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di Sabino Nanni

DE DONNO: “Abbandonato da Dio e dagli uomini”: solidarietà umana, fede, suicidio

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28 luglio, 2021 - 09:38
di Sabino Nanni
        Una sorta di “tempesta perfetta” può portare una persona ad uno stato di disperazione tale da spingerla al suicidio: persecuzioni (soprattutto ad opera dell’autorità vigente), calunnie, maltrattamenti, abbandono da parte di chi avrebbe potuto offrire solidarietà ed aiuto. Ognuno può resistere fino ad un certo punto, poi cede. Che cosa provoca il crollo finale? Credo che si tratti del venir meno irrevocabile (senza speranza di recupero) della fiducia in una qualche forma di sostegno, definito comunemente con l’espressione “abbandonato da Dio e dagli uomini”. Qui è necessaria una premessa sulla Religione o, in senso lato, sulla religiosità.
        Com’è noto, Marx definì la religione “oppio dei popoli”: una forma di droga capace di sottrarre, a chi è sottomesso e sfruttato, la lucidità di giudizio e la libertà interiore. Questo filosofo-ideologo non fece distinzione tra la fede in quanto strumentalizzata e piegata alle esigenze di chi detiene il potere e la Religione considerata di per sé. Chi si oppose nettamente alla concezione marxiana della religione fu Dostoevskij, nel celebre dialogo fra Cristo e il Grande Inquisitore, inserito nei Karamazov. Qui Gesù, in contrasto con il potente rappresentante della chiesa, si fa portavoce dell’anelito alla libertà dell’essere umano; anelito che può vincere ogni forma di schiavitù interiore solo se sostenuto dalla Fede e dall’Amore.
        Ritengo che, anche considerando le cose da un punto di vista laico (ossia tenendo conto solo di ciò che è osservabile, senza ricorrere, nelle spiegazioni, al trascendente), si possa concordare con Dostoevskij. L’indagine sugli aspetti profondi della mente ha individuato un “oggetto interno” (una persona dentro la persona), erede dell’antico rapporto con il genitore idealizzato e, nella sua forma più evoluta, dotato della capacità di sostenere in modo decisivo la libertà interiore e l’autonomia dell’individuo. È un dato di fatto, rilevabile con un’affinata capacità di comprensione introspettivo-empatica. Ognuno è libero di credere, o di non credere, che si tratti di una manifestazione di Dio sulla terra, ma nessuno può negare la sua esistenza e la sua importanza. Gli atei materialisti sono sicuramente nell’errore molto di più dei credenti; e questo lo sostiene anche chi, come il sottoscritto, non riesce ad aver fede.
        Purtroppo, solo pochi individui eccezionali sono capaci, anche in condizioni d’isolamento, di mantenere saldamente il contatto con l’oggetto interno idealizzato e, quindi, la propria autonomia interiore e la resistenza alle avversità. Si tratta degli eroi e dei martiri, la cui aderenza ai propri ideali non viene scalfita da alcuna forma di persecuzione. Un esempio è il caso del contadino cattolico bavarese Franz Jaegerstaetter (descritto da Kohut) il quale, ritenendo contraria alla sua fede la guerra provocata dai nazisti e rifiutandosi d’indossare la divisa militare, andò incontro alla fucilazione senza mai essere preso da dubbi o esitazioni; senza mai essere influenzato dall’essere il solo ad aver preso tale decisione. Per tutte le altre persone più comuni, la presenza e la funzione dell’oggetto interno idealizzato richiedono la conferma, il sostegno e la solidarietà di alcuni dei propri simili che condividono gli stessi ideali.
        Recentemente si è suicidato un bravo medico che, se i suoi meriti fossero stati riconosciuti e non fosse stato perseguitato, sarebbe stato ritenuto da tutti un benefattore dell’umanità. Non credo che responsabili di tale tragica fine siano stati solo coloro che gli hanno apertamente manifestato ostilità. Siamo stati anche noi che, per la maggior parte, abbiamo trascurato di metterci nei panni di una persona meritevole che viene perseguitata e calunniata; che abbiamo mancato di offrirgli in modo tangibile la nostra solidarietà; che ci siamo sottomessi in modo acritico al potere. Credo che la maggior parte di noi, tradendo Dio (o il nostro oggetto interno idealizzato) abbiamo mancato di esprimergli quei sentimenti di simpatia e di partecipazione alle sue vicende che probabilmente, anche da soli, avrebbero potuto salvarlo.
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