Doppio amore di François Ozon, Una recensione psicoanalitica

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26 aprile, 2022 - 09:43
di: Riccardo Dalle Luche
Anno: 2017
Regista: François Ozon

Che un film già visto anni prima risorga nella memoria nel corso di una seduta con un paziente è una prova praticamente certa della sua pertinenza psicoanalitica. É  il caso di Doppio amore, uno dei titoli migliori della rilevantissima produzione, anche dal lato psicologico e psichiatrico, di quello che può essere considerato l’ultimo Autore di cinema della grande tradizione francese, François Ozon 

Tratto dal romanzo  Lives of the twins di Joyce Carol Oates, che l’ha scritto sotto lo pseudonimo/doppio letterario Rosamond Smith, forse per proteggersi dalle possibili critiche legate al suo contenuto altamente perturbante, il film ne accentua fortemente gli aspetti onirici anche a discapito della coerenza e della verosimiglianza narrativa, soprattutto nel finale. Il libro e il film hanno come tema principale una profonda e inquietante riflessione sulla gemellarità, proseguendo una tematica che già Cronenebrg ha portato sugli schermi (da un romanzo) in uno dei suoi capolavori, Inseparabili/Dead Ringer (1988), che ricordiamo anche come vetta interpretativa cinematografica  di Jeremy Irons. Il film aggiunge al testo un’altrettanto profonda analisi della sessualità femminile vista in soggettiva femminile, ed infatti inizia con una visita ginecologica e con la dissolvenza dell’orifizio vaginale in un occhio femminile. 

 Lo spunto narrativo è un malessere somatizzato nell’addome da una giovane donna, Eva (la bellissima e spregiudicata modella Marine Vacht), che lavora in un museo di arte moderna, dove spesso sono esposte opere d’arte di ispirazione biologica e embrionale. Eva inizia titubante un percorso di cura effettuando una serie di verosimili sedute psicoanalitiche, dalla quale emergono numerosi elementi significativi;  l’analista, il giovane, gentile e sollecito Paul, alla fine s’innamora di lei e le chiede di interrompere le sedute, invece i due, al momento della separazione, consumano il loro amore transfert/controtransferale e vanno a convivere. Da una serie di indizi  Eva scopre che Paul ha un gemello, Louis, il quale anch’esso si professa psicoanalista ma anche psicoterapeuta cognitivo-comportamentale: lei si propone allora come paziente col nome di Chloè per scoprire la verità su Paul, ma la sua strategia viene immediatamente smascherata dal perspicace Louis (“mentire seducendo è una pratica comune delle belle donne”). Il nuovo analista, all’opposto del fratello gemello, con modalità brusche e poi violente le impone una relazione  al limite del sadismo, alla quale lei cede con inquietante soddisfazione. La storia evolve in un progressivo giuoco di specchi e di “comportamenti parafilici”, come si dice oggi a seguito dell’improvvida abolizione del termine tecnico di “perversione”, che culminano nella sodomizzazione di Paul da parte di Chloè  munita di un opportuno dildo,  come facendosi mediatrice dell’omosessualità dei gemelli che vediamo, bambini, rincorrersi, giocare e picchiarsi. 

 Il tema della gemellarità si moltiplica nel finale coinvolgendo una coppia di gatti (dei quali uno prodotto da una rara fusione gemellare embrionale) e con la scoperta di Chloè di avere una sorella, che prima le compare come una tetraplegica in stato vegetativo per le conseguenze di un tentato suicidio legato alla duplice relazione con i due gemelli Paul e Louis all’epoca del liceo, poi come embrione gemellare incistato nel suo addome (e quindi reale causa dei suoi dolori): il teratoma si accresce come una gravidanza orrorifica (anch’essa con richiami cronenberghiani) e deve poi essere asportato per via addominale in una sorta di parto cesareo degno di Videodrome (1983), che presumibilmente fa guarire la paziente. In questo finale, che ad una prima visione può apparire confuso, fa la sua comparsa una madre (Jacqueline Bisset), tanto accudente quanto svalutativa e distruttiva verso Eva, che ha anch’ella un doppio del tutto accudente e rassicurante nella figura di una vicina di casa che più volte soccorre Eva/Chloè nel corso della storia. 

L’intera vicenda, che si alimenta di immagini spesso molto potenti, sia sul versante erotico che su quello scenografico, non senza forti simbolismi (lo specchio infranto, il parto dell’oggetto interno persecutorio, l’omicidio liberatorio da parte di Chloè di uno dei fratelli [quale?]), immagini che si imprimono indelebilmente nella memoria, nasce, come si è detto, come una vicenda realistica e sprofonda verso tematiche che richiamano angosce originarie, fantasie sessuali tanto perverse quanto auto-terapeutiche; per questo motivo il film richiede una lettura psicoanalitica per essere minimamente decifrato. Non è questa la sede per approfondire nei dettagli una ricerca che potrebbe essere molto estesa, che richiederebbe numerosi revisioni, un attenzione anche ai minimi dettagli, alle singole battute, ed una riflessione sulle fantasie transfert/controtransferali che il film mette in scena concretamente ma che sono ubiquitarie in molte terapie reali. 

 Qui possiamo solo richiamare che 

-il tema della gemellarità si presta come pochi altri a mostrare gli effetti inelaborabili delle simbiosi (qui tra gemelli maschi, Eva con la gemella inclusa e con la propria madre) che si ripropongono in terapia (nel legame inscindibile col terapeuta, nella atemporalità/interminabilità dell’analisi, nelle scissioni tra parte sane e malate, autentiche e fittizie) e  dell’ambivalenza tra dipendenza e persecutorietà che quasi invariabilmente vi si associa; 

- l’identità sessuale  femminile è così naturalmente incline al gender fluid  da potersi appropriare di, e interpretare, fino ad incarnare, fantasie omosessuali maschili; che queste ultime sono spesso mascherate dal cosiddetto sadomasochismo consensuale (ad esempio nelle diffusissime pratiche di BDSM), alle quali le donne aderiscono con disinvoltura ed anche imprevedibile soddisfazione. 

 Il coacervo di questi temi è sovente inestricabile e non può essere risolto univocamente, quale sarebbe, ingenuamente, una singola interpretazione analitica. Forse questa irriducibilità logica e questa illimitatezza tematica sono caratteristiche strutturali delle angosce primordiali e regressive per le quali, come diceva il dimenticato Matte Blanco, non vale la logica aristotelica asimmetrica, ma quella non disgiuntiva (da lui detta “simmetrica”) che del resto è implicita nella figura del doppio speculare. Il meccanismo narrativo viene messo in funzione con la creazione di una bi-logica (simmetrica e contemporaneamente asimmetrica) rappresentata soprattutto  dal dominio e dalla sopraffazione di un gemello sull’altro (l’hegeliana lotta mortale per il riconoscimento), dal loro tentativo di disambiguazione, di sciogliere la simbiosi, garantendo un’identità ed una autonomia al singolo. In questo il film è assolutamente isomorfo ad un percorso analitico ben condotto  e ne rappresenta una sorta di parabola narrativa.  

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