IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

R.A.M. Ridotta Attitudine Militare

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20 maggio, 2022 - 07:46
di Antonello Sciacchitano
Sono nato due settimane dopo l’entrata in guerra dell’Italia, a fianco di Germania e Giappone, urlata da Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia. Perciò ero soprannominato “Nellino Guerrino”, anche perché criticavo tutto e tutti. (Più tardi meritai il soprannome di “critico d’arte” nel senso che esercitavo l’arte della critica.) Il mio destino era segnato: non sarei mai entrato in un’istituzione di pace. Ma non sono mai stato neppure un rivoluzionario guerrafondaio. Forse qualcuno mi capirà: esiste una guerra interiore, quella che si combatte per innovare gli schemi della vita civile, contro verità stabilite dall’alto e imposte magari in modo democratico.

A 18 anni, in terza liceo classico, ebbi l’inattesa e invidiabile fortuna di leggere il capolavoro di Eschilo, rappresentato per la prima volta nel 472 a.C., a soli otto anni dalla disfatta navale dei persiani a Salamina. I Persiani mettono in scena, dalla parte dei vinti, la verità del soggetto collettivo che fa la guerra: chi aggredisce l’altro perde. La vittoria dei Greci nella guerra contro Troia, grazie all’astuzia di Ulisse, è una finzione mitologica. In guerra non c’è astuzia che tenga. C’è una sola certezza: in guerra si perde tutti.

Divenuto analista, non mi ha mai convinto la spiegazione freudiana: c’è la guerra perché c’è la pulsione aggressiva. Sarebbe come dire che l’oppio fa dormire perché ha la virtus dormitiva (leggi Molière, Il malato immaginario, malato di immaginario). Non si fa la guerra per odio dell’altro, ma più radicalmente perché non si vuole sapere dell’altro. La guerra è il portato della primordiale volontà d’ignoranza, passione più estrema e più profonda dell’odio: è una forma di oscurantismo originario, di cui siamo tutti malati. In tedesco si direbbe Urunwissenschaft, ignoranza originaria come negazione primitiva della scienza, sopraffatta da banali, benché famose, bibbie e da tutta una tradizione letteraria di stampo narrativo, per lo più favolistico. Perciò la guerra finisce sempre male, perché a vincere è sempre il male originario del vivere (Urbose), l’ignoranza, magari filosoficamente alimentata come verità di qualche realtà romanzesca.

Sia come sia, la mia storia procedette con una certa coerenza. Alla visita di leva fui scartato dal servizio militare con la formula bellissima: R.A.M., ridotta attitudine militare, oggi riproposta in tutt’altro significato di random access memory dei computer, ma allora per me giustificata dalla ridotta circonferenza toracica. Da allora non sono mai entrato come militante in nessuna milizia. Non mi sono sottomesso a nessuna dottrina. Se entravo in qualche conventicola scolastica, per esempio nelle associazioni psicanalitiche, tutte regolarmente strutturate come chiese o come eserciti, giusta l’analisi di Freud, era sempre par provision: dopo un po’ mi autoespellevo, per una sorta di claustrofobia… cartesiana. Volevo respirare all’aria aperta, come esigeva il mio sintomo nevrotico: una leggera forma di asma, sintomo ereditario, per la precisione paterno. Insomma, volevo pensare. Le scuole inibiscono il pensiero.

Oggi, leggendo le cose sagge e meno sagge, enunciate da tanti colleghi più o meno intelligenti di me, sulla verità della guerra in Ucraina, mi è venuta istintiva una reazione: il silenzio. La guerra, sotto la cui proclamazione sono nato, è per me un destino superiore da rispettare: è il destino dell’Io paranoico, destinato a scontrarsi con l’altro. La guerra è il padre di tutte le cose,[1] disse un grande filosofo, soprannominato l’Oscuro (Skopès); in realtà si chiamava Eraclito, della generazione prima di Eschilo. A modo mio, nonostante la mia ridotta attitudine militare, faccio la guerra anch’io. Ridotta attitudine militare non significa ridotta attitudine polemica: “guerra” si dice in greco polemos. Mi batto contro le sclerotizzazioni imposte dall’altro (dall’alto, ho scritto sopra), contro tutte le accademie, che negano la diversità e la pluralità di vedute. Il mio è un modo di guerreggiare parecchio velleitario contro tutti e contro nessuno, contro dogmi e misteri, che non suscita né simpatie né promuove alleanze. Allora taccio, per non dire la banale verità: l’io combatte l’altro, perché l’io è già l’altro, a causa dell’identificazione alienante. La guerra è l’io che guerreggia contro l’io. Si fa sempre la guerra contro sé stessi, immaginando di farla contro l’altro brutto e cattivo. Alla faccia dell’autonomia dell’io e del suo narcisismo.

Così ho detto la mia e mi taccio per ridotta attitudine militare.

 

[1] Diels-Kranz B 53.

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Commenti

Conosco da anni la capacità polemica di Sciacchitano che fa tutt'uno, ed è la stessa cosa, nel senso che stanno in piedi insieme, con la sua capacità di analisi. Detto questo la guerra intellettuale, la guerra delle analisi e delle contro analisi, la guerra degli intellettuali, è una guerra da ridere, nessuno muore, se muore qualcosa è qualcosa che riguarda il libero pensiero. Ma su un tema in questo periodo di ns cobelligeranza nessuno, dico nessuno, ha spiccicato parola: il MILITARISMO CULTURALE. Why ? Nessuno, o almeno pochissimi, e solo in casi veramente eclatanti, hanno visto la correlazione tra radicalizzazione delle pratiche addestrative militari (a partire dal Vietnam con addestramento "manualistico" delle forze militari alla tortura e alla resistenza alla tortura per esempio) e episodi di violenza assolutamente gratuita e fuori controllo e radicale. Se la guerra è diventata nell'arco di poco più di un secolo "sporca" e "totale" forse dovremmo porci qualche domandina. Foucault così elencava quelle che per lui erano le Istituzioni Totali: carcere, chiesa, caserma e ospedale. Se di carcere, chiesa e ospedale se ne è parlato molto, molto meno è successo con la caserma, a parte il fatto che se ne è fatta una serie televisiva come per il collegio (Andate a informarvi su come è stata costruita quella serie...). Insomma il militarismo è un modello culturale, una forma mentis che si lega col maschilismo, col baronismo (dimenticavo un'altra istituzione totale: l'università) e col familismo. Assistiamo ignari (per volontà e non per impossibilità di conoscere) alla progressiva militarizzazione della società, per cui tiriamo un sospiro di sollievo quando il "comando" della "campagna" vaccinale anticovid passa nelle mani del generale integerrimo e libero da ogni sospetto di collusioni e corruzioni. Assistiamo ad una sempre più profonda commistione di funzioni civili/politiche e culturali e funzioni militari che intervengo in soccorso quando le istituzioni civili non sono in grado di sbrogliare la matassa. Questo fatto mi preoccupa moltissimo. Un altro fenomeno che ha spopolato e gode di ottima salute è quello del survivalismo (avete presente Rambo che sopravvive nella foresta vietnamita e stermina gli aguzzini comunisti che tengono in schiavitù i suoi commilitoni ?), una deriva del survivalismo, in apparenza innocua, è a mio avviso quella legata al tema della resilienza. Ci sarebbe ancora molto da dire, ancor più da fare nelle modalità "polemiche" e analitiche che ci propone Sciacchitano. Mi fermo qui e un saluto da un vecchio obiettore di coscienza.

Grazie dottor Sciacchitano per il suo stile e per i contenuti di pace e ragionevolezza che veicola nei suoi scritti, in quest'ultimo in particolare.
La saggezza nevrotica e l'indipendenza di pensiero scevra da scuole e scuolette non possono che essere dei fari per i viandanti dispersi nel bosco.
Da qualche settimana sono diventato Socio della Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica e dell'Associazione Italiana Psicologia Fenomenologica: le devo confessare che l'ho fatto sia per un impulso narcisistico che per volontà di condivisione con certi 'comites' ormai quasi più che decennali.
La esorto pertanto a continuare ad illuminarci nel suo viaggio di pensiero iper-razionale e noi dal canto nostro cercheremo di metterci il pathos e la creatività di cui lei magari deficia un pò.

La saluto caramente con tanta stima da Polignano a Mare nelle Puglie
Nicola Maria (Niki) Ardito


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