Mente ad arte
Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

The Whale, una ripugnante ma buona spugna emotiva

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8 marzo, 2023 - 15:38
di Matteo Balestrieri

Charlie è un professore di inglese solitario estremamente obeso (pesa 270 kg), che tiene corsi di scrittura universitari in videoconferenza. È assistito da Liz, sua infermiera e unica amica, sorella del compagno di Charlie, morto suicida tempo prima. Charlie non vuole farsi curare perché dice che non ha abbastanza soldi per poter pagare le visite e le medicine, ma in realtà perché sta accumulando denaro per darlo un giorno alla figlia Ellie, con la quale spera di riallacciare i rapporti dopo otto anni di separazione.
The Whale deriva da una pièce teatrale di Samuel D. Hunter che fa riferimento a vicende anche personali. È un film sull'amore, sul rimpianto, sulla incomunicabilità e sul mangiare smodatamente come forma di autodistruzione. Ma è molto altro: vi sono rimandi ai temi della vita di relazione, l’omosessualità, il rapporto padre-figlia, la depressione, le imposizioni delle sette religiose, l’incapacità ad avere un pensiero indipendente, i condizionamenti infantili. Vi sono poi temi letterari espliciti (la balena di Melville, le opere di Walt Whitman) e meno espliciti, come le opere delle stesso regista Darren Aronofsky, ricche di riferimenti alle dimensioni e trasformazioni corporee: “Requiem for a dream”, “Madre!”, “Il cigno nero”, “π - Il teorema del delirio”. In conseguenza, la lettura del film può essere molto articolata, così da prestarsi ad una versione fredda o a una calda.
  L'analisi fredda, di tipo letterario e cinefilo, riguarda in primo luogo un doppio rimando al Moby Dick di Melville: si suggerisce che l’enorme Charlie sia Moby Dick, che agisce seguendo natura ("ho scelto l'amore", riferendosi alla sua fuga da casa per la passione per il suo giovane compagno) così che egli non è animato da spirito combattivo ma solo dalla necessità di proteggersi, mentre Ellie è come il capitano Achab, ossessionato e desideroso di distruggere la “balena bianca” che l’aveva mutilato (Achab della gamba, mentre Ellie della sua infanzia). Ma il romanzo di Moby Dick rimanda anche alla convinzione di Charlie che sua figlia non sia una adolescente cattiva ed aggressiva, ma una persona buona. Questa convinzione deriva dal fatto che anni prima Ellie aveva scritto un tema dove si leggeva "i capitoli digressivi e noiosi sulle balene mi rendevano ancora più malinconica, perché ero consapevole che l'autore voleva distrarci dalla sua triste storia, anche solo per un po'. Questo libro mi ha fatto pensare alla mia vita e poi mi ha fatto essere felice per mio (padre)...". Charlie pensa che questa Ellie buona e sensibile non possa essere scomparsa e parallela questa convinzione con quanto lui pensa in generale dell’umanità, sintetizzato nella domanda rivolta a Liz non hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non amare?”.
  L’altro importante rimando letterario è Walt Whitman, poeta osannato e fondamentale nella letteratura statunitense, cantore della libertà e della indipendenza di giudizio contro i condizionamenti della società. Gli spunti anche in questo caso sono due. Il primo è l’analogia con John Keating, l’insegnante interpretato da Robin Williams ne “L’attimo fuggente” di Peter Weir. Così come quell’insegnante si ispirava a Whitman per sostenere presso i suoi allievi la necessità di “cogliere l’attimo” scrivendo parole sincere, ribellandosi quindi ai clichè imposti dal college, anche Charlie è un insegnante che proclama ai suoi studenti, caparbiamente fino al proprio licenziamento, la necessità di scrivere versi sinceri. Fino in effetti a martoriarsi (e questo è il secondo spunto), come quando chiede di Walt Whitman a sua figlia Ellie, e lei lo definisce senza mezzi termini “una checca sfigata vissuta nell’Ottocento”, con riferimento evidente a lui stesso. Charlie se ne rende conto, ma riconosce che è un pensiero sincero ed approva seppur a malincuore.
L’analisi calda si riferisce invece a tutto quello che traspare in Charlie. Brendan Fraser, ingabbiato in un enorme involucro corporeo artificiale, riesce ad essere assolutamente credibile nei panni di un uomo distrutto dal lutto per il suo amore, ma anche rammaricato per aver abbandonato la figlia. Questi due amori sono risultati incompatibili e lui ha fatto una scelta.
Charlie è di fondo un ingenuo contagiato dai sentimenti e da questi travolto. È inoltre portatore di un pensiero che afferma che tutti sono in fondo buoni e bisogna perciò pensare al lato positivo delle persone e delle cose. Con un’unica rilevante eccezione: lui stesso, immeritevole e disgustoso (chiede in effetti a tutti se lo trovano ripugnante). La sua autodistruzione corporea, attraverso abbuffate e ingozzamento di junk food e pizze, è la forma con cui prende letteralmente corpo il bisogno di punirsi. Per cosa? Per non aver salvato il suo compagno e per aver abbandonato la figlia.
Non si capisce in effetti se Charlie è pentito delle sue scelte o se è un uomo semplicemente sconfitto per avere seguito i propri istinti. Gli rimane un unico obiettivo: riconquistare sua figlia. E cerca di farlo quasi implorandola di volergli bene, anche al prezzo di rischiare di interrompere il rapporto di fiducia con Liz, l’unica che lo ha sopportato e supportato.
Ed è questo suo desiderio, che esprime con una mimica facciale che commuove, che ci spinge a volergli bene, superando la ripugnanza per il suo impossibile corpo informe e perdonandogli le sue incapacità. Lo sguardo di Charlie ci dice che è un uomo solo, sconfitto, ma profondamente buono, e per questo lo accompagniamo volentieri nel suo sforzo, anche fisico, di arrivare a sua figlia.

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