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TRENDS CULTURALI IN TERAPIA COGNITIVA

9 Gen 13

Di FRANCESCO BOLLORINO

di Isabel Caro

Invited address al Congresso Mondiale di Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, Vancouver, Luglio, 2001

 

La psicoterapia cognitiva è, attualmente, uno dei modelli psicoterapici più applicati da psichiatri e psicologi. Ciò è, in buona misura, dovuto all'efficacia, ampiamente verificata, alla possibilità di applicazione alla quasi totalità di patologie, tra cui anche quelle più gravi, e alla apparente semplicità della strutturazione dell'intervento.
Va sottolineato, tuttavia, che si tratta di un orientamento in rapida evoluzione e in cui, ormai, si configurano modelli teorici tra loro abbastanza diversi con correlate differenze anche sul piano della relazione terapeutica e delle modalità di strutturazione dell'intervento. 
Allo scopo di effettuare un intervento psicoterapico adeguato, è indispensabile che psichiatri e psicologi siano aggiornati, e pertanto consapevoli, riguardo il modello epistemologico e clinico a cui si stanno riferendo. Non raramente, purtroppo, la divulgazione, per molti versi utile, dell'orientamento psicoterapico cognitivo è andata di pari passo con la banalizzazione e la inadeguata semplificazione del modello stesso. 
L'articolo di Isabel Caro, originariamente presentato come relazione al Congresso Mondiale di Vancouver 2001, ricostruisce le tappe evolutive dell'orientamento cognitivo, il suo background culturale e la sua attuale caratterizzazione teorica e clinica in transizione tra modernismo e postmodernità.
Il lettore potrà, pertanto, avere un quadro globale dello "stato dell'arte" della terapia cognitiva, da approfondire, in modo mirato, con letture e corsi formativi specifici. 






Liria Grimaldi di Terresena

 

1 – Premessa e Introduzione

Cari colleghi, vi ringrazio molto per questo invito e per essere qui questa mattina. Dopo avere fronteggiato il primo attacco di panico ed essermela presa con me stessa per avere accettato questo invito, comincio con l'esprimere alcune opinioni, che mi piacerebbe condividere con voi, sul tema ”Trends culturali in terapia cognitiva”.

Introduzione

Cosa siamo come psicologi, terapeuti o psicoterapeuti cognitivi?
Quali sono gli elementi determinanti negli attuali interessi nel nostro campo?
Queste due principali questioni saranno l'elemento conduttore della mia relazione. E le risposte generali ad esse vanno di pari passo con il concetto di cultura. 
Come punto di partenza, mi piacerebbe assumere che psicologia e, ovviamente, psicoterapia cognitiva, siano discipline scientifiche in evoluzione e che si riferiscano ad uno specifico tempo culturale e storico. Peraltro, ciascuno momento culturale e storico è caratterizzato da differenti attitudini, valori, difficoltà e necessità, che sono all'interno di una specifica epistemologia e ontologia.. Noi siamo, come esseri umani, un prodotto sociale e culturale.
Ciascun approccio terapeutico è una diretta conseguenza di un contesto culturale. Come psicoterapeuti, noi ereditiamo e contemporaneamente costruiamo, un particolare punto di vista riguardo gli esseri umani con cui lavoriamo. Allo stesso tempo, questo si riflette su come ci comportiamo in psicoterapia, come partecipanti attivi.
La combinazione di questi vari aspetti influisce sulle modalità di sviluppo di uno specifico contesto psicoterapico.
Questo è il mio punto di partenza, ma quale è il punto da mettere a fuoco?

 

2 – L'etichetta cognitiva

Lasciatemi affermare, e sono sicura che tutti sarete d'accordo, che, al giorno d'oggi, la psicoterapia cognitiva è uno dei principali approcci terapeutici.

Psicoterapia cognitiva, oggi, è diventata una etichetta ampia e aperta. Per la mia discussione, sono importanti tre principali orientamenti.


  1. Modelli ristrutturanti.
  2. Modelli cognitivo-comportamentali.
  3. Modelli costruzionisti (costruttivi), narrativi.

 

Possiamo, inoltre, descrivere tre principali fasi nello sviluppo della psicoterapia cognitiva:


Cognitive therapy is in the air: mid 50-60/80

Mi piacerebbe utilizzare, per questa prima fase, proprio questa definizione. Il periodo iniziale va dalla metà degli anni '50 ai primi anni '60, con i primi lavori di Ellis e Beck.
Complessivamente, e' una fase che comprende il primo grande studio sull'efficacia effettuato da Beck e da altri autori (Rush et al., 1977) e che finisce con le prime critiche interne, da parte di Mahoney (1980), sulla terapia cognitiva.
Negli stessi anni, si sono sviluppati vari modelli cognitivo-comportamentali, quali il lavoro nell'ambito del Problem solving da parte di D'Zurilla e Goldfried (1971) e lo Stress inoculation training da parte di Meichenbaum e Altri (1975).


Cognitive establishment: 1980-1990

La seconda fase evolutiva della psicoterapia cognitiva, è la fase dell'affermazione e diffusione. I modelli ristrutturanti e cognitivo-comportamentali vanno incontro ad un incremento della loro rilevanza e applicabilità. Questa è la decade della espansione e della divulgazione conseguenti alla evidenziazione dell'applicazione della terapia cognitiva a quasi ogni tipo di psicopatologia; è anche la decade caratterizzata da una elevata pubblicazione di manuali e testi di auto-aiuto (i.e., Burns, 1980; Emery, 1981).
Tuttavia, è anche la fase in cui un cambiamento del paradigma e l'apertura verso altri modelli in terapia cognitiva, è fortemente portata avanti da vari autori quali Mahoney (1988), Guidano (1987), Liotti (Guidano e Liotti, 1983), Safran e Segal (1990).


A happy cognitive world: 1991-till now

Questa terza fase, che mi piace definire "a happy cognitive world", giunge ai nostri giorni e comincia nel 1991 con la pubblicazione del volume Human change processes di cui è autore Mahoney (1991) e del volume The self in process (1991) scritto da Guidano.
Questa fase si caratterizza per il profondo contributo, all'area cognitiva, da parte del costruttivismo e dell'approccio narrativo e linguistico; viene confermato, inoltre, l'incremento di aspetti caratterizzanti la precedente fase, come la sempre più ampia diffusione e applicazione clinica.
Tuttavia, ciò che è più rilevante per la mia discussione è l'affermarsi e la felice coesistenza di due differenti paradigmi cognitivi.
A questo punto, vorrei descrivere l'idea che mi piacerebbe esplorare.
Io penso che la terapia cognitiva abbia un "debito", nella sua evoluzione, nei confronti di certi aspetti di post-modernizzazione del modello, che è più evidente in questa terza fase. Tuttavia, voglio sottolineare che questa evoluzione non si riferisce alla totalità del modello cognitivo. Più specificamente intendo dire che alcune caratteristiche della terapia cognitiva sono pienamente post-moderne mentre altri aspetti mantengono un attitudine modernista.
Sebbene tutte le classificazioni siano problematiche, ciò che è più rilevante, per la mia intenzione di connettere, in questo lavoro, cultura e psicoterapia cognitiva, è effettuare una distinzione in termini epistemologici, tra le due principali modalità di praticare la psicoterapia cognitiva.
In tal modo, possiamo correlare (Caro, 1995, 1997) la i modelli ristrutturanti e cognitivo-comportamentali ad una epistemologia modernista mentre i modelli costruzionisti, termine che io preferisco rispetto a costruttivista, sono correlati ad una epistemologia postmoderna.

 

3 – Antecedenti modernisti della psicoterapia cognitiva

La prima grande eredità del modernismo è l'individuo. I modernisti ci hanno lasciato una cultura della personalità, in riferimento al Sé (Lipovtesky), riflessa nei lavori letterari di Joyce , Proust, Faulkner o Baudelaire, e nei dipinti di Picasso, van Gogh o Matisse.
Si tratta di esempi di arte che rispecchiano il mondo interiore dell'artista. Gli scrittori hanno sfidato e cercato di sovvertire, una società che aveva conquistato il mondo ma che, nel corso di questo processo, stava perdendo la sua anima. Essi hanno descritto il loro tormento interiore e la loro incertezza, esprimendosi simbolicamente, metaforicamente, e, (Joyce e Proust) in modo particolareggiato (Parry, 1993, p.431). I modernisti erano critici nei confronti del vuoto spirituale della società che consideravano conseguente alla conquista materiale del mondo, anche se erano molto ottimisti. Essi condividevano una loro fiducia utopica nell'avvento di un mondo migliore (Parry, 1993, 431, 431). Al centro della prospettiva modernistica, c'era la base e l'essenza del romanzo ottimistico ed esaltante (Gergen, 1992, p.19). Peraltro, il modernismo si caratterizzava manifestando un profondo gap tra gente comune ed elite culturale. Le approfondite diagnosi della psiche moderna e dei suoi tempi, rimanevano impenetrabili per la maggior parte della gente che preferiva il gusto più sintetico e lineare delle arti della cultura popolare (Parry, p.434).
Il modernismo, espresso da artisti e scrittori, contribuisce alla realizzazione dello sviluppo della psicologia, inteso come internalizzazione della dimensione narrativa (Parry, 1993, p.432). La psicologia è un progetto della modernità. Come puntualizza Kwale (1992, p.40), la scienza della psicologia era fondata sulla concezione di soggetti individuali, dotati di un anima interna e con un apparato psichico anch'esso interno ma più tardivo. Il concetto di malattia mentale e i principali sistemi psicoterapici, sono una conseguenza della modernità (Ibanez, 1999)

 

4 – Verso il postmodernismo

La cultura postmoderna certifica la morte del soggetto. L'individuo non è più al centro dell'universo, ma è decentrato. Il Sé modernista è morto (Jameson, 1984). Viceversa abbiamo diversi Sé, saturati, frammentati  o narcisistici.
La postmodernità è molto ben rappresentata nelle arti, nell'architettura e nei film. Lyon (1994) l'ha descritta usando il film Blade Runner come un esempio. Il film illustra uno scenario di decadenza urbana, edifici abbandonati, strade affollate, strade commerciali, risse diffuse, e una pioggia continua. La società è fatta da replicanti, non-umani, che vogliono diventare umani, che sognano una madre che proviene da una fotografia. Blade Runner è postmoderno in quanto la realtà mette in discussione sé stessa. I replicanti vogliono essere persone reali, ma Rachel, una replicante, costruisce la sua identità a sua volta da una costruzione: una fotografia. Inoltre, edifici e strade mostrano tracce di modernità. Così il postmoderno allarga ed esagera alcune caratteristiche di modernità, mentre ne critica altre.
Il film mostra una nuovo ordine organizzazionale che si muove intorno alla conoscenza, piuttosto che basarsi sul lavoro e il capitale. Una conoscenza che aumenta il potere della mente, rispetto ai muscoli. La conoscenza è diventata un business. L'ingegneria genetica rende possibile il simulacro umano. I replicanti esistono in un mondo che ha sconfitto i vincoli del tempo e dello spazio, attraverso le nuove informazioni e le tecnologie di comunicazione del villaggio globale.
Nella città descritta nel film, Los Angeles, coesistono diverse culture, specialmente espresse da persone del Terzo Mondo che sono parte del proletariato post-industriale, e in cui vengono meno le differenze legate al sesso e all'età. Questa mistura culturale, intensificata dai nuovi media, dà al postmodernismo i suoi riferimenti sociali.
L'individuo postmoderno vive in una incredibile  società dei consumi, dove ogni cosa è uno show, essendo l'immagine pubblica la sola cosa importante. Noi siamo ciò che consumiamo. Disneyland è più reale di quel che potremmo pensare.
E' necessario che due ulteriori caratteristiche, siano messe in evidenza:
C'è stato uno spostamento dalla cultura elitaria modernista  verso una attitudine eclettica, dove "everything goes".Dalle linee basiche ed essenziali, dall'efficiente, pragmatico layout di massa e spazio, l'arte postmoderna enfatizza l'estetico sul funzionale (Rosenau, 1992, p.7), come mostra il Guggenheim a New York e a Bilbao.
Dall'avanguardia critica, innovativa e antitetica alla classe media siamo andati incontro ad un arte dove qualsiasi cosa può andare, essendo più importante essere sé stessi, e dove gli oggetti d'arte non sono gli oggetti in sé stessi, ma il loro facsimili commerciali, come dimostrano i lavori di Warhol Dopo questa introduzione culturale, è il momento di ritornare alle tre principali fasi della terapia cognitiva, focalizzando l'attenzione sui tratti moderni e postmoderni.

 

5 – Prima fase: cognitive therapy is in the air (50-60)

La prima fase della terapia cognitiva è un esempio delle principali caratteristiche moderniste.
Sebbene si tratti di una questione molto dibattuta, la ristrutturazione e i modelli cognitivo-comportamentali possono essere descritti come modelli razionalisti. Il razionalismo (Mahoney, 1991, p.38) si basa sulla conoscenza e sul conoscere mediante pensieri razionali, formali e logici, mentre le sensazioni emozionali sono descritte come illusorie e inferiori alla ragione. Questa visione razionalistica implica una specifica concettualizzazione dell'essere umano e, coerentemente, una specifica definizione del ruolo scientifico che, è, anche, caratterizzato da una frattura tra cultura professionale e non professionale.
Tutto questo può essere esemplificato dal tipo di relazione terapeutica che, in quest'ottica, è sostenuta e dagli obiettivi che la scienza dovrebbe avere. 


L'individuo modernista

La terapia cognitiva è cominciata sviluppando il detto Cartesiano: Penso, dunque sono. L'individuo modernista, secondo una logica comune ad altri approcci come il comportamentismo e la psicodinamica, è rappresentato come un meccanismo che potrebbe avere dei problemi e che, pertanto, necessita di essere adattato di volta in volta (Mc Leod, 1997). In quest'ottica razionalista, una grande importanza è attribuita alla razionalità, al controllo e alla cancellazione del rischi.
I modernisti descrivono gli individui come esseri che, implicitamente, non potrebbero aspettarsi di conoscere le proprie menti, che devono cercare una guida all'esterno e che, allo scopo di conoscere sé stessi, devono affidarsi ad "esperti"  nell'interpretazione psicologica e mitologica. In quest'ottica il cambiamento non è menzionato (Parry, 1993, p.433). Passiamo a descrivere gli "esperti".

Lo scienziato modernista

Come affermato da Cushman (1992, p.25), l'industrializzazione, l'urbanizzazione e la laicizzazione hanno causato un rinnovato interesse nel mondo fisico, negli esseri umani, nella scienza, nel commercio e nella razionalità.
Lo Stato ha dovuto sviluppare modalità di controllo per un nuovo tipo di soggetto: più mobile, meno vincolato dalla tradizione e dalla religione, meno condizionato dal ruolo, e meno prevedibile.
Per Foucault (1975, Surveiller et punir) il sé evolve da una dimensione di controllo da parte delle monarchie assolute verso una dimensione di isolamento, minore condivisione con la comunità di appartenenza e maggiore individualismo, maggiore confusione rispetto a ciò che è "buono" o "cattivo", "etico" o "non-etico". Questo nuovo Sé emergente ha bisogno di essere guidato e, pertanto, lo Stato crea un nuovo tipo di "esperto", il moderno filosofo, che, nel corso del tempo, diventa uno scienziato sociale, che sviluppa tecniche per:

  1. Osservare
  2. Misurare
  3. Prevedere
  4. Controllare il comportamento individuale


L'auto-consapevolezza è il più rilevante elemento del nuovo Sé. Gli individui, secondo quest'ottica, hanno le seguenti competenze:

  1. Osservano sé stessi

  2. Riflettono sulla loro natura

  3. Pensano su ciò che nascondono o manifestano

  4. Speculano sul loro reale essere e sulla loro identità


Come conseguenza, emergono le separazioni tra:


  • corpo e anima
  • soggetto e oggetto
  • ragione ed emozione

Questa è stata, peraltro una delle critiche nucleari e delle questioni più dibattute, all'interno della psicoterapia cognitiva, in questa prima fase.
L'esempio metaforico offerto da Foucault è il Panopticum.
Si tratta di una prigione disegnata da Bentham, nel XVIII secolo, con l'obiettivo che i prigionieri potessero vedere sé stessi ma non le guardie.
Gli obiettivi del Panopticum erano:

  1. Incrementare la tolleranza ad essere osservati

  2. Incrementare la tendenza e la capacità ad auto-osservarsi 

  3. Incrementare la pressione verso l'essere "normali"

  4. Incrementare la tendenza all'auto-osservazione e al cambiamento comportamentale consapevole.


Questo è il perfetto simbolo di un nuovo ordine sociale. Ma come potrebbe essere possibile accedere al dominio privato? La risposta proviene dalle pratiche in sviluppo che facilitano questo accesso. Pratiche che si adattano al Sé modernista, che, come ha detto Cushman (1992), aspetta di essere osservato.
Così, quando la psicoterapia cognitiva ha avuto i suoi inizi, ha ereditato, a livello nucleare, un particolare modello di essere umano, che guarda con desiderio alla possibilità di essere guidato nel suo processo di scoperta il quale, peraltro, si adatta perfettamente al terapeuta del comportamento.
In questa logica, è possibile comprendere che la tecnologia cognitiva classica o modernista è orientata a lavorare secondo questo razionale ed è in grado di ottenere il controllo dell'individuo, di usare e favorire quanto più possibile le attitudini razionali, insegnando all'individuo a divenire uno scienziato che osserva, controlla e si auto-regola.
Esiste un abbondante numero di esempi di questa cura tecnologica, favorita da questa eredità culturale. Per menzionarne alcune, è possibile elencare le seguenti tecniche:


1) Ellis

  •  
  • A-B-C-D-E

  • Evidence in front of a jury, etc.

2) Beck

  • Hypothesis testing

  • Rational response

  • Analysis of faulty reasoning, etc.


 

La relazione terapeutica

In questo contesto, con tali tipi di scienziati, persone e obiettivi, suscita poco stupore che la terapia cognitiva sia più chiaramente influenzata dalla zeitgeist modernista e che abbia sostenuto un modello di relazione terapeutica dove:

  1. Il terapeuta dovrebbe essere uno scienziato con ruolo di guida

  2. Il paziente dovrebbe divenire uno scienziato che analizza, osserva, modifica. E' utile, a questo punto, ricordare la metafora del Panopticum.

  3. Il ruolo della ragione è fortemente enfatizzato rispetto a quello delle emozioni.


 

Così, in riferimento agli inizi della terapia cognitiva, è possibile fare le seguenti affermazioni:

  1. E' stato assunto un punto di vista razionalista rispetto all'essere umano

  2. I terapeuti frammentano, razionalizzano, e seguono la metafora della scienza nelle loro relazioni terapeutiche con i clienti. Da questo punto di vista, Il gap modernista tra cultura professionale e non-professionale è nuovamente rappresentato in questo contesto terapeutico.

  3. La terapia cognitiva ha dato prova di essere un importante approccio terapeutico, dando un profondo contributo, alla psicologia come una grande narrativa, valida quanto le altre narrative terapeutiche per la comprensione degli esseri umani.


Questo è stato il background ereditato dai primi terapeuti cognitivi. Tuttavia, gli sviluppi che il nostro orientamento ha avuto o sta avendo, provengono, a mio avviso, dall'evoluzione post-moderna.
Il cambiamento della terapia cognitiva legato al pstmodernismo, si è evidenziato con il costruzionismo e gli approcci narrativi. Timidamente, in una prima fase, i modelli costruzionisti hanno criticato il primato delle ragione sulle emozioni e progressivamente favorito un cambiamento radicale.

 

6 – Seconda fase: cognitive establishment

In questa fase, la terapia cognitiva modernista continua la sua evoluzione, ma la componente postmoderna comincia ad evidenziarsi.
Il cambiamento postmoderno in psicoterapia cognitiva si caratterizza per un diverso punto di vista sull'essere umano, che implica, al tempo stesso, un cambiamento del ruolo scientifico. Infatti , ora la spaccatura tra cultura professionale e non professionale viene omessa, in quanto chiunque è un esperto. Questo implica una nuova specificità della relazione terapeutica e degli obiettivi della scienza. 

L'individuo postmoderno

Nella psicologia postmoderna, ci si pone delle domande sul soggetto visto come consapevole, logico e coerente (Rosenau, 1992, p. 7). La postmodernità certifica la morte del soggetto modernista come persona razionale e auto-organizzata. 
Viene riteorizzata la "soggettività" come multipla e contraddittoria, largamente irrazionale. Il sé postmoderno viene descritto come saturato, frammentato, vuoto. In modo opposto, rispetto al soggetto moderno, "confini, coerenza e costanza, sono caratteristiche impossibili e irrilevanti del sé" (Lydon and Weill, 1997, p.77). Il "detto" attuale, come ha detto Gergen (1992, in Lyddon and Weill, 1977, p. 78) è :"Noi comunichiamo, dunque esisto".
Tuttavia mi piacerebbe fare qualche riflessione. Possiamo essere certi della fine del concetto di soggetto in psicoterapia cognitiva? 
Il problema per la terapia è che il paziente è "reale e necessario" , come ha detto Kristeva (Rosenau, 1992, p.58). Come potremmo fare terapia senza un "soggetto"? Qual è il tipo di soggetto all'interno della pratica cognitiva postmoderna? Quale approccio di terapia cognitiva può adattarsi meglio con questo sé frammentato e saturato? Io penso che i modelli cognitivi narrativi e costruzionisti che cominciano a presentarsi in questa seconda fase, possano essere i migliori.
Inoltre cosa stiamo realmente facendo in terapia? Se i problemi dei pazienti sono visti come dei testi ed i pazienti come lettori che costruiscono significati multipli, i terapisti postmoderni teorizzeranno che le storie che un paziente racconta in terapia sono costrutti narrativi, un inseparabile mistura di eventi e costruzioni.
Queste ricostruzioni devono essere giudicati in termini di verità narrativa piuttosto che di verità storica (Burr and Butt, 2000, pp. 201-202).
Sebbene " l'obiettivo non sia più sostituire pensieri ed emozioni ma dare la possibilità di espandere e attualizzare multiple visioni del mondo, significati ed esperienze emozionali" (Goncalves, 1997, p.106), è anche vero dal mio punto di vista che la tecnologia di cura postmoderna ha come riferimento un tipo di soggetto che è in grado di dare senso e coerenza alle proprie storie, che realizza una più coerente narrativa. 
In qualche modo, dunque, continua ad essere un individuo che osserva, riflette e pensa.
Questo significa che entrambi i tipi di pratica cognitiva sostengono lo stesso modello di essere umano? Il problema è mantenere la nostra pratica psicoterapica in vita, dandole un senso di significato ed evitando, allo stesso tempo, chiare contraddizioni epistemologiche e ontologiche.
Io penso, comunque, che si possano osservare, in ambedue i modelli, dei parallelismi.
Entrambi, modernisti e postmodernisti, teorizzano un essere umano che sia capace di osservare se stesso. Un essere umano che è capace di comprendere il significato delle cose, capace di conoscere un po' di più se stesso e capace di cambiare ciò che viene consigliato per un "miglior funzionamento". 

Tuttavia si evidenziano due essenziali differenze:

  1. Le pratiche moderniste e postmoderne vogliono rivolgersi a differenti tipi di essere umani. I modernisti vogliono, attraverso l'insight e la riflessione , rendere i loro pazienti "capitani delle loro navi" (Burr and Butt, 2000, p. 202). Un sé razionale e con basi ben definite, è l'obiettivo.

Una psicologia specificatamente postmoderna può mettere in grado gli individui di comprendersi meglio senza la ricerca di alcun sè con basi ben definite. Piuttosto per essi potrebbe essere possibile produrre auto-narrative che permettano loro di vivere in pace con se stessi.

  2. Le pratiche moderniste e postmoderne fanno riferimento a differenti trattamenti riguardo le costruzioni dei pazienti. I modernisti vogliono pazienti che facciano una più perfetta e valida teorizzazione sulla realtà.Una teoria che rappresenti la realtà e si adatti positivamente con i dati. I postmodernisti trattano le narrative dei pazienti come assolutamente personali, non rappresentanti qualcosa di esterno. Le narrative sono un piccolo pezzo di una catena di significati. 

Per altro l'obiettivo della terapia è differente. I terapeuti modernisti non sono naive (Hare-Mustin and Marecek, 1988).La psicologia moderna ha a lungo enfatizzato che ciò che il cliente dice in terapia è solo una narrativa, una storia, non una reale rappresentazione dell'esperienza attuale. I postmodernisti sono d'accordo. Ma mentre il ruolo del terapeuta modernista potrebbe essere di aiutare il cliente a fare emergere dei contenuti, andando sotto la superficie, e acquisire una più adeguata comprensione della realtà, il terapeuta postmoderno non ha tale intento in quanto, nella sua ottica, non c'è nessuna vera realtà da scoprire. Piuttosto il terapeuta postmoderno semplicemente "mette in crisi la cornice di riferimento" e "manipola significati" riferendosi a subtesti marginalizzati, ad interpretazioni interpretative; nell'agire così "il terapeuta cambia i significati del cliente". 


Tutto questo necessita, peraltro, di un differente tipo di relazione terapeutica.

 

La relazione terapeutica nelle terapie cognitive postmoderne

Come ha affermato Rosenau (1992), per il postmoderno il lettore è un attore-ricevitore, un partecipante osservatore. Usando questa metafora l'autore = terapeuta riduce la sua importanza mentre il lettore=cliente acquista in un ottica cognitiva costruzionista e narrativa, un ruolo più rilevante.
Così abbiamo visto in terapia un importante cambiamento che è stato anche l'elemento focale di un importante critica alle terapie cognitive moderniste. "A causa della sua scontata posizione di superiorità, il ruolo dell'autore moderno è quello di educare, istillare valori morali o illuminare il lettore (che non ha salde convinzioni a tal riguardo)" (Rosenau, 1992, p. 27). Viceversa nell'ottica postmoderna il terapeuta assume il ruolo di un interprete che non fornisce verità universali e non ha prescrizioni da offrire (Rosenau, 1992, p. 31). Le terapie cognitive postmoderne danno un primato al cliente-lettore che è aiutato attraverso le tecniche terapeutiche a divenire colui che dà significato al testo.
Al momento, la terapia narrativa-cognitiva di Goncalves, aiuta i pazienti a divenire lettori-attori dei loro problemi e attraverso differenti fasi essi sono incoraggiati a dare significato e coerenza alle loro vite convertite in prototipo narrativo. 
Un obiettivo simile è all'interno della "tecnica della moviola" di Guidano, dove il paziente è aiutato a mettere a fuoco il proprio problema come se fosse una storia che deve essere costruita e ricostruita.

 

7 – Terza fase: a happy cognitive world

La mia interpretazione di questa fa se è legata al tipo di cultura che stiamo lasciando: il "collage". Il "collage", che ha una origine modernista, è possibile che, nell'ambito del postmodernismo, diventi un "pastiche".
Prima di tutto è utile ricordare che, nella postmodernità, i consumatori sono grandi consumatori, ma ben informati. C'è un elevato consumo di psicologia, ma la nostra società (Seoane, 1996) impone uno stile e una pratica specifica di psicologia. Le dispute autorevoli sono "out" e la società sembra a suo agio nella misura in cui è in grado di scegliere tra differenti modelli non in conflitto tra loro (T. Ibanez, 1990). Il maggior consumo di psicologia è nell'ambito di una micro-narrativa, di un micro-modello, in quanto la psicologia ha sviluppato sé stessa come uno strumento sociale facile da usare. Così, questa terza fase esemplifica che noi siamo all'interno di una psy culture, che per Lipovetsky (1983) significa consumare con consapevolezza. Una cultura con una straordinaria sensibilità terapeutica, in cui ognuno si rivolge nella propria auto-esplorazione ai più diversi orientamenti: zen, dinamiche di gruppo, yoga, meditazione, liberazione di energia, etc. La divulgazione della psicoterapia cognitiva sta, senza dubbio, contribuendo a questo. 
La terapia cognitiva è diventata parte del collage psicologico nel nostro villaggio globale, contribuisce alla psy culture, ed è allo stesso tempo un altro collage.
Che cosa è il collage cognitivo? E' sia modernista che postmoderno. Ogni terapeuta, è abile a scegliere tra le due differenti modalità, ed è anche abile nell'assumere concetti postmoderni o a postmodernizzare le sue teorie in piccola misura, mantenendo al tempo stesso, l'uso di tecniche chiaramente moderniste.
E', inoltre, un collage scientifico. La terapia cognitiva evidenzia aspetti di scienza modernista verificazionista, giustificazionista, paradigmatica ( basta sul metodo ipotetico-deduttivo) insieme ad aspetti di attitudine scientifica postmoderna: non-verificazionismo, non-giustificazionismo e narrativa (basata sull'ermeneutica).
In conclusione, la terapia cognitiva nella sua ultima fase di sviluppo è evoluta verso l'eclettismo, uno dei principali elementi del postmodernismo. Al momento, molti terapeuti cognitivi usano con disinvoltura tecniche provenienti dalla gestalt, da altri approcci umanistici, da terapie comportamentali, etc.
Questo significa che la terapia cognitiva sta diventando un qualche genere di "pastiche"?

 

8 – Il futuro della terapia cognitiva

La terapia cognitiva oggi è di moda, e i consumatori la consumano. Il problema, dal mio punto di vista, è che, se quest'uso avviene senza un adguato modello teorico, il terapeuta agisce senza sapere verso quale futuro sta andando. Ritengo, comunque, che la terapia cognitiva andrà secondo il segno dei tempi. Per conseguenza, riguardo la futura terapia cognitiva, sono possibili le seguenti considerazioni:

  1. Ovviamente, sarà presente lo sviluppo di nuove tecnologie che sono e saranno parte delle nostre vite in questo secolo appena iniziato
  2. La terapia cognitiva, come altre terapie, corre il rischio di diventare un qualche genere di "fast food", pronto e facile da consumarsi in tempi brevi. Questo è favorito dall'abbondanza di manuali, dal ampio campo di applicazione, dalla divulgazione, etc
  3. Io considero importante, proprio per evitare l'ipotesi esposta nel punto precedente, lavorare sull'aspetto della riflessione teorica in terapia cognitiva e diffondere queste teorizzazioni. Tuttavia ciò va fatto in un ottica postmoderna : senza alcuna "epistemological authority".

Abbiamo bisogno di questo genere di authority? La risposta è no, certamente no. Dunque, permettiamoci di approfondire serenamente, come in un gioco, le nostre idee, interpretazioni e costruzioni. Far questo, riguardo la questione modernismo-postmodernismo, è una delle possibilità. Io, in questo lavoro, l'ho fatto con piacere.

 

 

 

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