RECENSIONE A "TENDER BAR"

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24 gennaio, 2022 - 10:48
di: ALBERTO ANGELINI
Anno: 2022
Regista: George Clooney
Nell’Odissea, Ulisse affida la casa e il figlio Telemaco al fedele amico Mentore, perchè ne abbia cura. La stessa dea Atena, a volte, appare sotto le spoglie di questo personaggio per far da guida a Telemaco e aiutare Ulisse.
Il protagonista del film che, nella veste di bambino prima e di ragazzo poi, tutti chiamano JR senza ben sapere il significato di queste iniziali, ha la fortuna di incontrare un grande Mentore. È lo zio Charlie, un personaggio eccezionale; una figura paterna sostitutiva, leggermente imperfetta ma sincera, che ama il baseball ma capisce subito che il nipote non ha attitudine per lo sport e cerca di incoraggiare il suo lato intellettuale.
L’impresa di JR è individuarsi. Secondo Jung, il processo d’individuazione si articola in due operazioni: la differenziazione e l’integrazione. Entrambe queste fasi possono essere considerate sia a livello interpsichico, cioè relativo i rapporti tra il soggetto e gli altri soggetti, sia a livello intrapsichico, ovvero a un livello interno all’individuo. Di fatto, il ragazzo si confronta duramente col mondo esterno ma, com’è ovvio, è ancor più faticoso il confronto col mondo interiore.
L’assenza del padre, un Disc Jockey che, fin da bambino, egli ascolta costantemente alla radio, è la ferita primordiale nella vita di JR. La natura effimera della voce radiofonica rispecchia l’indole sfuggente del padre che il ragazzo vorrebbe ritrovare.
JR insiste così tanto su come non gli dispiaccia non avere un padre nella sua vita, che appare evidente come la verità sia all’opposto.
Lo zio Charlie è intelligente e abbastanza colto da consigliare e discutere i libri che svolgono un ruolo chiave nel plasmare la personalità di JR. C’è una meravigliosa ripresa del ragazzo seduto su un letto, di fronte a un armadio pieno zeppo di libri. "Quello che devi fare è leggerli tutti", dice Charlie.
Lo zio gestisce un locale chiamato The Dickens. Il bar, dove file di grossi volumi con copertina rigida sono allineati sugli scaffali dietro al bancone, diventa la fucina che permette a J.R. di crescere e di coltivare le sue passioni: il luogo fisico e mentale in cui muove i primi passi verso la costruzione psichica del Sé.
The Tender Bar è calato nell’atmosfera degli anni settanta: auto dell’epoca, vestiti a zampa d’elefante, musica rock alla radio; l’ambiente è quello suburbano tipico delle grandi metropoli statunitensi.
JR è un ragazzino inquieto e scrupoloso, bravo a osservare, ma assai meno a vivere. Per le stesse ragioni, in fondo, lo zio barista ed eterno ragazzo ha rinunciato alla prima fila, per trovare un suo equilibrio dietro al bancone.
Charlie, però, è così carismatico e incarna così bene le virtù dell’uomo medio da far pensare al pubblico che il nipote, nonostante le sventure, ha avuto una gran fortuna.
D’altra parte, JR è ferocemente fedele a sua madre; però il film non è curioso di sapere cosa ella abbia dovuto sopportare, concentrato com’è sul modo in cui il ragazzo va cercando l’ispirazione e la strada per emanciparsi e affermarsi.
È una cronaca familiare in cui si intrecciano aspirazioni, desideri, rimpianti e sacrifici per il futuro di una nuova generazione. Una storia dalle atmosfere calde e accoglienti che trasporta, per la sua durata, in una famiglia americana dove, oltre alla superficie dei conflitti, domina forte il senso di appartenenza. Il film è l’adattamento cinematografico dell’autobiografia, Il bar delle grandi speranze di J.R. Moehringer, giornalista e scrittore americano, vincitore del premio Pulitzer nel 2000. 
George Clooney, il regista, fa in modo che il calore del racconto non diventi confuso e non nasconde come, in ogni onesto ricordo di gioventù, le cose divertenti siano il rovescio della medaglia del dolore.
L’altro luogo dove il ragazzo entra in contatto con il mondo è il college. Qui è più evidente lo scontro tra classi sociali, tra chi è lì per un privilegio ereditato e chi, come JR, per un talento.
Al college si concretizza la classica parabola del ragazzo tormentato che l’università strappa al mondo d’origine e che s’innamora, prima ricambiato e poi no, di una bellissima compagna. Tramite l’istruzione è realizzata l’impresa di adattare una educazione proletaria ad ambienti di altre estrazioni e lo sforzo epico di trovare la propria strada. Qui il protagonista ha il vantaggio di saperla poi descrivere rendendola personale e, al tempo stesso, universale.
I dialoghi mettono in evidenza il potere delle parole. Quest’ultime sono al centro di una scena ambientata a Yale, che non appare semplicemente inventata, dove l’insegnante di JR spiega come gran parte della letteratura occidentale sia basata sull’Iliade e sull’Odissea.
Anche Charlie però, a suo modo, esprime una saggezza letteraria; egli vuol far capire al nipote che i riferimenti, nella vita, non devono essere statici e intoccabili come i poemi di Omero, ma insegnamenti dinamici, un pò come i tanti “racconti da bar".
Nel descrivere con garbo e misura questa vicenda, il film attinge anche al repertorio fiabesco. I personaggi che compaiono all’interno di una fiaba possiedono un’identità definita e inconfondibile, ma ancor più definito e rigido è il sistema astratto di rapporti e funzioni fra loro. Le fiabe, in sostanza, raccontano tutte la stessa storia; quella che Vladimir Propp ha definito la “trasformazione di una invarianza”. Anche per questo, perchè la storia è, in fondo, una fiaba abbastanza nota, per la severa critica statunitense, il film non è perfetto.
Tuttavia non va sottovalutato il potere del sogno. Clooney ha ben colto un pezzo del fiabesco e mitico “Sogno americano”; il senso d’attesa di un’infanzia e di un’adolescenza tipiche; la mente rivolta al futuro con la volontà di costruire un’esistenza realizzata.

Alberto Angelini
www.albertoangelini.it


 

 

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