno al tavolo stesso, e cominciare con queste un lavoro di dialogo e osservazione.
Questo lavoro da un lato aiuta il paziente a mettere un nome, un volto, attribuire un atteggiamento, una caratterizzazione “narrativa” alle sue singole parti; dall’altro, facendo dialogare le diverse parti, promuove un’integrazione, una fusione dei singoli personaggi coordinata e gestita da un “regista” super partes (il paziente stesso, seduto a capotavola).
L’obiettivo è che il paziente aumenti il livello di padroneggiamento/ padronanza/mastery. Ricordiamo sempre l’importanza centrale della mastery.
Spingerlo a identificarsi con questa figura di regista seduto al tavolo, impegnato a coordinare, nominare e far parlare le altre parti, gli/le permetterà di percepire come le diverse “parti” siano contenute dentro la sua mente/ personalità, al fine di raggiungere una progressiva sensazione di “unità” e unicità.
Sappiamo inoltre che spesso a seguito di un trauma protratto, esistono delle dinamiche ricorrenti che riguardano proprio le parti:
  1. spesso accade che il paziente si identifichi, in una parte di sè, all'aggressore/abusatore. Percepirà una parte di sè “attaccare” le altre parti: pensiamo, per capirci, alla figura del “sabotatore interno” di psicodinamica memoria.
  2. La parte emotiva, spaventata dal trauma, oscilla spesso tra momenti di forte attivazione allarmata, e momenti di spegnimento caratteristico, con un grande senso di impotenza “appresa”
  3. è possibile poi che esista una parte “funzionale”, adattata al contesto, come “spenta” in senso emotivo (che Van der Hart chiama “parte apparentemente normale”). Di solito, questa parte rappresenta la maschera indossata più spesso dall’individuo, in grado di assolvere alle richieste sociali (trovare un lavoro, comportarsi in modo funzionale ai diversi contesti).
Se immaginiamo come un paziente post traumatico possa avere a che fare con anche solo queste tre parti, l’esercizio della tavola dissociativa potrà essergli/le utile nel momento in cui riuscirà a costruire una parte registica/ulteriore/super partes in grado di coordinare, o almeno di “osservare” nel loro manifestarsi le altre parti presenti sulla scena.
Questo garantisce teoricamente al paziente un senso di aumentata mastery, e di maggiore controllo, oltre a fornirgli/le un canovaccio “narrativo” con cui spiegare ciò che gli/le succede.
Qual è il teorico che per primo ha parlato di tavola dissociativa?
Chi ne ha parlato in modo più strutturato è stato G.A. Fraser. Troviamo qui un approfondimento sul tema che spiega anche come intervenire.
Proviamo ad approfondire alcuni aspetti pratici citati in questo articolo:
  1. la tavola dissociativa è utile, per lo più, con i pazienti sofferenti di PTSD complesso
  2. in fase di iper arousal o ipo arousal, l'integrazione delle memorie traumatiche non è possibile: occorre dunque accertarsi che il paziente sia in una condizione di regolazione neurofisiologica
  3. esistono 8 fasi per la somministrazione, chiarite nell’articolo, che noi potremmo sotto-riassumere in 3 fasi: REGOLAZIONE e PREPARAZIONE, VISUALIZZAZIONE, INTERAZIONE tra le parti. Cioè:
    1. La fase della regolazione consiste nello spiegare la tecnica e accertarsi che il paziente mantenga una condizione di regolazione emotiva
    2. la seconda fase prevede che il paziente immagini una tavola con le dimensioni e i colori che lui/lei preferisce, dentro una stanza in cui entrerà. Preso posto al tavolo, si chiederà al paziente di invitare a sedere gli aspetti di sè che riconoscerà essere per lui/lei importanti, e di descriverli al terapeuta - comprese le parti “emotive”
    3. infine, nell’ultima parte, si tratterà di nominare le parti, capire la loro età, le reciproche fobie e promuovere una loro interazione graduale, come una sorta di famiglia interna ispirata da princìpi democratici di convivenza (in questo senso nell’articolo viene invitato il clinico a mettere in gioco eventuali competenze inerenti la psicoterapia sistemica)
SECONDO E TERZO STRUMENTO: DISSOCIAZIONE VK (CINEMA) E CAMBIO DI STORIA
Spesso abbiamo qui parlato di trauma e modello trifasico di approccio al problema.
Sappiamo che per intervenire sul trauma, occorre suddividere la psicoterapia in tre grandi aree o periodi: una prima fase di stabilizzazione dei sintomi, una seconda fase di lavoro sulle memorie, e una terza fase di reintegrazione e riappropriazione della vita sociale.
Per quanto riguarda la fase 2, il lavoro sulle memorie, occorre dotarsi di strumenti che ci consentano di lavorare sulla potenza evocativa del ricordo traumatico stesso, pratici, da usare a spot all’interno di una psicoterapia “trauma-oriented”.
Qui ne illustreremo due che potranno essere usati “a spot” all’interno del lavoro di psicoterapia più generale con pazienti che, in particolare, combattano contro ricordi potenti e intrusivi (soprattutto quindi nell'ambito di un PTSD semplice, determinato da un solo evento grande e disruptive come un incidente d’auto o un cataclisma).
Queste due tecniche sono la DISSOCIAZIONE VK (CINEMA) e la Tecnica del cambio di storia.

DISSOCIAZIONE VK (CINEMA)

Questa tecnica è basata su un razionale clinico chiaro: occorre depotenziare la portata traumatica del ricordo vivido (o flashbulb, qui approfondito), producendo un distanziamento tra la vista e l’impatto sul corpo della stessa osservazione, dentro di sé, del ricordo traumatico.
Il ricordo traumatico, come sappiamo, ha caratteristiche peculiari: è vivido, acceso, contiene in sé elementi di suono o immagine (una certa frase, un certo fotogramma particolarmente disturbante). Nella rievocazione di questo ricordo, è come se, ogni volta, lo osservassimo per la prima volta, permettendo al ricordo stesso di impattare nuovamente in senso emotivo sul nostro stato di coscienza.
La tecnica VK presenta queste caratteristiche:

  • è una tecnica di esposizione immaginativa (imagery)
  • vuole interrompere un meccanismo sinestesico (vedo una cosa=sento una cosa), attraverso il forzare un distanziamento tra l’io che osserva dall’io che sperimenta
  • si accompagna a un protocollo molto strutturato e preciso
  • deve essere applicata agli episodi più salienti della traumatizzazione (il più recente, il più antico, un episodio centrale ma forte)
Ecco qui di seguito il protocollo.
Per applicarlo occorre che il paziente sia in grado di concentrarsi, cosa che avviene più facilmente ad occhi chiusi.
Quello che si chiederà al paziente di fare, è di operare una serie di distanziamenti dell'esperienza sensoriale, per via di una tecnica immaginativa (tra l’altro, per chi fosse interessato a questo tipo di argomenti, questo sito offre approfondimenti). Occorre sottolineare che questa tecnica è qui presentata nella sua variante tecnica del cinema”, riassunta in questo documento di estremo interesse.
Si dirà:
  1. immagini di entrare in un cinema e di sedersi in seconda fila
  2. immagini di vedere sulla schermata, in bianco e nero, la sua figura fissa in un fotogramma, prima di un certo evento da lì a poco destinato a verificarsi
  3. esca dal suo corpo e si rechi nella cabina di proiezione, avviando una sequenza a sua scelta, dal contenuto piacevole. Si ricordi che lei è l’operatore, che può controllare la macchina da proiezione;
  4. pensi a un ricordo per lei spiacevole, o difficile; sarà il nostro ricordo target; proietti in sala la sequenza dell'episodio traumatico nel suo svolgersi (da un po’ prima, a un po’ dopo); allo stesso tempo, vede lei stesso di spalle, in seconda fila;
  5.  dopo averla proiettata, immagini di impostare la macchina perchè il film scorra al contrario: osservi la sequenza al contrario
  6. immagini che il tempo dietro la sua macchina da presa sia il tempo del presente, e la persona seduta in seconda fila, sia lei stesso/a al tempo del trauma: immagini di potergli/le dire qualcosa; scenda in sala e gli/le dica quello che pensa potrebbe essere per lui/lei utile
  7. rientri infine nel suo corpo seduto in seconda fila, prima di uscire dal cinema
Qui di seguito un caso clinico:
Che dire di questa tecnica?
Stiamo cercando qui di intaccare il nucleo duro del problema del lavoro con il trauma, ovvero il rivivere il ricordo, come se questo fosse passato, per lasciarlo andare, appunto, nel passato. Questa tecnica (quella del cinema), è una variante della tecnica più ampia, chiamata come da titolo DISSOCIAZIONE VK (ovvero dissociazione visuo-cinestesica). É consigliabile usarla a spot, qualora si abbia a che fare con un singolo ricordo potente, all’interno di una solida alleanza terapeutica.

IL CAMBIO DI STORIA

Per quanto riguarda la seconda tecnica, quella del cambio di storia, la fonte più autorevole per descriverla ci viene da un articolo firmato da Michele Giannantonio, traumatologo scomparso nel 2014, ma prolifico nel suo lavoro di accorpamento di materiale relativo al trauma, e autore di questo sito, che consigliamo di visitare.
Ecco l’articolo.
Come si legge nel documento riportato (tra l’altro relativamente antico, è del 1997; dell’epoca troviamo anche una certa vicinanza con il linguaggio psicodinamico -abreazione, meccanismi di difesa freudiani citati- oggi non più attuale almeno in ambito di psicotraumatologia), la tecnica del cambio di storia è da usare in presenza di flashbulb memories particolarmente subdole, o in grado di far dissociare il soggetto quando queste si presentino alla sua coscienza.
Inoltre, come vediamo, la tecnica del cambio di storia si incastra perfettamente con la tecnica visuo-cinestesica prima descritta.
Si tratta, in questo caso, di immaginare su uno schermo cinematografico in bianco e nero la scena del trauma. Quindi, si chiederà al soggetto di intervenire sulla scena del film, per apportarvi alcuni cambiamenti.
Per esempio, si potranno apportare cambiamenti alla scena traumatica:

  • facendo sì che il Sè presente (adulto), subentri e protegga, o stia in contatto con il Sè bambino (nel caso in cui il trauma sia avvenuto durante l’infanzia)
  • facendo sì che il Sè del futuro, consoli il Sè del passato a riguardo di come l’evento finirà per risolversi -in futuro
  • facendo sì che una persona aggiuntiva subentri nella scena, con funzione di rassicurazione.
Nel documento di Giannantonio, viene chiarificato anche come questo lavoro si accompagni spesso a un momento di abreazione. In questo caso, sarà opportuno aspettare che il soggetto “abreagisca il dolore” (per esempio, pianga), cosa che permetterà in seguito di lavorare con il cambio di storia. Va da sè che la tecnica non dovrebbe avvenire in uno stato alterato di coscienza (cioè, non dovrebbe avvenire in uno stato di datachment), cosa che renderebbe inutile lavorare sul ricordo traumatico.
Si noti inoltre la somiglianza con altre due tecniche di estrazione differente:
  1. lo psicodramma moreniano (dove il trauma verrà agito, drammatizzato sulla scena, con altri personaggi in carne ed ossa “presi in prestito” dal gruppo di partecipanti allo psicodramma)
  2. la tecnica della Moviola di Guidano, qui spiegata
Quali dovrebbero essere i cambiamenti che osserveremo a seguito di un cambio di storia? Conviene qui rifarsi allo stesso articolo di Giannantonio, molto chiaro in merito. Ci parla qui del CS (Cambio di storia) sul caso clinico di Paola.
I cambiamenti saranno su più livelli. Leggiamo dall'articolo:
  1. Innanzitutto le emozioni: deve esserci una sostanziale modificazione del contenuto emotivo e della sua intensità. Per esempio (ma con molta variazione a seconda delle circostanze), la paura, il dolore o la vergogna devono essere radicalmente mitigate, se non invece comparire emozioni totalmente nuove connesso allo sviluppo dell'autostima ed autoefficacia. Caratteristica generale del cambiamento emozionale, infatti, è che l'emozione non gestibile (con Paola il panico derivante dalla minaccia di separazione), non sia più l'unica emozione che caratterizza globalmente l'intero episodio. Nel caso in questione, infatti, sono comparse la tristezza per il padre senza speranze, la rabbia per la mancanza di un consolatore, il fortissimo appetito e la solitudine, e inoltre intere parti del ricordo possono risultare non contaminate da emozioni particolarmente negative. Ciò che resta dell'emozione originaria, poi, non deve più essere inavvicinabile, ma mutarsi in esperienza magari "oggettivamente negativa", ma della quale si può parlare con un certo distacco e capacità di sopportazione.
  2. Da un punto di vista cognitivo, interventi di questo tipo generano spesso importanti cambiamenti nelle convinzioni e nella visione del mondo del paziente. Nel caso di Paola, la propria opzione di vivere una vita ritirata, le sembra sempre meno una scelta e sempre più una fuga di fronte ad importanti ferite relazionali, della quale quella emersa è solo una. Se persistono convinzioni distorte connesse a quanto elaborato, si danno due possibilità: o l'intervento non è stato sufficientemente efficace oppure è necessario seguire un'altra strada. Non è affatto raro, infatti, che il trattamento di un episodio accusato dal paziente come foriero di ogni disgrazia lasci successivamente spazio al riemergere di ulteriori ricordi ben più importanti e determinanti, verso i quali si impone il trattamento successivo. Deve inoltre sparire ogni sorta di ruminazione sterile su quanto accaduto.
  3. Il punto di vista somatico è importantissimo, in quanto di fronte ad eventi traumatici o comunque ad episodi a forte connotazione emotiva il corpo ne è regolarmente coinvolto. La tecnica dell'affetto-ponte, infatti, si basa anche su questo assunto. Con Paola sarà necessario, per esempio, valutare se è ancora presente una forte ondata di calore percepita dallo stomaco muoversi verso la gola ogni volta che si presenti o si minacci una separazione percepita come importante. In alcuni casi, il cambiamento sul registro somatico è così potente da includere la stessa percezione dello schema corporeo.
  4. Anche sul versante comportamentale ed interpersonale si deve assistere a cambiamenti conseguenti al CS. Nel caso di Paola, ad esempio, ci si dovrebbe attendere una più serena capacità di instaurare relazioni intime profonde, senza essere pesantemente condizionati dal timore della separazione.
  5. La valutazione di alcuni aspetti submodali nel ricordo dell'episodio trattato può essere molto preziosa. Per definizione, il ricordo dell'episodio, nelle sue infinite componenti submodali, non può più essere il medesimo una volta che viene trattato. Frequentemente viene riferito (e si può facilmente osservare) che l'episodio è come più lontano (o finalmente esterno rispetto al corpo del paziente), o più breve, che è come un film mentre prima era costituito da uno o più flash, che compaiono parole nuove, spariscono o scompaiono alcuni odori, e così via.
Infine, Giannantonio consiglia di usare la tecnica del cambio di storia solo successivamente alla tecnica di dissociazione VK, in precedenza descritta, il che ci dice di come queste due tecniche possano integrarsi e in un certo senso fondersi.

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